intervista di Alberto Papuzzi
«Io sono soltanto me stesso. Non sono l’aanti Berlusconi. Come potrei?». Il gran borghese Franco Debenedetti rifiuta le etichette e si irrita garbatamente se la sua candidatura nel polo progressista – collegio senatoriale numero 1 a Torino – viene messa in relazione con la rivalità tra Carlo Debenedetti, suo fratello, e Silvio Berlusconi, sua emittenza. Non è l’interprete di una guerra tra l’Ingegnere e il Cavaliere. «Però è vero – ammette – che la scesa in campo di Berlusconi mi ha dato ulteriori ragioni per essere nello schieramento progressista».
Così questo imprenditore sessantenne, che costituì il settore componenti della Fiat e quello dei servizi informatici alla Olivetti, e che si è dimesso venerdì scorso dalla presidenza della Sasib di Bologna, «come indicazione agli elettori di un impegno totale in politica», si trova schierato con il sindacalista rifondazionista Fausto Bertinotti, l’ex sindaco rosso Diego Novelli, l’ex operaio comunista Rocco Larizza, il verde ex dp Edo Ronchi. Decisamente dall’altra parte rispetto al fronte conservatore guidato dal leader di Forza Italia.
Ingegner Debenedetti, si rende conto che la sua candidatura sarà messa in relazione con lo scontro fra suo fratello e Silvio Berlusconi?
«E’ una domanda che faccio fatica a capire. Io rappresento soltanto me stesso. Ho un ufficio di duecento metri quadri e il paragone con il capo di un movimento politico che si propone alla guida del Paese con televisioni. giornali, pubblicità mi pare del tutto fuori posto».
Ma dietro la sua candidatura c’è anche un impegno politico della famiglia?
«Assolutamente no».
Riesce a spiegarci in sintesi perché ha scelto i progressisti?
«Sul manifesto dei progressisti si legge: “Governare per ricostruire l’Italia”. Io assumo in pieno questa prospettiva di ricostruzione istituzionale, morale e economica. Ma la ricostruzione si può fare unendo la gente non dividendola. Ecco la ragione politica per cui sono con i progressisti e non potrei mai stare con la destra».
Che cosa rimprovera a Silvio Berlusconi?
«Trovo incredibile che osi dire: “Io creerò posti di lavoro. Parola di re”. È un insulto a chi oggi soffre le conseguenze della crisi. È come vendere scatolette colorate ma vuote a chi ha fame. E significa non capire che la disoccupazione è un problema strutturale ed europeo».
Sono reali le analogie con il 1948?
«Sì, perché lo schieramento di destra è fatto di contraddizioni: nazionalismo e federalismo, rivolta fiscale e riforma fiscale, liberismo e monopoli. L’elemento unificante è un fantasma: il comunismo. Perciò c’è interesse a ricreare l’anticomunismo. Mi stupisce un imprenditore che guarda al passato: che garanzie può dare per il futuro?».
Se Berlusconi diventa presidente del consiglio, che scenario vede?
«La considererei una iattura drammatica. Se uno dice: “Io abbasserò la pressione fiscale di un punto all’anno per dodici anni”, è pura demagogia. Le sue proposte sono così: o vuote o inapplicabili Ma, cadute le proposte, resterà un rozzo programma di destra, che risolverà alcuni problemi di alcuni ma lascerà problemi drammatici per tutti».
Un grande borghese con Rifondazione, con la Rete: è un’alleanza vera o una scelta tattica?
«Partiamo dai dati di fatto: le alleanze non sono un optional. Il sistema uninominale è stato voluto per creare delle alleanze. La nostra è un’alleanza elettorale che lascia aperto il problema delle alleanze di governo».
Ma lei andrà a chiedere i voti anche agli elettori di Rifondazione e della Rete?
«Io andrò a chiedere i voti anche agli elettori che si riconoscono in Rifondazione o la Rete, partiti con la cui impostazione ideologica non ho alcun punto di contatto. Lo chiederò in assoluta onestà perché le loro esigenze sono anche le mie. La lotta alla disoccupazione, uno Stato giusto sono un’esigenza mia quanto loro».
Però loro hanno in mente soluzioni diverse, o no?
«Dissento profondamente dalle soluzioni che suggeriscono gli esponenti di quelli formazioni politiche. Questo conferma che c’è alleanza elettorale e non c’è alleanza di governo».
Sul piano personale, in questa alleanza, lei non si sente un transfuga?
«Mai più! Io con gli operai ci ho lavorato tutta la vita. Io sono entrato nella fabbrica di mio padre quando aveva 85 operai. Le mie radici sono nella piccola industria torinese. L’ingresso in politica rappresenta una continuità con la mia vita».
La classe imprenditoriale italiana deve rimproverarsi degli errori?
«Credo che siano stati fatti anche errori. Per esempio se la Fiat ha perso quote di mercato in Europa è difficile pensare che ciò non sia anche il frutto di decisioni imprenditoriali errate. Detto questo, ciò che dobbiamo fare è aiutarla a recuperare posizioni».
Quante possibilità di successo si dà?
«Con un budget di spese sottoposto per legge a vincoli strettissimi, è difficile comunicare con centocinquantamila elettori. Ma sono convinto che se riuscissi a parlare a tutti loro, vincerei alla grande».
Tweet
febbraio 21, 1994