Una UE modello Blair?

giugno 13, 2005


Pubblicato In: Varie

La polemica

Se avessi avuto dubbi che Sandro Bondi é molto impegnato, il suo articolo di ieri (Ma è pronta la sinistra italiana a scegliere una Ue modello Blair? ) me li avrebbe levati. Infatti si vede che ha letto affrettatamente sia la mia intervista (sul Corriere della Sera dell’8 giugno), a cui risponde, sia quella di Giddens (su La Repubblica dell’8 giugno), che ampiamente cita. E soprattutto che non ha trovato il tempo di modificare il suo articolo alla notizia della scomparsa di Napoleone Colajanni: almeno in questi momenti, una grande persona e un uomo coraggioso, quale indubbiamente Colajanni è stato, merita un giudizio per quello che ha fatto nella sua vita, e Bondi, che è persona leale, non l’avrebbe usato a fini di una polemica contingente.

La novità di Blair, notavo nella mia intervista, è che mette a confronto due modelli sociali, anziché due capitalismi, quello renano e quello anglosassone, secondo quanto invece continua a leggere Bondi. A ripetere lo schema, ormai un po’ consunto dall’uso, proposto per primo (?)da Michel Albert nel 1990, non ci sarebbe nessun “effetto spiazzante”.
I referendum francese e olandese ci dicono che i popoli d’Europa sentono lontana l’Europa che gli propongono i loro governanti, la percepiscono poco attenta alle loro paure e ai loro desideri, aridamente preoccupata degli equilibri di potere e concentrata su tecnicismi burocratici. A sentire Blair mettere al centro del discorso i “modelli sociali”, ho avuto la sensazione che entrasse una ventata di aria fresca; mi è sembrata una positiva novità che, all’inizio di un nuovo semestre, chi assume la presidenza ricordi ai cittadini dei Paesi d’Europa che esiste in Europa anche un modello sociale anglosassone, che gli elettori inglesi mostrano di apprezzare. Che dica loro che non è solo questione di come assicurare e come trasferire il controllo delle imprese, del ruolo delle banche e delle autorità di regolazione, cioè di modelli di capitalismo; ma anche, e anzi prima di tutto di modelli sociali e culturali, di modi di vivere la competizione, di equilibri tra la protezione che si cerca e il rischio che si accetta; di rapporti con l’amministrazione, e coi servizi che essa eroga ai cittadini.

Sono proprio le cose che dice Giddens: io non sono un fanatico adepto della “terza via”, ma non riesco a capire a che cosa si appigli Sandro Bondi per cercare di piantare un cuneo, non solo tra Giddens e me – cosa di per sé poco rilevante – ma tra Blair e chi è stato ispiratore della sua politica. “Ecco quali sono gli imperativi della terza via socialdemocratica” –elenca Giddens: governare in modo attivo (che non può intendersi come keynesismo, dato per “praticamene morto”), riformare lo stato laddove è eccessivamente gerarchico, burocratico o inefficiente; adeguare i sistemi del welfare in un modello sociale in via di mutazione; dinamismo economico; soluzioni sui temi di identità nazionale, legalità, ordine, immigrazione; atteggiamento positivo seppure critico verso la globalizzazione.
Queste idee non sono accettate dalla sinistra? Tranne che alla sinistra estrema, non vedo chi le contraddica. Un governo di centrosinistra non avrebbe la determinazione per metterle in pratica ed accettarne fino in fondo le conseguenze? E’ più che possibile. Ma quando Bondi scrive che le proposte del centrodestra sono “rilanciare gli investimenti produttivi fortemente centrati sul disegno strutturale delle economie avanzate del XXI secolo, vale a dire la conoscenza e l’innovazione,” allora viene da rispondergli a suon di prediche e di pulpiti. Di prediche, perché di fronte a questi luoghi comuni, vien da rimpiangere perfino l’euroretorica che almeno una sua dignità logica ce l’ha. Ma soprattutto di pulpiti.
Bondi parla di innovazione: ma l’innovazione la fanno i ricercatori e la promuovono le imprese. Facciamo il caso della bioingegneria, che senza ombra di dubbio fa parte del “disegno strutturale dell’economia avanzata del XXI secolo”. E dove pensiamo che vada un giovane ricercatore, se in Italia membri del governo parlano degli OGM come del cibo di Frankenstein, se la maggioranza sostiene (astenendosi al referendum!) una legge oscurantista che di fatto chiude alla ricerca sulle staminali? L’innovazione è una strada rischiosa, le imprese la imboccano solo se hanno fiducia, se vedono un futuro di stabilità: incominciando da quella dei conti pubblici. E che fiducia possono avere in un governo che, per bocca del suo ministro dell’economia, riconosce di avere “drogato” i bilanci con le una tantum? Che non ha saputo controllare la spesa pubblica tanto da aver ridotto l’avanzo primario dal 5% all’1% e buttato al vento il 3% del PIL risparmiato con il taglio degli interessi grazie all’entrata dell’euro? In un governo dove un ministro, nell’attonito stupore della finanza mondiale, se ne esce ad augurarsi quello che dovrebbe sommamente temere, l’uscita dall’euro?
Caecat quos vult perdere, viene in mente. Oppure il “dagli all’untore” di manzoniana memoria. Come è lontana la Convention di Confindustria a Parma del 2001! Tra governo e imprenditori sembrava dovesse essere alfine la stagione dell’idillio, da promessi sposi. Andrà già bene se non verrà ricordata come la Storia della Colonna Infame.

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