L’economia vacilla sotto l’effetto di uno shock petrolifero di dimensioni impensate e i mercati più che mai avrebbero bisogno di punti di riferimento. Ma il governo non esita a cambiare in corsa l’intera Autorità di regolazione dell’energia, per scopi futili, introducendo ulteriori elementi di incertezza in operatori e consumatori.
La legge è molto attenta a garantire l’indipendenza delle Authority, non solo dagli operatori economici dei settori regolati, ma anche dalla politica. E la certezza della durata in carica dei componenti ne è il prerequisito.
Può servire solo per essere accolto da un distratto presidente d’Assemblea all’interno del decreto fiscale, l’emendamento di un deputato leghista, fatto proprio dal governo, che col pretesto della riduzione dei costi della pubblica amministrazione azzera i vertici dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas: infatti i costi dell’Autorità sono interamente a carico dei soggetti regolati, con contributi non superiori allo 0,3 per mille del loro fatturato.
SOLO PRETESTI
È pretestuoso sostenere che i componenti dell’Autorità debbano essere cambiati per i nuovi compiti relativi al programma nucleare e al controllo sull’applicazione della Robin tax: la legge non richiede dai componenti competenze specialistiche, se ne stabiliva il numero all’inizio in tre, poi cinque e ora quattro. Spudoratamente pretestuoso: il ministro Scajola aveva ostentatamente lasciato l’aula quando il presidente dell’Autorità, Alessandro Ortis, aveva sottolineato la necessità di evitare, nel programma nucleare, il ripetersi del famigerato Cip6. E il ministro dell’Economia non aveva risparmiato il suo sarcasmo alle preoccupazioni di Ortis sul pericolo di traslazione della Robin Tax ai consumatori.
Neppure è credibile che alla base siano sotterranee manovre intorno a Snam Rete Gas. Ortis chiede la separazione proprietaria dall’Eni, sostenendo che solo così si riescono a disaccoppiare gli interessi della rete (e degli stoccaggi) da quelli dell’incumbent, e quindi a evitare che gli investimenti mirino a massimizzare l’utilità dell’impresa verticalmente integrata, più che quella dell’infrastruttura e dei consumatori. Personalmente, credo che la separazione proprietaria sia la soluzione migliore. Ma se Eni vendesse, a comperare sarebbe un ente pubblico, Cassa depositi e prestiti o quant’altro. E siccome questo non è il second best, ma è il “primo male”, e per giunta irreversibile, preferisco aspettare a farlo con un governo che non bolli come “mercatista” chi non vuole la proprietà pubblica dei mezzi di produzione.
Ma la legge 481/95 che istituisce l’Autorità al comma 2 dell’articolo 1 stabilisce che è il governo a definire “i criteri per la privatizzazione di ciascuna impresa e le relative modalità di dismissione e li trasmette al Parlamento”. Per l’articolo 2 al comma 2 è il governo che prescrive gli obbiettivi generali da perseguire; il comma 13 descrive la procedura di risoluzione delle controversie nel caso in cui le proposte della commissione non fossero accettate: lasciando al governo la decisione finale.
L’INDIPENDENZA MINATA
L’economia vacilla sotto l’effetto di uno shock petrolifero di dimensioni impensate; i mercati più che mai avrebbero bisogno di punti di riferimento: ma il governo da un lato alimenta la caccia alle streghe-speculatori, dall’altro non esita a cambiare in corsa l’intera Autorità di regolazione, per scopi futili, introducendo ulteriori elementi diincertezza in operatori e consumatori. Riesce perfino a superare Antonio Di Pietro: almeno quando questi era intervenuto a partita in corso per bloccare l’operazione Autostrade Abertis, poteva dar da credere di agire nell’interesse dei consumatori.
Si può girarla come si vuole, ma è chiaro come il sole: il governo vuole cambiare anzitempo gli attuali componenti di questa Autorità. Se il problema fossero state le competenze o il processo di implementazione delle decisioni, sarebbe intervenuto su queste, non sul numero, quattro o cinque, dei membri.
L’emendamento leghista accolto dal governo è estraneo alla materia della legge; appare figlio di una sciocca ripicca; non influisce sulla vexata quaestio della rete; aumenta le incertezze in mercati già fortemente perturbati. Eppure tutto questo non è niente in confronto allo scempio istituzionale che questa iniziativa ha il potere di produrre nell’intero sistema delle Autorità indipendenti.
Le Autorità di regolazione per la “promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità” operano “in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione”. La legge è molto attenta a garantirne l’indipendenza, non solo dagli operatori economici dei settori regolati, ma anche dalla politica, tant’è che le designazioni, di competenza governativa, richiedono il voto favorevole dei due terzi dei componenti delle commissioni competenti. Ma che indipendenza è se la durata in carica non è certa, se il potere politico può mandare a casa i componenti di un’Autorità e sostituirli quando gli garba? La certezza della durata è il primo prerequisito di indipendenza. Oggi tocca all’Autorità dell’energia elettrica e del gas: perché non potrebbe succedere all’Antitrust o alla Consob? Con che angolazione, da domattina, valuteranno le pratiche alla loro attenzione? Che si vada allegramente incontro a un siffatto disastro allo scopo, come parrebbe, di far posto a un paio di pretendenti, è solo una nota di squallore in più.
In gioco è il funzionamento di snodi essenziali di un’economia moderna. Sembra perfino impossibile che non sopravvenga un soprassalto di senso di responsabilità.
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