La prudenza era d’obbligo: quando Zandano annunciò che aveva un piano per privatizzare il Sanpaolo, la reazione mia, e di quanti si impegnano per la privatizzazione delle banche pubbliche era stata di cauto ottimismo, troppe volte in questo Paese agli annunci non sono seguiti i fatti, o i fatti non sono stati chiari.
Quando due anni fa, insieme a Giavazzi Penati e De Nicola, presentammo la nostra proposta di legge per la privatizzazione delle casse di risparmio, volevamo solo dimostrare che l’operazione era tecnicamente possibile, e che gli ostacoli stavano solo nella non volontà delle fondazioni a vendere.
Eravamo stati accusati di volere tempi troppo brevi: la privatizzazione del Sanpaolo viene annunciata 17 mesi dopo la presentazione della mia proposta di legge, che prevedeva due anni di tempo per vendere. Credo di non peccare di presunzione dicendo che il frutto che oggi si coglie è dovuto anche a quella nostra iniziativa. Dimostrando che si poteva, se si voleva, si è diffusa la sensazione che forse si doveva.
Chi è profondamente convinto che gli assetti proprietari non siano ininfluenti rispetto alla performance dell’azienda, che società scalabili siano soggette ad una maggiore pressione per conseguire risultati positivi, deve di conseguenza ritenere che il nuovo assetto azionario renda più competitiva la banca, e che per via di competizione sul mercato quanto è stato fatto a Torino acceleri un processo che finirà per interessare anche le altre banche, incominciando dalle maggiori.
Il nuovo assetto azionario non risolve certo tutti i problemi. Dal lato della banca sono quelli comuni a tutto il sistema bancario italiano: in estrema sintesi, troppe persone a fare i mestieri di ieri, troppo poche professionalità per fare quelli di domani. Dal lato della fondazione, la necessità di inventarsi un mestiere nuovo, difficile.
Ma in ogni caso una cosa va riconosciuta. Rispetto alla salva dei tanti no opposti da tante fondazioni a vendere le loro banche, questa è una privatizzazione vera, anche se non perfetta. Tra Montepaschi, Imi e Fondazione, la proprietà pubblica resta forte del 30%, anche se solo del 15% quanto a diritti di voto. Resta, anzi si rafforza la partecipazione incrociata con l’Imi, controllato e controllore.
Molto dipenderà da come la Compagnia di San Paolo venderà le azioni eccedenti il 5% il cui diritto di voto rimane per ora congelato. La interposizione nella struttura proprietaria della Holding può essere un elemento di minor trasparenza.
Se lo si ricorda non è per sminuire l’importanza di quello che è stato deciso, ma anzi per segnalare le difficoltà che si devono superare in operazioni di questa dimensione. Alcune sono obbiettive, di natura tecnica e finanziaria; altre dipendono anche da rapporti personali, da antiche incomprensioni che è merito del presidente della Compagnia, Gianni Merlini, aver saputo comporre.
Il Sanpaolo non è più da decenni una banca torinese, ha filiali in tutta Italia: ma è pur sempre una banca di Torino.
Il Sanpaolo è la maggiore banca nazionale: questa operazione ha dunque un valore emblematico, e si vuole sperare che abbia effetti sull’intero sistema delle banche pubbliche.
Torino indicando la strada ha lanciato una sfida. Racco: glierla tocca ora ad altri’, in: cominciando da Cariplo: può rilanciare realizzando ;Una privatizzazione non solo vera, ma anche perfetta.
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aprile 24, 1997