Immaginiamo il gestore di un fondo di investimento straniero: è interessato alla privatizzazione dei telefoni in Italia, ma il «giallo» di un governo che manda a casa i vertici della società, che pure aveva riconfermato pochi mesi prima, senza dare uno straccio di spiegazione non lo lascia tranquillo. Prima di investire i soldi dei suoi pensionati, manda in Italia un suo analista per cercar di capire cosa sta succedendo. Il giovanotto arriva, si mette in moto incomincia a fare la più ingenua delle domande: perché? «Adesso il padrone è il Tesoro – gli dice uno – che ha deciso di fondere Telecom in Stet: cambiare squadra è logico. Volevano aspettare il primo consiglio di amministrazione, questione di pochi giorni. Ma un giornale ha fatto uno scoop, gli ha scoperto il gioco e han dovuto anticipare». Il giovanotto si accorge che l’amico, mentre parla, arrossisce un po’, giovane sì, americano anche, ma che lo facciano così ingenuo…
«Sai, gli dice un altro, Van Miert si è arrabbiato, ha chiesto a Ciampi se in Italia comanda il governo o la Stet, e han dovuto obbedire». Il giovanotto pensa che cose del genere non le facevano neppure le repubbliche centro-americane ai tempi di Roosevelt, l’altro, quello del bastone. E poi perché il burbero commissario si fa certe idee? «Beh, il governo si era visto bocciato il decreto per far passare Stet dall’Iri al Tesoro, qualche deputato assente…».
Al nostro amico una cosa soprattutto non quadra: perché il governo si ostina a non dare spiegazioni? Va be’ che non siamo in America, ma la cosa non gli torna. Va in albergo e incomincia a ragionare, come faceva quando studiava per il suo Mba. Se la causa scatenante è stata la bocciatura del decreto, ci sono solo due ipotesi: o la precedente riconferma ha incoraggiato una parte della maggioranza a mettere i bastoni fra le ruote, ed allora il silenzio copre l’imbarazzo del governo a riconoscere di aver fatto un errore. Oppure si sospetta che sia stato il vecchio management stesso a creare le condizioni materiali per la bocciatura, e allora il silenzio copre una difficoltà nella maggioranza.
Oppure il decreto non c’entra nulla: qualcuno nel governo si è accorto che, mentre cercava di mediare fra Van Miert e Bertinotti, qualcun altro in azienda badava a cose più concrete, e aveva già deciso che cosa sarà, e soprattutto di chi sarà la Stet privatizzata. Ma in questo caso il problema sarebbe grosso e starebbe dentro al governo: perché è difficile credere che il management non si fosse procurato qualche copertura, e agisse per conto proprio. Il nostro amico non è tipo da scandalizzarsi, l’ipotesi lo intriga. Osserva che Rifondazione si è limitata a criticare Rossi, ma questo non gli sembra una notizia. Nota invece che le altre forze della maggioranza di governo sono state decise nelle loro critiche, che si sono solo lentamente, e solo parzialmente, sanate. Per risentimento di lesa collegialità? O non piuttosto perché alcune componenti di centro vedevano nel management precedente la garanzia che si sarebbe privatizzato sì, ma con un ben preciso modello di nocciolo duro?
Il nostro amico si mette davanti al computer e incomincia a fare il suo rapporto. Nonsappiamo che cosa avrà scritto, ma c’è da dubitare che abbia mandato indicazioni entusiastiche e rassicuranti. Finché non ci si vede chiaro, con tutti quei titoli telefonici da comprare in giro per l’Europa…
Già, non sempre il silenzio è d’oro.
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febbraio 2, 1997