Salvatore Bragantini (Corriere di ieri, pagina 14) non ha dubbi: la modifica della disciplina del falso in bilancio è una «riforma sbagliata». Oggi, a legge approvata, è inutile discutere su quello che sarebbe potuto essere. La domanda da porsi è: per gli operatori economici è preferibile la legge attuale a quella finora in vigore? Io sostengo di sì. Bragantini dice di no, ma in realtà il suo confronto è tra la nuova e una bozza ormai consegnata agli archivi. Che quella bozza fosse migliore non me ne deve convincere.
In Senato ho votato gli emendamenti che riproponevano il testo Fassino. Respinti, l’unico confronto possibile è con la vecchia legge. E se il confronto è questo, a chi continua a credere che il prius delle scritture contabili d’impresa sia la loro fede pubblica, io oppongo — sostenuto da un’ ampia dottrina — la visione delle imprese come fascio di contratti, i cui contraenti esigono dalla legge la protezione dei loro contrapposti interessi, e non l’aderenza ad astratti principi. Credo che compito degli amministratori sia dare una adeguata rappresentazione della realtà aziendale, non fornire l’impossibile fedele riproduzione di una «Verità».
D’altra parte quali sono i risultati che ha prodotto la vecchia attuazione penale del 2261 c.c.? Quanti gli illeciti puniti, quanti invece i procedimenti aperti e conclusisi o con assoluzioni o con archiviazioni? Quanti i casi in cui il «non poteva non sapere» è stato usato per ragioni che con i diritti degli investitori non avevano nulla a che fare? Bragantini sostiene che la nuova formulazione rende più difficoltosa la formazione delle prove. È una tesi affine alla visione per la quale il falso in bilancio dovrebbe essere perseguito non in sé e per sé, ma perché strumento con cui provvedere i mezzi economici per commettere reati più gravi. Ma delle due l’una: o si hanno prove del reato più grave e allora questo sussume in sé anche quello strumentale al procurarsi i mezzi per commetterlo; oppure corruzione e quant’altro non sono provate, e il falso in bilancio vecchia maniera è uno strumento improprio consegnato alla magistratura per punire arbitrariamente un reato di cui non si hanno prove.
Questo è ciò che è accaduto per decenni: ed è ciò che la larga parte della società e non solo gli imprenditori chiedono che non succeda più. Aver elaborato una proposta in questo senso è un fatto di civiltà giuridiche, merito dei governi di centrosinistra. A chi trova migliori le formulazioni della commissione Mirane, conviene ricordare perché alla sinistra non sia riuscito in un anno quello che l’attuale maggioranza ha fatto in meno di 90 giorni: le prime anticipazioni della Mirone vennero accolte con severe critiche da una parte della magistratura, riprese da autorevoli commentatori e da organi di stampa, tanto che la commissione credette più prudente prevedere solo genericamente la pena ,della reclusione. Il 27 Maggio 2000, Federico Rampini su Repubblica («Vince il volto peggiore del capitalismo») si domandava testualmente: «Ma una riforma cosi Amato non poteva lasciarla fare a un Governo Berlusconi?». Il timore di un’aspra divisione nella maggioranza consigliò al governo di rinunciare a far approvare la legge.
La riforma del falso in bilancio come le pensioni o la flessibilità nel mercato del lavoro. Con una differenza. Mentre tutelare i ceti sociali sindacalizzati è un credito antico della sinistra, compiacere una parte della magistratura assomiglia piuttosto a un debito recente. Io condivido quindi le osservazioni tecniche di Bragantini, anche se osservo che sono ormai inutili. Credo però che lui condividerà il mio giudizio politico: sono state le «riforme rinunciate» della sinistra ad aprire la strada alle «riforme sbagliate» della destra. Non so se concorderà nell’individuare i gruppi sociali e i referenti culturali che hanno propiziato questo risultato.
Se ho deciso di non votare contro questa legge è perché nella mia, testa il favore reso a Berlusconi nei suoi processi, favore che considero gravissimo e sbagliato, non può sovrastare la soddisfazione dei legittimi interessi degli operatori economici, che da anni attendevano leggi che li proteggessero da arbitrarietà e incertezze.
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settembre 29, 2001