Quale sarà il quadro competitivo del settore delle telecomunicazioni ai nastri di partenza del gennaio 1998, quando, cioè, entrerà in vigore la norma comunitaria che liberalizza la telefonia fissa?
Mercoledì scorso tutti i giornali riportavano le scandalizzate accuse sul prezzo della benzina: e poco oltre davano notizia dei propositi del ministro Maccanico sul futuro assetto delle telecomunicazioni. In una pagina si constatano i danni provocati dalla presenza di un operatore dominante in un mercato non sufficientemente concorrenziale; qualche pagina dopo si annuncia che un altro settore verrà “liberalizzato” rafforzando la posizione dominante dell’attuale monopolista. Nello stesso giorno.
Quale sarà il quadro competitivo del settore delle telecomunicazioni ai nastri di partenza del gennaio 1998, quando, cioè, entrerà in vigore la norma comunitaria che liberalizza la telefonia fissa? Nel radiomobile, ci saranno Tim più due operatori, uno attivo da pochi anni, l’altro che muoverà i primi passi; nella telefonia fissa ci saranno tre iniziative per trasformare reti aziendali proprietarie in reti nazionali per il pubblico: quelle delle Fs, dell’Enel, della Snam. Questi newcomer dovranno fronteggiare Telecom, forte di 25 milioni di abbonati; che possiede Tim, forte di 7,5 milioni di clienti; che ha un potere determinante, come cliente e come azionista, nelle Pagine Gialle; che ha messo un’ipoteca sulle reti cavo; e a cui il ministro Maccanico si accinge a dare la licenza di un ulteriore sistema di telefonia mobile, il Dect, addirittura in anticipo rispetto alla data formale della liberalizzazione.
Se, tra qualche anno, dovremo constare che nelle telecomunicazioni manca una reale concorrenza per la presenza di un operatore in posizione eccessivamente dominante, tutto si potrà dire tranne che ciò non fosse già scritto fin dall’inizio.
La doppia vicenda, della benzina e delle Tlc, ripropone dunque l’alternativa tra due diversi modi di affrontare il problema della privatizzazione: quello secondo cui il processo consiste solo nel far cadere per legge il monopolio, e nel trasferire la proprietà; e quello secondo cui l’avvento della liberalizzazione e la vendita dell’azienda pubblica devono essere l’occasione per costruire condizioni in cui i concorrenti siano davvero tali. Si tratta di due condizioni affatto diverse, la cui distanza è meglio apprezzabile interrogandosi su alcuni punti.
1) Quanti concorrenti vogliamo avere? Per essere concorrenti reali, tutti gli operatori dovranno disporre sia di radiomobile che di telefonia fissa (la separazione contabile e societaria viene richiesta solo per evitare sussidi incrociati e per tentare di avere trasparenza nei costi di interconnessione: vale, quindi, principalmente per il monopolista; anche in Inghilterra si sta considerando se non consentire ai newcomer l’integrazione delle due attività e le conseguenti riduzioni di costo). Ma attualmente sono disponibili frequenze solo per tre radiomobili, mentre per la telefonia fissa ci sono tre candidati più Telecom.
Stando così le cose, chi risulterà perdente nella gara per il terzo radiomobile avrà un forte incentivo ad accordarsi con Omnitel; le combinazioni possibili non sono equivalenti ai fini del futuro assetto concorrenziale, né sembra fuori luogo che anche ciò venga preso in considerazione al momento dell’aggiudicazione della gara. In ogni caso, bisogna che la licenza del Dect sia concessa a tutti i nuovi operatori di rete fissa, e in anticipo, non dopo Telecom.
2) Che ruolo per gli operatori stranieri nel mercato? La presenza di AT&T in Telecom porrebbe le basi per la nostra colonizzazione: non lo sostiene solo Rifondazione comunista, ma anche il diniano Stajano e, sorprendentemente, un editoriale del «Foglio» («Telecom, se ci comprano con due lire», 6 agosto).
Ma in un sistema dove opereranno pochi player mondiali, il rischio semmai è di restare emarginati: anche perché Telecom ha sprecato anni preoccupandosi più di proteggere il suo monopolio (anche con operazioni di tipo Mmp), che di inserirsi in alleanze mondiali. Per evitare la colonizzazione si chiede “reciprocità”: che cosa vuol dire?
Dato che sarebbe senza senso pretenderla vero AT&T, la reciprocità che si chiede la possono offrire solo i monopolisti nazionali: in sostanza chi questo chiede vuole uno scambio di partecipazioni tra le varie Telecom europee, che ricreerebbe il monopolio nel mercato unico. Invece la reciprocità che è giusto chiedere è quella tra sistemi privati e concorrenziali: al mercato italiano delle telecomunicazioni liberalizzate dovrebbe partecipare solo chi non gode di posizioni monopoliste nel proprio Paese. Curioso: la condizione di reciprocità vien posta per la sola Telecom. non per British Telecom in Albacom, per France Télécom in Infostrada, per Deutsche Telekom nella joint venture con Enel: per rispetto dell’autonomia di Piol, di Colaninno, di Tatò, o non piuttosto perché la posizione dominante di Telecom è data per scontata?
3) Che ruolo per gli stranieri azionisti di Telecom? Sempre nel suo editoriale del 6 agosto, il «Foglio» rileva che se nel nocciolo duro gli investitori italiani sono finanziari, quelli esteri industriali finiranno per acquisire il controllo reale di Telecom «con quattro lire». Ma se non si vuol far pagare caro il premio di maggioranza a chi avrebbe interessi strategici, per timore di essere «colonizzati»; se si pongono limiti alle quote azionarie, se non si vogliono i noccioli duri per timore che ad acquistare sia i «soliti noti» (magari per meno di quattro lire»: allora la soluzione non può essere che quella di lasciare tutto com’è, di non vendere affatto.
La soluzione invece c’è, e proprio le recenti vicende del prezzo della benzina dovrebbero ricordarcelo: preoccuparsi, cioè, un po’ meno di chi compera Telecom e molto di più dell’assetto concorrenziale del mercato. Invece il governo si rifiuta di prendere in considerazione regolamentazioni asimmetriche, quasi tutte le forze politiche ironizzano sulla proposta di procedere a un significativo break-up del gruppo, il ministero ne conferma la posizione dominante con il rinnovo della concessione, anzi la rafforza – con il cavo, con l’ingresso nella piattaforma satellitare, adesso con l’incredibile proposta sul Dect -: si mettono cioè le premesse per lamentare domani gli eccessivi profitti delle imprese, ancor più se saranno straniere.
Non è per la loro benevolenza che non saremo colonizzati, ma solo per la forza e l’iniziativa dei loro concorrenti. E’ delle loro possibilità di crescita che ci si dovrebbe, in primo luogo, preoccupare.
P.S. La Compagnia di San Paolo ha annunciato la propria disponibilità ad entrare nel nucleo stabile di Telecom. Ma la legge sulle Fondazioni non doveva escludere che queste prendessero partecipazioni strategiche e che partecipassero al controllo? Strano, nessuno sembra essersene accorto.
agosto 9, 1997