Se un Paese adotta misure protezioniste, soleva dire Giuliano Amato quand’era presidente dell’antitrust, sono i suoi cittadini che finiscono per pagarne il costo. Anche se lo fa a fin di bene, avrebbe dovuto aggiungere: c’è infatti sempre il pericolo che un provvedimento protezionista scappi di mano, e finisca per sortire conseguenze molto diverse dalle intenzioni di chi l’aveva proposto. Per ironia del destino, è proprio quello che sta succedendo con il decreto del suo Governo che sterilizza al 2% il diritto di voto di quel 20% di azioni Montedison che Edf aveva rapidamente messo insieme.
Quel decreto costa agli italiani, sostenevo («La Bolletta Edf» La Stampa. 26 maggio 2001): pagano i consumatori che devono rinunciare ai vantaggi di minore concorrenza nel mercato elettrico; pagano gli azionisti delle banche che hanno in portafogli titoli Montedison, che non possono lucrare plusvalenze; pagano gli azionisti di Montedison che rischiano di vedere bloccate operazioni che richiedono maggioranze qualificate in assemblee straordinarie. Certo, è per guadagnare tempo e forzare una liberalizzazione a livello europeo: ma i vantaggi della liberalizzazione andranno a tutta l’Europa, mentre i costi per ottenerli li avremo pagati solamente noi.
È passato poco più di un mese, e il protezionismo ha prodotto il suo più classico effetto: il trasferimento di una rendita ai soggetti del paese “protetto”. Soggetto italiani — Fiat e le tre banche grandi azioniste di Montedison — possono così inserirsi vantaggiosamente nel gioco, offrendo a Edf la possibilità di “sdoganare” il suo 20% e di uscire dal vicolo cieco in cui la legge l’aveva messa. “L’Opa aggira (circumvent) la legge italiana”, titola il «Financial Times» di ieri. E questo fa sorgere un problema politico, reso delicato dal fatto che si svolge a cavallo tra il vecchio ed il nuovo Governo. Prima di firmare il decreto. Amato ha doverosamente verificato con la nuova maggioranza, in attesa che si formasse il nuovo Governo, l’accordo su questo scambio, temporaneo protezionismo in Italia contro futura liberalizzazione in Europa. Se ora il nuovo Governo dice di voler restare neutrale, deve essere chiaro che questo non è in ossequio agli accordi a suo tempo intercorsi, ma è una decisione autonoma. Una decisione che modifica, non che prosegue, quella del Governo Amato.
Oggi il decreto inizia al Senato l’iter per la conversione. Il Governo o lo ritira o lo modifica in relazione a un’iniziativa di mercato che lo “circumvent”. Un Governo non lascia che i suoi decreti, ancor più quando sono in corso di approvazione e quindi emendabili, sia aggirato. E se lo fa, la responsabilità è interamente sua. E tanto meno può chiedere l’approvazione di un decreto “aggirato”. Approvare quel decreto oggi vorrebbe
dire non più approvare i suoi obiettivi iniziali, per quanto discutibili — e io ritengo lo fossero — i mezzi impiegati: vorrebbe dire approvare le conseguenze distorsive impreviste a cui esso sta dando luogo. Nell’Opa Telecom la neutralità del Governo servì al funzionamento di una legge del Governo, la legge Draghi, qui la neutralità serve a consentire l’aggiramento di una legge prima ancora che sia approvata. Se proprio si vuole il paragone con Telecom, è quello della prima privatizzazione a cui ci si dovrebbe riferire, e del “nocciolino duro” a cui Prodi chiese di assumere la guida del gruppo telefonico, nel timore che finisse in mani estere: ancora una volta dunque un’iniziativa dettata dal protezionismo.
Abbandonare il tentativo di liberalizzare il mercato europeo, o evitare che il decreto sia aggirato: lasciare libero gioco alla forza di mercato o guidare la transizione verso nuovi assetti del capitalismo. Questi i temi su cui ci si dovrebbero confrontare maggioranza e opposizione. La sinistra deve assolutamente evitare di far scadere la vicenda a una contabilità tra favori fatti e favori resi: una tentazione che, proprio perché autolesionistica, per la sinistra è pericolosa. La destra deve essere cosciente che il tema degli interessi è per lei un nervo scoperto, e quindi deve affrontare la sostanza dei problemi e non nascondersi dietro formalismi, del decreto o di patti parasociali a difesa della bandiera. Questo non è un paese delle banane: né maggioranza né opposizione possono permettere che insinuazioni fuori luogo interferiscano in questa vicenda. Perché interessa il nostro maggior gruppo industriale e perché il rivolgimento che si sta innescando modificherà dal profondo, molto di più di quanto ha fatto la scalata alla Telecom, gli assetti industriali e finanziari del nostro Paese.
I giornali francesi ovviamente cantano vittoria perché. sostengono, la guida industriale del gruppo sarà in mano all’Edf. C’è da capirli: per averla, hanno pagato un prezzo d’affezione, 3,3 euro comprando sul mercato per mettere insieme il loro 20%, contro i 2,8 di prezzo dell’Opa, e inoltre devono accettare una valutazione degli impianti conferiti da Fiat giudicata dagli analisti molto generosa. Quanto a noi, immaginando i sommovimenti che stanno per prodursi negli assetti della nostra economia, ricordando le poche vittorie e le tante sconfitte nei nostri tentativi di allargarne i confini, riandando con la memoria a vicende su cui una generazione si è appassionata, se nondimeno riuscissimo a osservare tutto questo con distacco, come una storia di ordinario capitalismo, e ricordassimo la frase di Amato citata all’inizio, potremmo limitarci a trarne una morale: anche i francesi pagano un prezzo per il loro protezionismo, parte dei soldi sborsati dal loro campione nazionale serviranno a regolare i conti e a ridefinire gli equilibri del capitalismo in un paese vicino.
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luglio 3, 2001