I timori di Debenedetti
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul lodo Maccanico, a sinistra c’è chi esulta e chi ragiona. Il senatore Franco Debenedetti non si tira indietro, lui ragiona e su tre presupposti. “E’ l’ennesima sconfitta del partito degli avvocati di Berlusconi, ed è un peccato perché io l’avevo scritto che il problema dell’improcedibilità temporanea per le alte cariche istituzionali c’era, e meritava una soluzione condivisa che non incorresse in scomuniche.
Dal no della Corte viene un vantaggio innegabile per l’opposizione, ma c’è anche il rischio che per noi della sinistra riformista tutto diventi più difficile, con la ripresa del girotondismo e dell’antiberlusconismo risolto in chiave giudiziaria”. Infine, “una ripresa dello scontro politico tra i due poli in grande stile compromette nuove regole essenziali che sembravano a portata di mano: quelle sul controllo dei mercati, e quelle di riforma costituzionale”. Non esulta, dunque? “La penso come ha scritto tante volte Piero Ostellino sul Corriere. Se il premier non avesse dato retta a chi tra i suoi avvocati gli ha consigliato la via della Cirami, oggi ci troveremmo con un lodo Maccanico forse costituzionalmente approvato dalla Corte. Lo stesso Maccanico osservava ieri sul Corriere che la sentenza della Corte pare respingere la confusione tra improcedibilità temporanea e immunità, più che appuntarsi sul fatto che la legge bocciata era ordinaria e non invece costituzionale. Soprattutto, avremmo le riforme ordinamentali della giustizia che continueranno invece a mancare”. Veniamo alla sinistra. “Ieri Giuliano Amato ha detto parole sante. Uno dei vantaggi della tregua giudiziaria era di aver fermato il battibecco senza fine sulla politicizzazione dei magistrati e dei processi. Era uno scudo per la stessa magistratura, dopo anni di polemiche. Condivido. Vedo che ora una parte della maggioranza riprende invece a sindacare il titolo politico di appartenenza dei giudici della Corte, in nome di una presunta superiorità della volontà nazionale espressa dalla maggioranza degli eletti in Parlamento. Una concezione rousseauiana, non la condivido per niente, riattizza uno scontro che non ha portato da nessuna parte”.
Così continua a parlare della maggioranza, però. Per la sinistra? “C’è un rischio molto forte. Che si rilanci il girotondismo giudiziario proprio quando aveva perso fascino e presa. E che ciò avvenga proprio nei mesi decisivi per porre le basi di un partito riformista, il rischio è di restare invece con una babele di sigline e siglette”. Veramente Massimo D’Alema sostiene che il no della Corte taglia le gambe a Di Pietro e al suo referendum, dando ragione al presidente ds che aveva predetto che ci avrebbe pensato la Corte a dire no alla Gasparri e alla Maccanico. “Evidentemente D’Alema disponeva di informazioni che io non ho. Il problema non è il referendum dell’Italia dei valori. La questione è se riprenderà piede la tentazione di impostare tutto il resto della legislatura martellando Berlusconi sui processi che gli si riaprono”. Un vantaggio da niente, per l’opposizione. “Un doppio pericolo, anche. Primo perché quand’anche si rivelasse vincente nelle urne – e in passato non lo è stato – l’antiberlusconismo giudiziario il giorno dopo aver vinto le elezioni lascerebbe intonso il capitolo di che cosa fare al governo, un problema il cui mancato chiarimento già portò alla caduta di Romano Prodi. Secondo, ci manca solo che a un governo che ha impegnato parte rilevante della legislatura a varare leggi ad hoc, ne segua uno di segno diverso che spendesse eguali energie nello smontarle una ad una. Dell’Italia, ce ne vogliamo occupare?”.
Le convergenze necessarie
Parla come uno che l’abbia votato, il lodo. “Ho votato contro, ma scrivendo sui giornali che era una risposta inadeguata a un problema fondato, e che in ogni caso mi sembrava un po’ tartufesco motivare il no con la giustificazione che diverso sarebbe stato affrontarlo con una legge costituzionale. Ma questo appartiene al passato. Oggi chi la pensa come me deve battersi perché a sinistra i riformisti non vengano di nuovo messi sotto dai manettari. Perché non sfumi la possibilità di costruirlo, il partito riformista: se non se ne gettano le basi adesso, prima delle europee, è un’occasione che sfuma quasi sicuramente per sempre. E perché si continui a battere la strada di convergenze necessarie, a cominciare dalla riforma dei poteri di Consob, Bankitalia e Antitrust di cui si sta finalmente parlando in questi giorni. Sarebbe veramente imperdonabile non agguantare una riforma di cui si parla da anni e che oggi appare possibile”.
gennaio 15, 2004