✍️ Articolo di Giuliano Cazzola
Leggi l’articolo: Mercato nero, tangenti, gang: chi specula sulla fame a Gaza
Huffpost – 11 settembre 2025
Le responsabilità di Israele non sono esclusive. La drammatica denutrizione dipende anche, da Hamas in giù, da chi sequestra o ruba per rivendere a prezzi folli. Tutte le testimonianze di Ong, sindacati, stampa.
Striscia di Gaza: FAO, UNICEF, WFP e OMS hanno collettivamente e costantemente sottolineato l’estrema urgenza di una risposta umanitaria immediata e su larga scala, dato l’aumento dei decessi legati alla fame, il rapido peggioramento dei livelli di malnutrizione acuta e il crollo dei livelli di consumo alimentare, con centinaia di migliaia di persone che trascorrono giorni senza nulla da mangiare. La carestia – secondo fonti locali ovvero Hamas- mette a rischio di morte oltre 132.000 bambini sotto i cinque anni. La carestia nel governatorato di Gaza rischia di estendersi nelle prossime settimane, con oltre un milione di persone, circa la metà delle quali sono bambini, che già sono costretti ad affrontare una situazione di fame a livelli catastrofici, il peggiore stadio, la Fase IPC 5, che è il livello più grave di insicurezza alimentare, caratterizzato da una carenza estrema di cibo, fame e malnutrizione acuta diffusa. Di questa tragedia umana la maggiore responsabilità viene attribuita ad Israele. Persino Ursula von Der Leyen nel discorso sullo stato dell’Unione, non ha avuto dubbi ad affermare che: ‘’La carestia provocata dall’uomo non potrà mai essere un’arma di guerra. Per il bene dei bambini, per il bene dell’umanità, questa atrocità deve finire”. L’accusa ad Israele è senza alcun dubbio il pensiero dominante; ma tuttavia non può essere imposto come pensiero unico. Come ha scritto il filosofo francese Michel Onfray:‘’Dubitare è tradire. Esaminare è negare. Esigere prove è scendere a compromessi con il nemico’’. Le critiche al governo israeliano, al suo premier, al IDF non sono infondate, ma ci sono altri aspetti – magari tragici corollari della guerra spietata che si combatte in quella martoriata Striscia – che meritano di essere conosciuti e che, nel dibattito, passano in secondo piano. Partiamo dalle testimonianze: Houaida Sekri, la presidente di « Al malayika Svizzera » ha fornito elementi che una stampa libera farebbe bene ad approfondire: ‘’“Noi praticamente compriamo a Gaza, dove purtroppo non ricevono aiuti gratuiti. Quel poco che entra è tutto a pagamento. Con i miei collaboratori seguiamo i prezzi, vediamo cosa c’è nel mercato e quando scendono acquistiamo i prodotti e poi li distribuiamo”. Questa prassi si chiama da sempre e in tutto il mondo ‘’mercato nero’’. Come si presenta nella Striscia? Sono ancora fonti svizzere a parlare. The Swiss voice in the worldsince 1935 ha scritto che ‘’ in assenza di un meccanismo di controllo e distribuzione efficace, bande locali e clan armati si appropriano degli aiuti destinati alla popolazione, lasciando migliaia di famiglie senza accesso ai beni di prima necessità’’ e, citando una fonte del Qatar, il quotidiano Al-Araby Al-Jadeed, ha fornito alcuni dati su queste operazioni predatorie. In un’occasione di rifornimenti dall’Egitto, su 130 camion, 73 sono stati derubati nei pressi dell’asse Morag, che separa Rafah da Khan Younis, solo 37 tir sono arrivati ai magazzini della Mezzaluna Rossa palestinese e del gruppo di aiuti del Comitato egiziano. Nell’ultima settimana di luglio – secondo l’emittente Channel 12 – sono stati derubati 456 camion, rispetto ai 152 della settimana precedente. ‘’ Qualche giorno fa – racconta un funzionario dell’ONU che nonrivela la sua identità per motivi di sicurezza: ‘’ un gruppo di uomini è entrato in un nostro magazzino, nel centro di Gaza, e, con toni decisi, ha chiesto di andare nei locali in cui sono conservati i generi di prima necessità che distribuiamo alla popolazione. Quindi si sono messi a cercare tra le merci»,. Quegli uomini – aggiunge – non erano affamati come tanti abitanti di Gaza, non volevano latte in polvere per i figli piccoli o medicine per qualche parente ammalato. «Cercavano pacchetti di sigarette negli imballaggi, sigarette di contrabbando nascoste nel carico umanitario arrivato qualche ora prima’’. Si tratta di un business importante visti i prezzi: «Una sigaretta Karelia costa 100 shekel (25 euro) – spiega il Manifesto – una Imperial 80 shekel, più bassi sono i prezzi delle sigarette più scadenti ma non meno di 50 shekel (12 euro)l’una. ‘’ I criminali – aggiunge il Manifesto – promettono ricompense generoseagli autisti che riescono ad aggirare i controlli». A Greta Privitera del Corriere della sera un mercante ha raccontato che ogni camion che compra da fuori ha un prezzo aggiuntivo di migliaia di euro — «anche trentamila>>— per le spese di trasporto, per le tangenti e per gli uomini della sicurezza che è costretto ad assoldare per difendere la merce dai saccheggiatori. «Do soldi a qualche israeliano che facilita e velocizza il passaggio al valico di Kerem Shalom, li do alle gang che mi promettono protezione e mi scortano il camion fino al magazzino, e l’ultima volta ho pagato anche alcuni miliziani di Hamas’’. Anche la Fisac Cgil prende parte a questa denuncia: ‘’ Disinformazione e speculazione aggravano la crisi che è alimentata da voci diffuse ad arte, come a presunta chiusura di strade o la presenza dell’esercito. Diffuse da venditori senza scrupoli, servono a creare panico, bloccare i flussi di beni tra nord e sud e alimentare il mercato nero. Le bancarelle sul lungomare di Al-Mawasi, il gigantesco campo profughi di Gaza – spiega il Gambero rosso – sono l’unica destinazione esistente per cercare di comprare qualcosa evitando le trappole mortali degli aiuti ufficiali. E’ sempre lo stesso giornale a dare conto deiprezzi, citando il racconto di una palestinese di nome Selma la cui famiglia, come molte altre, vive con un solo pasto al giorno e con il terrore che il piccolo Muhammad possa piangere per la fame fino ad addormentarsi disperato in un angolo della loro tenda, da mesi la loro unica casa.: ‘’Qui con i cento shekel (circa 25 euro) che ho in tasca cerco di comprare qualcosa, ma con 25 euro si prende solo un chilo di farina, che già è qualcosa’’. Secondo il prezzario aggiornato, fornito da un commerciante della Striscia,un chilo di pomodori costa 25 euro, di patate 13, di limoni 26, di fichi 40, di piselli 25. Un chilo di pasta costa 14 euro, di riso 23, di fagioli secchi 8. Duecentocinquanta grammi di caffè 102 euro, 700 grammi di margarina 46. Un chilo di zucchero 160 euro, un pollo 100. E sulle difficoltà delle ONG possiamo tornare alla testimonianza di Houaida Sekri, la presidente dell’associazione svizzera. “In questi giorni sono riuscita a negoziare sul prezzo della farina, che purtroppo costa da 40 a 100 dollari. Sono riuscita ad acquistarne per 12 dollari al chilo. Questo per me è un grande successo”. Immaginiamo che gli attivisti della‘’flottilla’’ si saranno posti questi problemi e che, se tutto andrà bene, saranno in grado di risolverli, per non consegnare gli aiuti ad Hamas o alle bande criminali.
Fonte: leggi l’articolo – HuffPost, 11 settembre 2025, autore: Giuliano Cazzola.