Quella per l’energia elettrica ed il gas è stata la prima Autorità indipendente di regolazione ad essere istituita, con la legge 481/95: si avviava così concretamente quel processo di privatizzazione dei monopoli pubblici che tanto avrebbe modificato il nostro Paese e la nostra economia. Veniva da ricordarlo, con un certo orgoglio per essere stati di quella partita, ascoltando ieri la relazione di Pippo Ranci, che di quella prima Autorità è stato il primo presidente, il cui settennato si chiuderà a Novembre.
Non hanno avuto vita facile, l’Autorità e il suo mite e inflessibile presidente: hanno dovuto fronteggiare l’ostentata ostilità dell’ex- monopolista, impazienze ed egoismi dei nuovi concorrenti, sorde resistenze dell’amministrazione, e, alla fine, anche la volontà di questo esecutivo di riappropriasi di poteri e, magari, di autorità. Battaglie di cui questo giornale ha sempre dato puntuale notizia.
La relazione di Ranci si apre ricordando le “gravi e diffuse interruzioni del sevizio elettrico” verificatesi a causa dei “programmi di distacchi di emergenza” che il GNRT (Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale) ha attuato per evitare il rischio di black-out nel Paese. La gestione della rete, è ovvio, non è compito dell’Autorità. Ma il fenomeno che si è verificato apre uno squarcio sulle cause che l’hanno prodotto, e dunque sulle difficoltà incontrate e su quelle da superare per creare in Italia un mercato efficiente e concorrenziale; per essersi verificato pochi giorni prima della relazione che riassume un percorso di sette anni, simbolicamente le riassume.
“Nel panorama europeo l’Italia é tra i paesi che registrano una capacità installata più elevata rispetto alla domanda di punta (+ 53%). [...] Anche tenendo nella dovuta considerazione la specificità della nostra infrastruttura [,,,] nel 2000 si é riscontrato un valore di riserva prossimo al 25%, un dato largamente superiore a quello di gran parte degli altri paesi aperti alla competizione. Riteniamo quindi che il livello di capacità installata sia sufficiente a garantire la sicurezza del sistema e la continuità del sevizio e che [,,,] un modesto incremento della capacità sia sufficiente a sostenere la domanda elettrica del Paese per i prossimi anni.”
A dirlo è Franco Tatò, allora amministratore delegato dell’Enel, di fronte alla Commissione Attività Produttive della Camera, il 23 Gennaio 2002.
Un mese e mezzo prima, alle ore 17 dell’11 Dicembre, il fabbisogno italiano aveva raggiunto il record storico di 52.000 MW. Un mese dopo, il 28 Febbraio 2002, Salvatore Machì e Pier Luigi Parcu, presidente e amministratore delegato del GRTN, presentavano alla stessa Commissione un documento in cui si leggeva che “la capacità effettiva disponibile in esercizio risulta ridotta a 48.700 MW. L’apporto di potenza dall’estero é quindi indispensabile. Con l’import la capacità totale di coprire la punta della domanda é pari a 54.700 MW.”
Sedici mesi dopo, il 26 giugno, l’interruzione programmata di erogazione di energia, ha reso evidente al Paese ciò che già si poteva leggere in relazioni ufficiali. Per l’Enel potevamo contare su un “valore di riserva prossimo al 25%”; per il Gestore della Rete “la potenza di generazione installata in Italia e disponibile per l’esercizio é insufficiente a coprire la punta di fabbisogno”. 54.700 MW contro una punta effettiva di 52.000, dànno un margine del 5%.
I giochi sono evidenti: Enel, che nel 2000 contribuiva per quasi il 70% dell’energia elettrica prodotta in Italia, aveva tutto l’interesse a far lavorare i propri impianti al massimo, e ad evitare che si creasse nuova capacità produttiva: se realizzata dai concorrenti, li avrebbe rafforzati; se realizzata dall’Enel avrebbe drenato liquidità dalle ambiziose diversificazioni, Wind, Infostrada, Acquedotti Pugliesi. Tatò non esitava ad usare argomenti collaudati: “Qualora queste centrali [per cui é stata fatta domanda] venissero realizzate, sia pure in parte, l’eccesso di potenza porrebbe definitivamente fuori mercato una rilevante quantità di impianti esistenti, con evidenti riflessi occupazionali” (grassetto mio). Ad Enel era stato concesso di gestire in proprio oltre il 40% della capacità di trasporto dall’estero, e di lucrare quindi per intero il differenziale di prezzo con il nucleare francese; erano “suoi” gli 800 MW di cui EDF ha interrotto la fornitura e che sono stati una delle cause dell’emergenza: suo sarebbe stato il dovere di provvedere in tempo a sostituirli.
Una storia esemplare. Oltre alle responsabilità dell’ex monopolista, mostra le ragioni che stanno alla base della carenza energetica di cui soffre l’Italia. Il problema in sé sembra semplice: la potenza installata é nota; è noto quanto essa si riduce per manutenzioni, carenze occasionali di combustibile, avarie accidentali, limitazioni ambientali, e quanto aumenta per centrali nuove o ammodernate; le previsioni di maggiore richiesta (in Italia il consumo di energia cresce un po’ più del PIL) e di maggiore risparmio sono abbastanza affidabili. Insomma, ci sono cose ben più difficili da prevedere del fabbisogno di energia a 5 anni. Tanto da far dire al nuovo presidente del GRTN che basta disporre di centrali in più, non utilizzate, come non utilizzate sono normalmente le corsie di emergenza sulle autostrade. Credo -spero- che comprenda presto che la realtà è un po’ più complicata di quanto crede La Palisse.
La rete è gestita dal GRTN ma è di proprietà dell’Enel; un errore (previsto), a cui il Governo non pone rimedio: per contrasti tra Ministeri dell’Economia e dell’Industria? Su Acquirente unico e Borsa elettrica il Governo non decide. Scampato il pericolo di porre valori assurdi per l’elettrosmog, si deve procedere a un limitato numero di interventi, per rispettare ovunque i vecchi valori: ma i comuni bloccano. Così come per anni sono stati bloccati i 7 km per completare l’elettrodotto Matera Santa Sofia. Maggiori importazioni richiedono di potenziare gli elettrodotti con i paesi confinanti, e questo pure incontra difficoltà con Comuni e Regioni. Il paese é in deficit di capacità produttiva e il Governo ha predisposto un nuovo dl sul quale intende porre la fiducia: ma la sua applicabilità è dubbia. Perché è vero che la riforma del Titolo V riconduce produzione e trasporto dell’energia elettrica nella competenza esclusiva dello Stato. Ma si è evidenziata la necessità di una concordia basata su un chiara definizione delle responsabilità: senza il consenso delle Regioni si prevedono contenziosi eterni. Sarà probabilmente necessario ricorrere a incentivi o a partite di scambio, per evitare che ogni regione aspiri ad essere importatore netto di energia: o che imponga balzelli, come ha tentato di fare la Regione Sicilia.
Ci si è attardati a dare qualche dettaglio di un evento che ha turbato l’opinione pubblica, perché ci sembra emblematico, e perché ci sembra in linea con il messaggio con cui Pippo Ranci chiude la sua ultima relazione. “Questa Autorità ha constatato che non bastava operare ma occorreva compiere uno sforzo ingente per spiegare le ragioni dello stesso operare. Una liberalizzazione equilibrata richiede una cultura diffusa, che si costruisce gradualmente. Ha pertanto costruito parte integrante dell’azione dell’Autorità il lavoro continuo di illustrazione e spiegazione all’opinione pubblica circa la natura, le caratteristiche dei processi in corso”.
Dal 1992 al 2001 si sono fatti passi notevoli sulla strada della liberalizzazione e privatizzazione: poi il processo si è arrestato. Questo è il problema vero, il messaggio che l’Autorità ci lascia. Negli oltre due anni che ci separano dalle prossime elezioni, ci sono molte occasioni per dimostrare che strada si intende percorrere. La scelta delle persone che dovranno continuare l’opera di Pippo Ranci e dei suoi colleghi, è una di queste.
luglio 4, 2003