Al Direttore.
Per la vittoria sui turchi, sigillata con la pace di Carlowitz, Leopoldo I diede come premio al Principe Eugenio, il grande condottiero sabaudo ai suoi servizi, grandi possedimenti tra la Drava e il Danubio. Ma a nessuno verrebbe in mente di chiedersi quale terra si fosse assegnata in premio Leopoldo I: sfido, controllava già tutto l’impero! Spero che il riferimento glorioso e la prospettiva storica mi consentano di sfidare l’impopolarità presso parenti, amici e conoscenti, e di porre una domanda: è logico prevedere una stock option a favore di chi controlla un’azienda?
Nelle società ad azionariato diffuso gli azionisti vogliono evitare che chi gestisce l’impresa compia atti a vantaggio proprio più che loro: per esempio, che si allei con i dipendenti in strategie che gli diano sicurezza e potere in cambio di posti di lavoro o di allargamento del perimetro aziendale, a scapi’ to della redditività del loro capitale. Le stock option servono ad assicurarsi la fedeltà del management e ad allineare gli interessi di chi gestisce con quelli degli azionisti, a cui preme solo l’aumento del valore del loro investimento. Trasferendo l’istituto della stock option in un contesto diverso da quello per cui era stato originariamente pensato, sorge la domanda che si diceva: quale obiettivo economico si intende perseguire dando incentivi a chi già controlla un’azienda perché ne massimizzi il valore per gli azionisti, dunque in primo luogo per se stesso? Dopotutto i viennesi liberati dall’assedio dei turchi non hanno regalato possedimenti all’imperatore.
Gli azionisti di minoranza di tutto il mondo sanno benissimo che chi controlla trae benefici maggiori di quelli che gli spetterebbero in base alle quote di possesso: se così non fosse non ci sarebbe il premio al controllo. Quando investono in società, come alcune tra le maggiori in Italia, punto o poco scalabili perché protette da strutture a cascata, o da patti di sindacato, lo fanno proprio perché pensano che chi detiene il controllo farà il proprio interesse e quindi il loro. Conviene prevedere un ulteriore incentivo?
Qui non c’entrano né la legge né l’etica. C’entra solo la convenienza e l’arbitraggio, è un problema di concorrenza tre varie opzioni di investimento. Ma, a onta di tanto parlare di globalizzazione, nei portafogli degli investitori italiani i titoli di Piazza sono enormemente sovrarappresentati, l’arbitraggio è molto meno diffuso di quanto dovrebbe essere secondo gli schemi degli economisti: colpa di imprinting culturali e di costo dell’informazione. A superare gli uni e ad abbattere gli altri sono all’opera gli investitori istituzionali. Non sono turchi e non assediano Vienna: e a fermarli non varranno né l’imperatore Leopoldo né il Principe Eugenio.
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ottobre 11, 2000