di Carlo Alberto Carnevale Maffè e Franco Debenedetti
La bad bank da tempo tiene il campo, da qualche giorno occupa le prime pagine dei giornali. Ma non è il solo strumento per affrontare la crisi delle sofferenze bancarie italiane. Qui vogliamo presentare un contributo complementare al dibattito: una soluzione nuova, perché possibile solo dal 1 gennaio 2016, con l’introduzione della Brrd (Direttiva bancaria di rimedi e risoluzione); di mercato, perché non ha bisogno di aiuti di Stato; equa, perché rispetta i diritti degli investitori. Ma che va a toccare la governance, cioè la questione che attraversa il nostro sistema bancario dalla sua privatizzazione: e questo farà discutere.
Prima di tutto, definiamo il problema: i crediti deteriorati (sofferenze più incagli) assorbono capitale e ostacolano il credito; pesavano sui bilanci delle banche Italiane per oltre 350 mld a fine 2014 e rischiano di essere circa il 10% in più alla chiusura dei conti 2015. Di questi, oltre 200 mld è costituito da sofferenze, con basse probabilità di recupero. La percentuale di copertura nei bilanci 2014 era del 44,4% in media, del 58,7% per le sole sofferenze. Questo a fronte di una copertura che dovrebbe essere del 82,4% , secondo il criterio del Decreto SalvaBanche, o del 90%, riscontrato nelle più recenti operazioni di mercato. Questo gap di valutazione, applicato allo stock di Npl (non performing loans) del sistema, crea una carenza di copertura che va da circa 54 miliardi di euro per le sole sofferenza a oltre 130 miliardi per la totalità dei crediti deteriorati. Questo gap restringe l’orizzonte del credito a famiglie e imprese, ancor più con l’accorciamento della maturità media della raccolta bancaria, che si sta spostando dalle obbligazioni (17,9%, in forte decrescita) ai depositi (59,2%, tuttora in aumento). Mentre il contesto normativo italiano, la lunga crisi e la debolezza della ripresa, cioè proprio le cause all’origine del problema, impediscono che decolli il mercato dei Npl, rendendo difficile liberare i bilanci bancari da quel peso.
La via che si è finora cercato di seguire è quella della bad bank, in cui spostare la parte dei Npl eccedente i valori fisiologici fatti registrare prima della crisi. Spostare a che valore? Quello di mercato non è sostenibile dai bilanci delle banche; quello di libro, con la differenza pagata o garantita dallo Stato, sarebbe per Bruxelles un aiuto vietato e una distorsione della concorrenza. È peraltro improbabile puntare a “garanzie pubbliche a condizioni di mercato” se il mercato delle garanzie, appunto, non c’è. E qui la discussione si è incagliata.
La soluzione alternativa che proponiamo usa gli specifici strumenti di recovery plan e di intervento precoce offerti dalla Brrd per prevenire l’aggravarsi delle crisi e per evitare i traumi del bail-in. Lo schema prevede due passaggi, entrambi da attuarsi in accordo con l’Autorità di Risoluzione:
- fissare un obiettivo di copertura dei crediti in sofferenza in linea col mercato.
- deliberare, per coprire la conseguente perdita prevista nel bilancio, un adeguato aumento di capitale, e, per l’eventuale inoptato, la conversione prima di tutto delle obbligazioni subordinate, e, ove non bastasse, di parte delle obbligazioni senior, con rapporti di concambio incentivanti, legati a possibili clausole di lock-up.
Lo stock delle obbligazioni nel passivo delle banche (367 miliardi, di cui oltre 70 miliardi costituito da subordinate) appare complessivamente (anche se con forti differenze tra banca e banca) capiente rispetto alle necessità; rispetto alla media europea è un valore alto, anche se la sua incidenza sul totale del passivo è fortemente diminuita negli ultimi anni (ora rappresentano il 77% del capitale e riserve, contro il 316% del 2006; rispetto al totale del passivo, sono passate dal 19,7% del 2009 al 10,7% del 2015).
Ricorrere alla conversione delle obbligazioni in capitale permette di rispondere ai vincoli europei senza far correre ai risparmiatori il rischio di incorrere in perdite immediate e definitive, “comprando tempo” tramite una ristrutturazione patrimoniale non traumatica. Le obbligazioni subordinate sono già oggi considerate assimilabili a forme di capitale. Anche gli obbligazionisti sono esposti a perdite in conto capitale, in caso di risoluzione, o in conto interessi, in caso di cancellazione delle cedole. È interesse anche loro rafforzare i bilanci delle banche liberandoli da un peso che ne ostacola la crescita e ne riduce la redditività.
Per gli attuali azionisti questo comporta naturalmente una diluizione: le quote di controllo diventano più contendibili e appetibili per eventuali compratori o per progetti di consolidamento. Nelle banche in cui le fondazioni bancarie concorrono al controllo, la loro quota verrebbe probabilmente diluita; in altre verrebbero sicuramente ridotte le influenze politiche nella gestione. Ma è per le banche medio-piccole, radicate sul territorio, che lo schema appare più interessante: si favoriscono le aggregazioni, offrendo ai clienti tradizionali l’opportunità di convertire il debito obbligazionario in capitale a condizioni trasparenti, puntando a nuove risorse patrimoniali che sappiano attendere il tempo necessario a un risanamento ordinato del proprio istituto di fiducia.
Un “grande swap” per guadagnare tempo, questo il senso della proposta. Tempo che lo Stato dovrebbe impiegare per impegnarsi in un grande sforzo volto a snellire i processi burocratici e legali che rallentano la gestione dei crediti deteriorati e l’escussione delle garanzie, a completamento del disegno di riforma già avviato lo scorso anno. Si può chiedere ai risparmiatori italiani di investire in “capitale paziente”, ma a solo fronte di un “governo impaziente” di fare le riforme necessarie.
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FR Roberto
8 annoe fa
Partendo dalle conclusioni, ritengo che l’obiettivo debba essere quello di risolvere i problemi, non quello di guadagnare tempo. Meglio una morte istantanea che una lunga agonia!!!
Considerando invece l’origine dei problemi, se i NPL sono iscritti a bilancio ad un valore superiore a quello di mercato, questo vuol dire che probabilmente sono iscritti anche ad un valore superiore rispetto a quello che dovrebbe essere in base ai vigenti principi contabili IFRS, il che vuol dire che i bilanci delle banche potrebbero contenere alcuni errori, magari in alcuni casi addirittura tali da poter ipotizzare qualche falso.
Il primo passo dovrebbe quindi essere quello di fare la dovuta pulizia di bilancio, chiedendo anche conto a chi in passato ha redatto e controllato questi bilanci.
Quest’attività farebbe sicuramente emergere molte situazioni drammatiche, le quali costringerebbero chi oggi si oppone al processo di aggregazione, a dar vita al necessario processo di consolidamento di una realtà troppo frammentaria come quella italiana.
Gli organi di gestione e di controllo delle piccole banche radicate al territorio (la cui competenza in materia bancaria è peraltro molto limitata), finché non saranno costretti, eviteranno il più possibile fusioni che avrebbero l’effetto di intaccare i loro piccoli potentati.
Capisco che la mia soluzione sarebbe tutt’altro che indolore, e che non sarebbe gradita, tuttavia non si può continuare ad operare rappresentando una realtà che non esiste e con la speranza che qualcuno prima o poi riesca ad estrarre un coniglio dal cilindro.
Natale D'Amico
8 annoe fa
Se capisco quindi si parla solo delle obbligazioni subordinate, e non di tutte le obbligazioni.
Franco Debenedetti
8 annoe fa
Non proprio.
A leggere i punti 6, 20 e 81 delle premesse alla BRRD, e art 63 comma f che sancisce potere generale di convertire in capitale il debito tier2 cioe’ subirdinate e tier1 , non solo si puo’ fare ma prescrivono che si debba fare anche in modo forzoso, per evitare resolution.
Inoltre il comma f dell’art. 63
f)
potere di convertire le passività ammissibili dell’ente soggetto a risoluzione in azioni o altri titoli di proprietà di tale ente o entità di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), c) o d), di un ente impresa madre pertinente o di un ente-ponte al quale sono cedute le attività, diritti o passività dell’ente o dell’entità di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), c) o
E’ chiaro che ogni cosa, tanto più una molto nuova come la BRRD, offra spazio a interpretazioni e discussioni, ma mi pare che comunque la nostra proposta sta in piedi.
D’altra parte, anche la bad bank, se mai la dessero (cosa che escluderei e tra l’altro non augurerei pensando ai nostri figli e nipoti) è obbligatoria o facoltativa, per tutti o per chi la vuole:
Siamo solo all’inizio del dibattito, si vedrà.
Natale D'Amico
8 annoe fa
Forse ho equivocato io. Quando voi dite “per l’eventuale inoptato, la conversione … di parte delle obbligazioni senior” immaginate una conversione forzosa, ovvero l’offerta di una opzione di conversione agli obbligazionisti?
Se la conversione è forzosa, è un default. Io obbligazionista avevo alla scadenza il diritto a ricevere la restituzione del capitale prestato, e invece mi viene data della carta. Che l’autorità di risoluzione lo possa fare, non ho dubbi. Ma resta che sarebbe un default. Con le conseguenze del caso (cds, rating, accesso a BCE…). Se invece è la concessione agli obbligazionisti senior di un’opzione di conversione, nulla questio. Che abbiate in mente questa seconda ipotesi, sembra confermato dal fatto che aggiungete “con rapporti di concambio incentivanti…”; cosa mai dovrei incentivare se è una conversione forzosa? Allora però io sarei stato esplicito: “per l’eventuale inoptato la concessione agli obbligazioni senior di una opzione di conversione in azioni.,.”
Franco Debenedetti
8 annoe fa
A me pare che se L’autorità dice che lo devi fare e che non è default (indipendentemente da un’azione di risoluzione), avrà visto che ha i poteri per farlo.Ad esempio ordina di non pagare le cedole (l’ha già fatto) proprio per evitare il default.
Gian Maria Gros-Pietro
8 annoe fa
Sono d’accordo su molte cose del vostro articolo sulla bad bank: in primo luogo, sul fatto che se si vuole alleviare il peso sulle banche, e se l’onere è a carico dello Stato, allora c’è aiuto di Stato. Che però non è vietato dai trattati, a patto che sia con essi compatibile, come lo era quando l’operazione fu fatta da altri paesi europei, ma non dall’Italia. Per colpa di chi? Oggi saperlo non aiuta, bisogna uscirne, facendo meno danni possibile. Per questo come prima cosa bisogna smettere di parlare di bad Bank: parlarne senza agire produce solo panico nei risparmiatori e vendite dall’estero. Si faccia quel che si può fare subito, e chiudiamola lì. L’importante è usare uno strumento flessibile, che ogni banca possa adoperare secondo la situazione effettiva dei propri crediti deteriorati. Perché se per esempio il valore “di mercato” dei npl fosse quello che è stato imposto per le 4 banche salvate, il 18%, esso produrrebbe effetti disastrosi in primo luogo per i debitori ceduti. Chi compra al 18% un credito verso una pmi ancora viva ci guadagna già sequestrando e vendendo magazzino, automezzi, macchinari e immobili a prezzi di saldo. Il suo IRR sarà massimizzato minimizzando i tempi, a scapito dei valori di realizzo. Al termine del realizzo il cessionario del credito avrà ottenuto un IRR anche del 30%, mentre la pmi sarà morta, insieme con i suoi posti di lavoro, proiettando insolvenze verso i fornitori e inadempienze verso clienti e creditori, cioè diventando focolaio di ulteriore infezione. Una banca ha interesse a cedere in questo modo solo i crediti veramente inaciditi. Nel caso di Intesa SanPaolo i dati di resoconto intermedio di gestione al 30/9/2015 sono i seguenti. Sofferenze lorde 39 bn; accantonamenti su di esse 24,5bn; sofferenze nette 14,5bn (ossia, i crediti sono a bilancio al 38% del loro valore facciale). A fronte di ciò stanno, su quegli stessi crediti, 30bn di valore dei collaterali a garanzia. Pur ammettendo che anche i collaterali si siano robustamente svalutati, i numeri lasciano presumere che non sarebbe conveniente per la banca, neppure per l’immediato, cedere quei crediti dimezzando ancora il loro valore contabile. Ma soprattutto sarebbe disastroso per gli effetti di ritorno, essendo una banca come la nostra, che ha il 22% di quota di mercato, sicuramente destinata a subire gli effetti di ritorno delle insolvenze che ogni fallimento proietta nel sistema. Per cui facciano pure un veicolo di ricupero “di mercato” e lascino al mercato, cioè anche a ogni banca, di decidere cosa le conviene. E si smetta di far credere che i npl sono l’unico freno all’espansione del credito. L’offerta di credito è più che adeguata alla domanda buona, quella che corrisponde a investimenti redditizi, anche perché essi originano principalmente in imprese che si autofinanziano largamente. Il resto della domanda proviene in gran parte da pmi che vorrebbero credito per ricostituire la liquidità inghiottita dalle perdite: se anche i npl venissero cancellati da un aiuto di Stato, non sarebbe una buona ragione per ricominciare a produrne dei nuovi.
Franco Debenedetti
8 annoe fa
In realtà il vero obbiettivo della proposta è di buy time: la banca svaluta ma vende solo quando e se vuole. Si evita il firesale, e si facilita un realizzo che ai valori di carico è in molti casi senza speranza.
Inoltre è modulare: lo usa chi crede che gli serva. Altra cosa che non mi piace della bad bank è che, se ho ben capito, è un strumento che tutti devono usare.
Non avevo pensato all’effetto che la vendita di un NPL a prezzi stracciati può avere sul sottostante. Interessante.
Quanto all’offerta del credito, sono d’accordo con te, mancano i progetti su cui investire. E’ peraltro vero che in molte banche il carico dei NPL finisce di essere la prima delle preoccupazioni. Un po’ come lo ora l’occupazione ai bei tempi di Olivetti
Francesco Giavazzi
8 annoe fa
Cioe’ il bail in degli obbligazionisti senior: ho un’obbligazione senior di MPS e mi dai un’azione. Buona fortuna! Io non credo che il mercato prezzi le obbligazioni senior con questo scenario. Il punto teorico e’ che non esiste un unico prezzo per gli NPL. Ci sono due variabili: prezzo e tempo. Se vuoi vendere gli Npl in una firesale non valgono quasi nulla. Se ti dai un orizzonte lungo valgono di piu’. La Bad bank del Banco di napoli ha impiegato 15 anni.
Franco Debenedetti
8 annoe fa
Proprio questo è il vantaggio della proposta. La banca svaluta ma vende quando vuole, se ci saranno plusvalenze tanto meglio. Questo evita proprio il firesale, è un sistema per buy time.
Il guaio è che non ci sono solo i NPL, è più che un sospetto che anche gli altri cespiti siano a bilancio a valori non realistici. Anche nelle banche conisderate migliori.
E poi perchè uno non dovrebbe vendere le obbligazioni quando vanno giù ( vedi MPS) e la BRRD dà all’autorità il potere di proibire la distribuzione di dividendi? Meglio essere azionista di una banca risanata che obbligazionista di una malata.
Pietro Reichlin
8 annoe fa
Ottima la vostra idea ma le banche non saranno d’accordo.