Al Direttore.
Che i governi di coalizione siano costretti a politiche di stop and go, tra sortite coraggiose e ritirate strategiche, è naturale. Ma nel caso nostro, dov’è il go?
L’Enel, già in pole position per essere privatizzata, è stata retrocessa. La vendita di Stet per unità separate, timidamente iniziata con Seat, si è arenata di fronte all’assai più lucrativa Ttm. Sulle pensioni, accordo solo su qualche exploit demagogico. Ferrovie, la triangolazione Burimulo-Prodi-Burlando finisce con la palla ai sindacati. Poste idem. Riforma fiscale: sull’Irep già si addensano nubi. Assistenza: si attendono gli scontri tra le due commissioni, quelle di Palazzo Chigi e quella di Botteghe Oscure. Privatizzazione delle Casse di Risparmio: un disegno di legge rende le Fondazioni soggetti di diritto privato, sicché nessun governo potrà mai più intervenire: un fastidio in meno.
In questo quadro arriva come un fulmine a ciel sereno la proposta di Prodi- privatizziamo la Rai. E, per quanto ci si sforzi, non si riesce a capirne le ragioni (della proposta, non del suo contenuto, s’intende).
Un attacco a Maccanico e alla legge sulla quale sembrava possibile un accordo? Ma non è certo da Maccanico che possono venire pericoli per il governo.
Un bastone fra le ruote a D’Alema e ai possibili accordi bipartisan in Bicamerale? Bisognerebbe che l’azionista di Mediaset fosse interessato a una simile soluzione, cosa che non sembra.
Un modo per far scoppiare le contraddizioni, come si diceva una volta, all’interno del Polo? Ma quelle ci sono già, e non sembra un calcolo troppo astuto pagare per questo il prezzo di farle scoppiare all’interno dell’Ulivo, inimicandosi proprio le forze che controbilanciano il peso del Pds. E poi, se proprio si arrivasse a tanto, quelli metterebbero la golden share anche sulla Mara Venier!
Un’opportunità offerta a Stet per entrare nel business delle comunicazioni di massa? Ma una simile eventualità significherebbe di fatto rinviarne di un paio d’anni la vendita: per quanto Stet sia la pupilla dei suoi occhi, sembra difficile che Prodi voglia rischiare i rapporti con Ciampi a Roma e con Van Miert a Bruxelles (e forse con Tietmeyer a Francoforte).
Ricordando un colloquio di tanti anni fa credo che fosse all’inizio del primo mandato in Iri – in cui mi diceva della sua determinazione di usare il diritto dell’Iri a nominare il direttore generale della Rai – determinazione poi ridotta a più miti consigli – ho persino pensato a una rivalsa postuma. Ma anche conoscendo le doti di memoria del personaggio, sembra un’ipotesi tirata per i capelli
Non resta che la più incredibile, la più disarmante delle ipotesi: Prodi ha voluto fare un regalo al partito del mercato. Un regalo? Nell’Italia dello stop and go, più che altro è un pensiero. Gradito, comunque.
La risposta di Giuliano Ferrara.
Viva la faccia. Franco Debenedetti è un senatore eletto nelle liste dell’Ulivo. Non ha alcuna voglia di passare dall’altra parte. Ma non ha nemmeno voglia di scaldare il seggio e di rinunciare alla testa. E’ un uomo saggio, alla Montaigne: sa che anche seduti sul seggio più alto, si è sempre seduti sul proprio culo. E che dunque è meglio fare la propria parte in interiore ed esterna libertà. Ecco perché dice, in questa lettera a un giornale d’opposizione (che a sua volta si prova con modestia a criticare l’opposizione, quando è il caso) tutto il male possibile dell’azione del “suo” governo, della “sua” maggioranza. I sistemi uninominali, dove i rappresentanti contano perché hanno un’identità e un programma, dovrebbero funzionare così: niente ribaltoni, dialogo fuori dagli schemi. Grazie, condividiamo.
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febbraio 21, 1997