Tre idee per salvare la privatizzazione

settembre 19, 1997


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali


Le voci sono sempre più insistenti e concordi, ormai non è più possibile nasconderlo: la formazione del nucleo stabile per Telecom privatizzata sta incontrando notevoli difficoltà. Ne sono testimonianza la modesta entità delle partecipazioni fin qui annunciate, la dichiarazione di non interesse da parte di alcuni candidati, la stessa disponibilità del Tesoro a ridurre il periodi di impegno a non vendere.

Se ci si riservava di comporre un nucleo stabile pari al 15%, al momento sembra difficile che si superi l’8% anche se dall’estero arriveranno risposte positive.
Di che cosa è figlia questa situazione? Innanzitutto va detto che essa era prevedibile: le banche col poco free capital di cui dispongono dovranno finanziare concentrazioni, ristrutturazioni, diversificazioni; le fondazioni bancarie dovrebbero investire i (futuri) proventi delle dismissioni bancarie secondo criteri di prudente diversificazione finanziaria; i (non molti) investitori istituzionali italiani saranno attivi nel convogliare il risparmio sulla OPV, ma di solito non partecipano ai nuclei stabili. Restano le industrie: ma pochissime sono quelle che possono pensare di intraprendere la strada di una diversificazione industriale, che richiederebbe investimenti ben superiori all’1% del capitale. E oltretutto un’industria che voglia veder ridotta la propria bolletta telefonica- che oggi per le maggiori supera i 100 Mld l’anno – non ha interesse a rafforzare Telecom, ma semmai i suoi concorrenti.
Il fatto che ciò oggi lo si constati davvero, dimostra inequivocabilmente l’errore iniziale: aver puntato su nucleo stabile e golden share per ottenere il consenso politico- dell’estrema sinistra, ma anche della destra-; aver tentato con le stesse armi di esorcizzare il deprecato fantasma di una “occupazione” da parte straniera.
Ora che queste sono le difficoltà in cui ci dibattiamo, come affrontarle? Innanzitutto vanno identificati i rischi da assolutamente evitare: ogni ipotesi di rinvio, anche breve, o. subordinatamente, di mantenimento in capo al Tesoro di quote azionarie sarebbe rovinoso. Farebbe mancare uno degli obbiettivi che Ciampi sta per centrare, portare cioè a termine una grande privatizzazione in anticipo rispetto a Germania a Francia. E poi, a che pro rinviare? Tra alcuni mesi la situazione sarebbe esattamente la stessa.
Per scongiurare questo rischio la mia proposta si articola su tre pilastri. Il primo è di convenientemente rilassare le condizioni di partecipazione al nucleo stabile, sia in termini di sovrapprezzo che di durata dell’impegno a non vendere.
Il secondo è di accettare l’entità del nucleo cui si perverrà, senza che il Tesoro usi verso le banche una suasion non propriamente moral ; d’altra parte ne’ il parere della Commissione del Senato ne’ il decreto del Presidente del Consiglio che fissa le modalità di dismissione pongono vincoli all’entità del nucleo, ne’ definiscono le condizioni.
Il terzo pilastro è di evitare ogni riflesso negativo sull’OPV: questa invece può essere un grande successo. Un nucleo, ancorché stabile, che rappresenta meno del 10% del capitale, per di più minutamente frazionato, non può avere una rappresentanza in consiglio non diciamo maggioritaria, ma senza alcuna proporzione con il reale impegno finanziario. è invece necessario che sia assicurato ampio spazio agli investitori istituzionali per esprimere amministratori di loro fiducia. Neppure Nerio Nesi o Pietro Armani dovrebbero aver paura di essere colonizzati dalle vedove scozzesi o dai pensionati del Nebraska.

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