Vuoi vincere? Impara a vivere in simbiosi con il tuo mercato

febbraio 1, 1993


Pubblicato In: Varie


Li chiamavano “scatole da scarpe”: erano grattacieli, i templi delle grandi corporations americane. Vertiginosamente alti, le modanature verticali a sottolinearne lo slancio ascensionale. Arditi, eppure solidi. Ma soprattutto monolitici, come monolitica era l’organizzazione che racchiudevano; organizzazione verticale, da salire piano dopo piano, nell’ambizione di “make it to the top”. Autosufficienti: tutto è dentro l’organizzazione, tutto il sapere e tutto il potere di decidere: quali prodotti fare, come venderli. Pareti riflettenti; da dentro si vede il mondo, ma il mondo, il mercato resta fuori: il mercato è una realtà che si può studiare, che si può conoscere ma che resta fuori dall’azienda. L’azienda ed il mercato sono due mondi distinti, il mercato è l’altro da sé. Le decisioni, soprattutto quelle del giorno per giorno, riguardavano essenzialmente la fabbricazione, erano basate sulle conoscenze che al palazzo arrivavano dalle fabbriche, ‘su ciò clic si riteneva di sapere sui costi di produzione.

C’è una speciale relazione tra architetture e forme organizzative: perché entrambe sono il risultato di un’attività progettuale, e per lo scopo che si propongono: fine dell’architettura è il dare una casa, proteggere e coprire le persone ed il loro vivere. Analogamente le organizzazioni servono anche a tenere insieme le persone che in esse operano, a definirne l’identità di gruppo, a proteggerne i valori comuni. Come l’architettura, l’organizzazione definisce un “dentro” dove ritrovarsi ed un “fuori” a cui rendersi visibili e riconoscibili.
Le “scatole da scarpe” che Mies van der Rohe ed i suoi epigoni hanno disseminato nelle città americane sono la rappresentazione fisica dello schema organizzativo che ha dominato fino agli anni ’60: l’organizzazione divisionale teorizzata dal leggendario Alfred Sloan della General Motors resta di tipo verticistico; alle divisioni sono assegnati mercati o linee di prodotto, ma le modalità operative devono essere rigorosamente uniformi, dalla contabilità, alla gestione del personale, alla pianificazione; ad assicurarlo provvedono i potenti scafi centrali.
Il modello va in crisi negli anni ’70 e se ne riconosce la causa proprio nella separatezza dell’azienda dal mercato. “Be dose to the customer” è la semplice ricetta. Quindi aprirsi all’esterno, accettare una maggiore varietà di procedure, apporti culturali diversi. Sono gli anni dell’eclettismo dell’architettura post-modern (per tutti, il palazzo AT&T di Madison Avenue): è solo una coincidenza che proprio il post-modern si caratterizzi per la volontà di integrare stili diversi, mostri duttilità e quasi indifferenza alle preferenze estetiche, accomuni reminiscenze del passato ad arditezze moderne?
Gli anni ’80 vedono l’attacco dei raiders alle grandi corporations, i “barbarians ‘at the gate”: il loro successo deriva dall’aver capito che le strutture centrali che tengono insieme le attività delle grandi corporations diversificate, non solo costituiscono un peso inutile, ma impediscono la focalizzazione sui singoli business, sicchè il valore delle parti è superiore al valore del tutto. Portando avanti il nostro parallelo,’ si può (seppure con qualche arditezza) richiamare i modelli dell’architettura. decostruttivista, uno stile che decompone volumi e superfici, che sembra voler contraddire le consuete idee di equilibrio e proporzioni, che suggerisce l’esperienza squilibran-te di una visione che non si lascia cogliere nella sua totalità.
Continuando nella schematizzazione, gli anni ’90 vedono compiersi la trasformazione dei mercati ad opera della rivoluzione informatica. Nel mondo totalmente trasparente alle informazioni l’offerta esalta le differenze individuali di gusti e preferenze. La moda più che la necessità determina le scelte:. e variazioni tra prodotti — automobili, televisori, abiti — sono minime, prevalente-nenie di tipo estetico. Dipendente com’è fai gusti individuali, il mercato diventa imnevedibile: più che anticiparne le risposte necessario stimolarlo con proposte. Più che pianificare, conviene provare: le probabilità di vincita dipendono più dal numero delle giocate che dall’abilità nel prevederne l’esito. Non basta essere vicini al mercato, bisogna vivere in simbiosi con il mercato. Le decisioni sono controllate da chi dispone di informazioni in tempo reale, cioè da distributori e rivenditori. Mentre la produzione si frammenta (perché contano meno le economie di scala) la distribuzione siconcentra. Le grandi aziende sono quelle aziende di distribuzione che sanno utilizzare a fondo le tecnologie dell’informazione. Li mitica Sears perde terreno anche perché le decisioni salgono e scendono troppo lentamente i l 10 piani della Sears Tower, nella orgogliosa e raffinata Chicago. Nessuno sloggio stilistico invece alla sede della Wal-Mari, nella improbabile Bentonville, Arkansas. II riferimento architettonico non e più il building del quartier generale ma il paesaggio effimero, dinamico, seducente dell’ipermercato. Oppure di Disneyland: luoghi studiati per creare l’eccitazione della possibilità di scegliere, di vivere esperienze reali in una realtà riprodotta: riproduzione di favole o riproduzione di città, con i suoi negozi ed i suoi percorsi.
Dov’è la grande azienda in una catena di .ipermercati o in un parco Disneyland? Forse sta nei meccanismi invisibili, ma sofisticati ed oliati, che permettono allo spettacolo il suo apparentemente disordinato, caotico svolgimento: il parcheggio sotterraneo, le casse di pagamento senza code; e soprattutto un sistema informativo raffinatissimo, che permette di prendere decisioni su prezzi, sconti, promozioni, rifornimenti in modo istantaneo.
La fornitura di un bene sempre più si estende in quella di un servizio: l’aumentare della componente soft smaterializza i prodotti: finirà che l’architettura della grande azienda sarà l’architettura dei suoi sistemi informativi.

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