Una legge per definire la privatizzazione

novembre 21, 2003


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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Proposte. Ho depositato un disegno «linguistico»

Molte leggi iniziano con la definizione dei termini che verranno usati nell’articolato. Alcune leggi limitano l’uso di parole che servono a connotare prodotti o produttori. Non so se esista una legge che definisce il significato di una parola: è quello che fa il disegno di legge che ho presentato in Senato e che disciplina l’uso della parola privatizzazione in documenti che sollecitano il pubblico risparmio.

Lo spunto me l’ha dato il Riformista, che in un editoriale a commento della vendita del 6,6.% di azioni Enel, scrive testualmente che «privatizzare sul serio l’Enel significa far scendere il Tesoro sotto il 50%». Un errore, essendo chiaro che in nessun caso si può parlare di privatizzazione quando lo Stato vende solo quote del suo bene mantenendo però poteri e responsabilità di gestione: ma un fatto in sé minore. Poi c’è stato il provvedimento per trasformare in SpA la Cassa Depositi e Prestiti; e il proposito di trasferirvi le quote di imprese detenute dal Tesoro: niente niente che qualcuno chiami anche queste privatizzazioni? Ieri, sul Foglio, si propone di dare azioni Wind agli azionisti Enel, cioè per il 60% al Tesoro: privatizzazione anche quella?
Non si tratta di una pignoleria linguistica (i puristi potranno sempre consultare il vocabolario, ad esempio La Piccola Treccani, vol IX pag 628, ediz. 1996): l’equivoco sul reale significato del termine può avere rilevanti conseguenze per individui e imprese. I governi possono avere interesse ad avvalorare l’equivoco: ma, posto che la politica economica è essenzialmente una politica di annunci, è nell’interesse del paese che il significato delle azioni del governo sia quanto più possibile chiaro. Per questo il disegno di legge, all’art. 1, stabilisce che «nei prospetti che sollecitano il pubblico risparmio, nella pubblicità, e in tutte le informazioni date al mercato, la parola privatizzazione e quelle analoghe che facciano riferimento a una proprietà privata, possono essere usate solo per connotare operazioni a seguito delle quali lo Stato, o gli enti pubblici, da soli o congiuntamente tra di loro, direttamente o indirettamente, perdono il controllo ai sensi dell’art. 2359 del codice civile. In caso contrario, dovranno usarsi locuzioni dalle quali sia chiaramente percepibile che si tratta di alienazione di patrimonio pubblico, e non di privatizzazione».

Privatizzare è una scelta politica. Discende dalla consapevolezza delle difficoltà di fare dal centro le scelte allocative e gestionali di attività economiche; una difficoltà che, in società complesse e interconnesse, é piuttosto un’impossibilità. Politica è la decisione di restituire tali scelte al mercato, cioè all’interazione di milioni di decisioni da parte di milioni di individui; politica la decisione di restituire alla libertà di iniziativa degli individui e delle loro imprese interi settori di attività economiche che in passato lo Stato aveva loro sottratto. Rivoluzionario é stato il grande ciclo di privatizzazioni che, partito dall’Inghilterra di Margaret Thatcher, ha investito l’Europa continentale, aprendo brecce nel fortino dei monopoli di stato, fortino difeso non solo da leggi, perfino costituzionali (come gli art. 42 e 43 della nostra carta), ma soprattutto da pregiudizi profondamente radicati.
Iniziato con il primo governo Amato, culminato con le grandi privatizzazioni dell’Ulivo (e non capisco perché non dobbiamo dire alto e forte che quello è stato un grande successo) , in Italia il processo si è ora sostanzialmente arrestato. Ci sono anche ragioni contingenti (le condizioni dei mercati), ma alla base c’é una ragione politica: non perdere il controllo di aziende che danno potere rilevante, a livello nazionale, o regionale, o comunale. Se mai è esistito un contrasto tra le presunte volontà privatizzatrici di Forza Italia, le dichiarate chiusure nazionaliste della Lega, le prudenze di An, le nostalgie di parte degli ex dc, esso si compone fittiziamente nell’ambiguità con cui viene usata la parola privatizzazione, piegata fino a designare il suo contrario, il permanere della presenza pubblica nell’economia.
Se questa ambiguità servisse solo a coprire ciò che non si fa, sarebbe il male minore: basterebbe aspettare l’avvento di un governo diverso. Invece l’uso improprio del termine, il gabellare per privato ciò che resta pubblico, produce effetti negativi di lungo periodo. Dipende dall’ambiguità sul significato della parola, se le disfunzioni (vedi caso, proprio nel mercato elettrico) sono addebitate a privatizzazioni che in realtà non sono mai avvenute: capita perfino a Giorgio Vittadini sul Riformista dell’11 ottobre. E’ grazie a questa ambiguità che il ministro Gasparri mena vanto di aver dato luogo alla privatizzazione della Rai. Mentre la sua legge, non fissando nessun termine del processo di dismissione, e ponendo vincoli immutabili al possesso azionario (massimo l’1% per ogni soggetto, e massimo il 2% per quote sindacate), si dimostra fatta apposta per perpetuare il controllo da parte del Tesoro.
Una società dove lo Stato mantenga una partecipazione rilevante è, di fatto, non scalabile, con conseguenze fondamentali sulle prospettive del valore di Borsa del titolo. Sollecitare il pubblico risparmio come se si trattasse di una vera privatizzazione è dunque indurre in errore. Ed è ciò che è successo in occasione della vendita della prima tranche dell’Enel. Il prospetto informativo precisava correttamente che il ministero del Tesoro «continuerà ad essere azionista di maggioranza, potrà influenzare le principali operazioni di Enel s.p.a., la politica dei dividendi, gli aumenti di capitale e le altre modifiche statutarie; i voti del ministero del Tesoro saranno inoltre necessari per la nomina del presidente del consiglio di amministrazione e della maggioranza degli amministratori. [...] Quale azionista di controllo, il ministero del Tesoro può, secondo il meccanismo del voto di lista [...] nominare i quattro quinti dei restanti amministratori, un ulteriore sindaco effettivo e uno supplente, nonché il presidente del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale». In contrasto con tutto ciò, dai cartelloni stradali e dagli schermi televisivi, i risparmiatori erano invitati a partecipare alla privatizzazione dell’Enel: un chiaro esempio di pubblicità ingannevole, su cui però l’Antitrust non può intervenire. Infatti la legge prevede che, quando la Consob ha approvato l’insieme delle sollecitazioni al risparmio, gli eventuali profili di ingannevolezza del messaggio non rientrino, a differenze delle normali pubblicità, nelle competenze dell’Antitrust.
Nell’attesa che un governo diverso riprenda il processo di privatizzazione, vediamo almeno di contenere i danni peggiori di queste ambiguità. E, nell’attesa che la mia proposta di legge sia approvata, vediamo, almeno noi, di contribuire alla chiarezza.

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