Veltroni a Caporetto

maggio 29, 2000


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Alla fine della legislatura mancano in ogni caso pochi mesi. Sarebbe un errore pensare che il problema di fondo per i Ds sia quello della coalizione. Il problema dal quale partire li investe direttamente: è invece quello su cui nel concitato travaglio successivo al referendum non si è visto nessun dibattito né confronto aperto: la propria strategia, il bilancio e il programma con il quale presentarsi alle prossime elezioni. La sola novità sono state le prese di posizione sui mass media: non solo più la sinistra sindacale di Luciano Chiarante e di Fulvia Bandoli, ma anche il ministro Cesare Salvi ha dato voce a chi ritiene che l’obiettivo debba essere recuperare i delusi «dicendo qualcosa di sinistra», e la strategia un ricompattamento che guardi fino à Cossutta e Bertinotti.

Questa conclusione implicherebbe un giudizio molto negativo su ciò che i Ds hanno fatto per tutti i governi da Ciampi a oggi, con la sola breve esclusione di Berlusconi. Sarebbe la paradossale sconfessione di governi che hanno fatto cose importanti: hanno messo sotto -controllo i conti pubblici e ci hanno fatto entrare nell’euro; hanno privatizzato e liberalizzato più di Francia e Germania; con Bassanini hanno dato una svolta alla riforma della PA.; la pressione delle imposte resta eccessiva, ma il lavoro di Visco è positivamente apprezzato perfino dagli industriali Che si potesse e si dovesse fare di più e meglio non sarò certo io a negarlo; sui due grandi temi della flessibilità del lavoro e delle pensioni si  è subito il veto sindacale. Ma resta il fatto che questi governi ci hanno fatto fare parecchia strada proprio nella direzione voluta dai ceti produttivi del paese. Eppure il loro consenso va alle forze politiche dell’opposizione, la coalizione di cui i Ds sono l’asse portante non controlla nessuna delle regioni del Nord. Questa è l’apparente contraddizione a cui i Ds devono dare risposta. Il rischio è che questa riflessione sia condizionata da due fattori. Da una parte il timore che la sconfitta alle prossime elezioni sia inevitabile, e che quindi in vista di essa si debba mettere al riparo il proprio consenso nel tradizionale recinto della sinistra per decidere solo dopo come e se uscirne. Dall’altra che la risposta a questa domanda non tocchi ai Ds ma alle componenti di centro della coalizione: il contrario cioè di ciò che avviene in Gran Bretagna, Germania e Francia: il tanto citato Jospin venerdì scorso ha aperto alla Confindustria francese che a inizio d’anno aveva denunciato la cogestione del Welfare.

Tornando ai Ds, ci sono persone, come me, che stanno nelle loro fila perché convinte che qui esistano cultura, competenze, rigore utili al governo del paese. Per questi esponenti la strategia del ricompattamento a sinistra imporrebbe un radicale voltafaccia. Cambierebbe il destinatario del loro discorso politico: non più l’elettorato tutto da conquistare, ma solo la parte ideologicamente connotata a cui far cambiare opinione. A ben vedere cambierebbe la stessa identità dei Ds. Potrà essere sgradevole, ma senza risposta coraggiosa a questo problema l’on. Veltroni getterà le basi, invece di una linea del Piave, di una nuova Caporetto.

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