Intervista di Giusy Caretto a Franco Debenedetti
Franco Debenedetti (IBL): la decisione di mettere persone indicate dal Governo nel board di un’azienda privata avrà conseguenze gravi per l’Italia e la sua economia.
La decisione di Golden power non piace a Vivendi, che dopo qualche giorno di quiete, ha deciso di cambiare le carte in tavola e affrontare il Governo italiano in tribunale. La società francese guidata dall’imprenditore bretone Vincente Bollorè farà ricorso al Tar.
Le misure prese da Palazzo Chigi, d’altronde, limitano non di poco i margini d’azione sul gruppo. Pur detenendo le attività di direzione e coordinamento, infatti, Vivendi aveva comunque dei vincoli importanti nelle decisioni su Tim, Sparkle e Tesly.
Troppi limiti per Vivendì
Esercitando i poteri speciali, quale azienda strategica per il Paese, un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri costringe Tim e le società da questa controllate ad un controllo e monitoraggio costante da parte di Palazzo Chigi: un componente gradito all’esecutivo dovrebbe sedere nel board delle tre società e Tim avrebbe l’obbligo di costituzione di un Comitato di Sicurezza guidato da un funzionario del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, che dovrà dettagliare azioni e stato delle cose ad un Comitato di Monitoraggio costituito da Palazzo Chigi. Poi, in caso Vivendi decidesse di uscire dall’azienda di Tlc, dovrebbe vendere la partecipazione solo a qualcuno gradito al Governo.
A pensarla come Vivendi è anche Franco Debenedetti, Presidente dell’Istituto Bruno Leoni. “La richiesta di mettere persone indicate dal Governo nel board di un’azienda privata sarebbe un fatto gravissimo, con gravi conseguenze per l’Italia e la sua economia. Nessuno investirebbe in un Paese che mette il commissario politico in azienda. Dicono che è perché Sparkle e Tesly sono strategici. Ma cosa vuol dire strategico? E’ strategica la connessione fisica, cioè che venga garantita la sicurezza fisica dei cavi, e la loro continua manutenzione, oppure sono strategici i contenuti convogliati dai cavi? Se i contenuti sono strategici, vengono riptati, e questo lo fa chi li spedisce, non chi li veicola. Gli hacker sono penetrati nel Pentagono, nell’FBI, nel cellulare della Merkel: è ridicolo pensare che una presenza pubblica nel board possa garantire la sicurezza e la riservatezza dei contenuti. Proprio in questi giorni in cui si è venuti a conoscenza che Sogei, società interamente pubblica, ha dei buchi enormi. Quello che il Governo deve pretendere è la certezza che Tim garantisca la funzionalità tecnica di Sparkle e il servizio di trasmissione”, ha chiarato Debenedetti a Start Magazine.
Ma Amos Genish voleva far “pace” con il Governo
Ci si chiede, ovviamente, se il neo amministratore delegato di Tim, Amos Genish, fosse a conoscenza delle intenzioni di Vivendi. Proprio oggi sarebbe fissato l’incontro tra Genish e il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, che mirava a ricucire i rapporti tra l’azienda e il Governo.
Proprio con l’intendo di trovare una soluzione pacifica a tutti, infatti, Genish avrebbe offerto al ministro la disponibilità a collaborare sul tema della fatturazione a 28 giorni nell’ambito di una soluzione di “sistema”. Non solo: l’Amministratore delegato di Telecom si sarebbe detto disponibile anche a discutere l’ipotesi di separazione della rete, tanto gradita al Ministro Calenda.
“Ci sono sempre i nostalgici di quando Telecom era pubblica: spero che sia di qualcuno di loro la pretesa di mettere il “commissario” anche nel board di TIM, sostenendo che anche la rete telefonica che stiamo usando adesso è “strategica”. Tutte le aziende sono in un certo senso strategiche, perché tutte fan parte del reticolo del sistema produttivo del Paese. Compito dello Stato è far sì che beni e informazioni vi circolino senza intoppi. Ha enormi poteri per farlo, si indebolirebbe se volesse mettere suoi “commissari” nei board delle aziende private. E tutto questo perché oggi il principale azionista di Tim è francese? Ma le aziende non hanno la cittadinanza, le aziende sono apolidi, come ricorda C.A. Carnevale Maffè sul Foglio. Ed è proprio questa caratteristica che consente alle aziende di assumere, con maggiore indipendenza degli stati, i compiti di welfare, di tolleranza, di rappresentanza culturale ed economica che gli stati non sempre sanno perseguire”, ha affermato Debenedetti.
Vivendi, impegnata anche sul fronte Mediaset
Quando parliamo della francese Vivendi, però, non dobbiamo dimenticare che Vincente Bollorè è ancora fortemente interessato a Mediaset. L’azienda d’Oltralpe detiene anche il 28,8% del capitale ad un passo dal 30%, soglia massima oltre la quale è necessario lanciare una offerta su tutto il capitale (è stata costretta da Agcom, per la legge sulla Concorrenza a congelare parte dei diritti di voto).
Negli ultimi tempi, mentre è in corso una guerra legale tra le due aziende, sarebbero riprese le trattative. Il capo del legale della media-company transalpina Frédéric Crépin (affiancato dall’avvocato Giuseppe Scassellati, partner dello studio Cleary Gottlieb) ha incontrato per ben due volte il collega del Biscione Sergio Erede hanno avviato nuovi colloqui, ma tutto è ancora in fase iniziale.
Ma allora, se Vivendi controlla Telecom e nel frattempo chiude un accordo con Mediaset, potrebbe crearsi un triangolo nel sistema delle comunicazioni che potrebbe operare a livello nazionale e internazionale. “Qui entra in gioco l’Antitrust, che è un’autorità nominata dal Governo, ma da questo indipendente. – ha spiegato Debenedetti. La legge Gasparri prevedeva che nessuna azienda potesse avere una quota superiore a un determinato valore nel SIC, il Sistema Integrato delle Comunicazioni, cioè televisioni, giornali, telefoni. Il limite era tale da rassicurare anche l’opposizione che Berlusconi non avrebbe potuto comperare anche Telecom. Quella limitazione andrebbe rivista oggi, perché sembra si vada verso una convergenza tra chi produce contenuti e chi li trasmette: sarebbe di danno al Paese e alle sue aziende “strategiche” impedir loro di perseguire strategie aziendali interessanti.”
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