Un passo avanti contro l’arbitrio e l’incertezza

settembre 29, 2001


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali


Salvatore Bragantini (Corriere di ieri, pagina 14) non ha dubbi: la modifica della disciplina del falso in bilancio è una «riforma sbaglia­ta». Oggi, a legge approvata, è inu­tile discutere su quello che sarebbe potuto essere. La domanda da por­si è: per gli operatori economici è preferibile la legge attuale a quella finora in vigore? Io sostengo di sì. Bragantini dice di no, ma in realtà il suo confronto è tra la nuova e una bozza ormai consegnata agli archivi. Che quella bozza fosse mi­gliore non me ne deve convincere.

In Senato ho votato gli emenda­menti che riproponevano il testo Fassino. Respinti, l’unico confronto possibi­le è con la vecchia legge. E se il confronto è questo, a chi continua a credere che il prius delle scritture contabili d’impresa sia la loro fede pubblica, io op­pongo — sostenuto da un’ ampia dottrina — la visio­ne delle imprese come fa­scio di contratti, i cui con­traenti esigono dalla leg­ge la protezione dei loro contrapposti interessi, e non l’aderenza ad astratti principi. Credo che compi­to degli amministratori sia dare una adeguata rappresentazione della re­altà aziendale, non fornire l’impos­sibile fedele riproduzione di una «Verità».

D’altra parte quali sono i risulta­ti che ha prodotto la vecchia attua­zione penale del 2261 c.c.? Quanti gli illeciti puniti, quanti invece i procedimenti aperti e conclusisi o con assoluzioni o con archiviazio­ni? Quanti i casi in cui il «non pote­va non sapere» è stato usato per ra­gioni che con i diritti degli investi­tori non avevano nulla a che fare? Bragantini sostiene che la nuova formulazione rende più difficolto­sa la formazione delle prove. È una tesi affine alla visione per la quale il falso in bilancio dovrebbe essere perseguito non in sé e per sé, ma perché strumento con cui provvede­re i mezzi economici per commette­re reati più gravi. Ma delle due l’una: o si hanno prove del reato più grave e allora questo sussume in sé anche quello strumentale al procurarsi i mezzi per commetter­lo; oppure corruzione e quant’altro non sono provate, e il falso in bilan­cio vecchia maniera è uno strumen­to improprio consegnato alla magistratura per punire arbitrariamen­te un reato di cui non si hanno pro­ve.

Questo è ciò che è accaduto per decenni: ed è ciò che la larga parte della società e non solo gli impren­ditori chiedono che non succeda più. Aver elaborato una proposta in questo senso è un fatto di civiltà giuridiche, merito dei governi di centrosinistra. A chi trova migliori le formulazioni della commissione Mirane, conviene ricordare perché alla sinistra non sia riuscito in un anno quello che l’attuale maggio­ranza ha fatto in meno di 90 giorni: le prime anticipazioni della Mirone vennero accolte con severe criti­che da una parte della magistratu­ra, riprese da autorevoli commen­tatori e da organi di stampa, tanto che la commissione credette più prudente prevedere solo generica­mente la pena ,della reclusione. Il 27 Maggio 2000, Federico Rampini su Repubblica («Vince il volto peg­giore del capitalismo») si doman­dava testualmente: «Ma una rifor­ma cosi Amato non poteva lasciar­la fare a un Governo Berlusconi?». Il timore di un’aspra divisione nel­la maggioranza consigliò al gover­no di rinunciare a far ap­provare la legge.

La riforma del falso in bilancio come le pensioni o la flessibilità  nel merca­to del lavoro. Con una dif­ferenza. Mentre tutelare i ceti sociali sindacalizzati è un credito antico della sinistra, compiacere una parte della magistratura assomiglia piuttosto a un debito recente. Io condivido quindi le osservazioni tecniche di Bragantini, anche se osservo che sono ormai inutili. Credo però che lui condividerà il mio giudizio politico: sono sta­te le «riforme rinunciate» della sinistra ad aprire la strada alle «riforme sbagliate» del­la destra. Non so se concorderà nell’individuare i gruppi sociali e i referenti culturali che hanno propi­ziato questo risultato.

Se ho deciso di non votare contro questa legge è perché nella mia, te­sta il favore reso a Berlusconi nei suoi processi, favore che considero gravissimo e sbagliato, non può so­vrastare la soddisfazione dei legit­timi interessi degli operatori economici, che da anni attendevano leggi che li proteggessero da arbi­trarietà e incertezze.

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