Molti di coloro che hanno votato M5S avevano in passato votato PD. Constatazione ovvia, da qualche parte i voti persi dal PD devono pure essere andati. Ma che rivela una visione strabica dei flussi elettorali, perché conta solo quelli in uscita e non quelli in entrata. Dimentica cioè gli elettori che o non avrebbero votato, o avrebbero altrimenti votato, e che invece hanno scelto il PD ritenendolo lo strumento più affidabile per battere il grillismo.
Pochi o tanti? I voti nelle urne si contano, ma nelle decisioni politiche è bene pesarli. A differenza di chi ha continuato a votare PD per identità e fedeltà, i voti ” in entrata” sono di quanti lo hanno positivamente scelto per quello che esso oggi rappresenta nel panorama politico. Quelli hanno votato PD per coerenza con la propria storia, questi per la coerenza dimostrata dal PD con la sua storia. I voti “in entrata” sono di chi non dimentica le scelte politiche, men che mai quelle ideologiche degli antenati del PD, non i tanti appuntamenti mancati: ma riconosce, dalla svolta di Salerno al settennato di Napolitano, un modo serio di interpretare la politica come professione. L’ha votato ritenendo che, nell’offerta politica, lì stesse la migliore garanzia contro il populismo anti-sistema.
Pochi o tanti? quei voti sono la misura del patrimonio di credibilità politica su cui può contare il PD al netto delle abitudini, delle tradizioni, della convenienze. Quel patrimonio oggi è a rischio. Se il Presidente della Repubblica dovesse venire eletto con i voti determinanti dei grillini, andrebbe perso. Nella storia di cui proviene il PD ci sono scelte politiche spregiudicate, anche ciniche: mai compromessi anti-sistema. Il M5S non è un partito politico di diverso orientamento, non è un taxi, non è una costola della sinistra. Non è il partito degli “uomini faceti” dell’Uomo Qualunque a cui Palmiro Togliatti rivolgeva i suoi “discorsi seri”. Il M5S propone una forma di democrazia diretta incompatibile con la democrazia rappresentativa, in contrasto irriducibile non solo con la nostra attuale nostra Costituzione, ma con la Costituzione di qualsiasi grande Paese. Senza parlare dei modi di funzionamento e di governance interna. Se si fa un accordo politico con un avversario, si resta se stessi: se ci si mescola con chi nega i propri principi fondanti, si cambia dentro.
Pochi o tanti? Se per una scelta così oggettivamente ed emblematicamente importante, il PD dovesse chiedere il voto di chi è antitetico alla concezione stessa della politica che costituisce il proprio patrimonio, a rischio sarebbe questo patrimonio. Non sarebbe solo la delusione dei pochi, andrebbe a pezzi il riferimento identitario. Se la storia, la tradizione del partito non conta più, cade anche un argine alle spinte centrifughe che già attraversano il partito. Se si attraversa quel confine, perché stare insieme? E se non si sta insieme, quale forza politica potrebbe opporsi a chi vuole scardinare il sistema? Se facesse quella scelta, l’attuale dirigenza del PD perderebbe il controllo del partito; e se ne dovrebbe fare una ragione. Ma a perdersi sarebbe il partito stesso: e questo, nel povero panorama politico, sarebbe un dramma.
Eleggere un presidente che, per storia e immagine, non rappresenti l’unità degli italiani sarebbe un errore politico: il PD ha già sperimentato, con la modifica del Titolo V della Costituzione fatta a colpi di maggioranza, quanto costino certi atti di forza. Ma eleggerlo con i voti determinanti di un movimento che si dichiara anti-sistema sarebbe un errore esistenziale: sarebbe un vulnus all’identità del partito, la negazione ultima di quella egemonia culturale che fa parte del suo patrimonio genetico.
Per garantirsi contro l’eventualità che il Presidente della Repubblica sia eletto con i voti determinanti di M5S è indispensabile che i PD si accordi per eleggerlo nelle votazioni a maggioranza qualificata. Dalla quarta in avanti il gioco può scappare di mano. Se succedesse, nessuno potrà dire che è stato per caso.
ARTICOLI CORRELATI
Le volpi e i leoni della Repubblica
di Angelo Panebianco – Il Corriere della Sera, 15 aprile 2013
I.C.
11 annoe fa
Caro Franco,
Capisco queste ragioni ma capisco ancor più le ragioni per non fare patti con l’altra forza dichiaratamente antisistema, capace di piegare il Parlamento alle pulsioni sessuali del proprio capo.
Un cordiale saluto.
I.