Siamo probabilmente l’unico paese industrializzato a non disporre di servizi via cavo: quindi rischiamo di precluderci l’accesso agli sviluppi del multimediale. Il termine ha una sua allusiva indeterminatezza. Schematizzando, la multimedialità nasce dalla connessione tra il mondo dei dati (banche dati, voci, musica, immagini, film, cataloghi di prodotti) con il mondo di chi a questi dati vuole accedere con un’interazione individuale, scegliendo e rispondendo. L’interazione è essenziale al multimediale: consente l’emergere di nuovi modi di istruirsi, di acquistare, di lavorare, di scegliere i propri divertimenti, di comunicare con immagini e dati anziché solo con la voce. La multimedialità unisce l’interattività ‘naturale’ propria del mondo della telecomunicazione, con la ricchezza di informazione che oggi ci è offerta solo dalla televisione (un segnale video contiene mille volte più informazioni che il normale segnale audio telefonico).
Interattività e ricchezza di informazione richiedono mezzi trasmissivi a larga banda, cioè il cavo in fibra ottica. Sulle trasmissioni via cavo esisteva riserva di legge (legge n.105 del 75; sostanzialmente mantenuto nella successiva legge 73 del 1991). Il vuoto legislativo fu rilevato dall’Autorità antitrust nel corso dell’audizione sul multimediale, che invitò il Parlamento a provvedervi. Nel resto d’Europa lo sviluppo del cavo è iniziato nei primi anni Ottanta. In Francia si contano 5,3 Mio di abbonati, in Germania 13,1 Mio; in Inghilterra solo 600 mila ma si avviò la sperimentazione solo nel ’90. Gli Usa costituiscono un caso a sé: avendo incominciato 40 anni fa, oggi hanno un mercato di 57 Mio di utenti, una penetrazione del 64 per cento.
Mentre in tutti gli altri paesi si investiva nel cavo, solo in Italia si percorreva una strada affatto diversa, sfruttando all’estremo le possibilità dell’etere. I canali televisivi via etere sono: 4 in Inghilterra, 6 in Germania, 4 in Francia. Da noi 9 più 870 reti locali: e niente cavo. L’etere consente una ricezione esclusivamente passiva: perché non consente l’interattività; perché la possibilità di scelta è comunque costretta dalle limitazioni fisiche dello spettro delle frequenze; soprattutto perché non consente di pagare solo per ciò che si vuole consumare. Abbiamo risparmiato gli investimenti fissi nel cavo, ma a prezzo di una specie di Iva aggiuntiva che finanzia, tramite la pubblicità, i nostri divertimenti e il cui importo è limitato solo dai vincoli all’affollamento pubblicitario. Programmi generalisti, quindi pubblicità generalista: l’etere non consente messaggi pubblicitari per gruppi selezionati di utenti, e quindi non è utilizzabile per una larghissima schiera di operatori economici.
Per mettere in comunicazione i due mondi, quello dei dati e quello degli utenti, oltre al mezzo trasmissivo a banda larga è necessaria una nuova figura di imprenditore, l’operatore multimediale. Questi acquisisce i dati (banche dati, film, spettacoli, cataloghi, voci) e li rende disponibili per le scelte degli utilizzatori L’operatore multimediale è un imprenditore che trasforma l’informazione in un prodotto da vendere, impegnandosi attivamente nella scelta, confezione, promozione del suo prodotto; lo è perché investe per realizzare l’infrastruttura fisica che gli consente di operare, cioè la rete di trasmissione a banda larga.
Perché il multimediale si sviluppi è quindi necessario:
- promuovere la costruzione delle infrastrutture incominciando dai maggiori agglomerati urbani;
- facilitare la nascita di operatori multimediali.
Il primo è un problema di investimenti, il secondo di competenze.
Sugli investimenti i dati di cui si dispone sono vaghi: si può ritenere che per cablare il 70 per cento delle case siano necessari più di 30 mila Mld di lire. Oltre all’ammortamento degli impianti fissi, gli utenti dovranno pagare anche per i servizi interattivi che acquisteranno. Una parte di queste risorse proverranno dal mercato pubblicitario, sia per una diversa distribuzione tra i vari canali, sia per la crescita dovuta alla disponibilità di strumenti più mirati. Resta il problema di finanziare lo start up: la cosa più logica è consentire all’operatore multimediale di fornire anche il servizio telefonico, che oltre tutto è una componente, a volte complementare, del multimediale. Senza dimenticare che ci sono anche dati a basso contenuto di informazione ed elevato costo di raccolta: ad esempio la lettura dei contatori. E l’Enel ha una sua rete telefonica: se mai smettesse di restare ancorata alla cultura della produzione e si decidesse a navigare nel mare aperto dei servizi…
Quanto alle competenze, esse non sono al momento presenti né nell’operatore broadcaster, né in quello di telecomunicazioni; né nel selezionare le informazioni: né nel promuovere nuovi pacchetti di prodotto e nuove modalità di fruizione. Competenze potranno sia acquisirsi collaborando con operatori esteri, sia formarsi spontaneamente.
Le fasi iniziali sono normalmente le più creative, a condizione che il campo non sia condizionato dalla presenza di posizioni dominanti. Per questo all’operatore nazionale telefonico deve essere inibito di trasmettere segnale televisivo. D’altra parte la sola idea di consegnare anche il multimediale al concessionario delle telecomunicazioni, e questo proprio nel momento in cui si cerca di ridurne la posizione monopolistica, pare essere un monstrum che neppure il più convinto statalista riuscirebbe seriamente a sostenere.
Per risolvere il duplice problema, di investimenti e di competenze, si possono individuare due soluzioni.
La prima è immediata, ed è quella imboccata con successo dall’Inghilterra. La licenza data agli operatori cavo consente di fornire anche servizi telefonici, e impone a chiunque abbia realizzato reti cavo di consentirne l’utilizzo a parità di condizioni a tutti gli altri operatori interessati. Ovviamente all’operatore di telecomunicazioni si inibisce di trasmettere segnale video. Con due vantaggi: di finanziare la costruzione dell’infrastruttura e ridurre il monopolio della rete voce.
La seconda strada è più complessa, ma forse meglio si adatta alla realtà italiana, e al processo di privatizzazioni in corso. C’è già un notevole consenso sulla necessità di isolare la proprietà della rete di trasmissione dalla fornitura di servizi. La società della rete resta titolare di concessione governativa, ha l’obbligo di allacciamento, e di offrire parità di condizioni a tutti i fornitori di servizi che chiedano di utilizzare la rete. Poiché la società che possiede ed esercisce la rete potrebbe non avere interesse a investire nel cavo, bisogna dare agli operatori di servizi la possibilità di investire direttamente nella realizzazione dei collegamenti, con l’obbligo di conferirli alla società di rete in cambio di quote azionarie della stessa. Anche per questo motivo, quanto ad assetto proprietario alla società di rete si addice la forma della public company, con golden share: che sarebbe giustificata da ragioni di interesse strategico per il paese.
Una regolamentazione completa del settore multimedia-le dovrà trovare sistemazione nella più vasta legge di settore per l’informazione. Ragion di più per definire fin d’ora questo tassello, per poterlo poi inserire nel quadro complessivo. Se si opterà per la società di rete, questa sarà enucleata nel corso del processo di privatizzazione.
Per evitare di mettere le azioni che consentano il decollo di questa attività in serie a processi lunghi e politicamente controversi, conviene dar corso rapidamente a una snella iniziativa legislativa che:
- liberalizzi gli impianti cavo, sottraendoli alla necessità di concessione governativa;
- sottoponga l’attività di fornitura di servizi ad autorizzazione comunale, dato che è verosimile che le prime iniziative sorgano nei grandi agglomerati urbani;
- vieti al concessionario telefonico di trasmettere segnali televisivi;
- consenta alle società che offrono servizi via cavo di offrire anche servizi telefonici, obbligando il concessionario telefonico a concedere l’uso delle proprie linee per completare il collegamento, secondo un principio che è stato recentemente sanzionato dalla Corte d’Appello di Milano (si veda Il Sole 24 Ore dell’ 11 ottobre).
In tal modo si possono porre le condizioni per eliminare l’anomalia di cui si parlava all’inizio, ed evitare il permanere del vuoto legislativo. I paesi del Far West possono rimanere sonnacchiosi per anni, e poi improvvisamente risvegliarsi. Questa volta, cerchiamo di farlo con ordine.
ottobre 19, 1994