I servizi di pubblica utilità sono la spina dorsale dell’economia di un paese; farli funzionare con efficienza ed economia è una delle cose che un cittadino pretende dai suoi governanti. In tutto il mondo si riconosce che i governi assolvono meglio a questo compito affidandone l’esecuzione all’iniziativa privata in regime di concorrenza, limitandosi a stabilirne le regole ed a controllarne l’osservanza. Per questo, la massima parte del mio tempo da parlamentare viene dedicata a questo tema, che riguarda tutti direttamente, ed in cui mi è di aiuto l’esperienza professionale accumulata in tanti anni. Di tutti i servizi di pubblica utilità le telecomunicazioni sono i più interessanti, quelli dove l’innovazione è più vivace, quelli da cui più dipende il nostro futuro, di cittadini e di imprenditori.
Posso farlo con qualche conoscenza, ed in assoluta libertà di giudizio, non avendo da molti anni nessuna comunanza di interessi materiali, e da quando sono parlamentare, neppure rapporti di lavoro, con nessun gruppo portatore di interessi specifici.
Sugli assetti di proprietà (cioè la privatizzazione), sugli assetti di mercato (cioè la liberalizzazione e la concorrenza), sulle norme (cioè le Authority), sugli sviluppi tecnologici (cioè cavo e satellite), sono ripetutamente intervenuto in sede parlamentare, in convegni, su giornali, radio e televisione. Sono soprattutto preoccupato che, mentre le decisioni politiche languono, i monopoli si rafforzino, pregiudicando il futuro.
Non si è così ingenui da pensare che ciò accada per disattenzione o per inerzia: per capire perché, bisogna innanzitutto aver chiaro quali sono gli interessi in gioco e come si sovrappongono.
Innanzitutto il telefono: la proprietà di Stet dovrà essere ceduta a privati; il monopolio del telefono dovrà cedere il passo ad un mercato con più operato ri (così come sta avvenendo nei telefonini). Poi le reti cavo in fibra ottica, dove passeranno le autostrade informatiche: che oggi solo Stet può stendere. Poi le televisioni, dove la RAI dovrebbe essere privatizzata (vendendo a privati almeno due reti), e dove su Fininvest pendono la sentenza della Corte Costituzionale e l’esito dei referendum.
Da un lato ci sono convergenze tecnologiche (il cavo in fibra ottica trasmetterà sia telefonia che televisioni) dall’altro contraddizioni politiche: ad esempio i futuri azionisti di Stet (e l’attuale management) avrebbero interesse a che il monopolio duri.
Stet ha interesse a che la data della liberalizzazione del mercato si allontani, per stendere quanto più cavo possibile.
I grandi poteri economici vorrebbero che si privatizzasse, ma giocano in surplace per vedere chi avrà più potere.
Il centrosinistra è d’accordo a privatizzare e liberalizzare, ma vuole che le Authority (indispensabili per regolare il mercato dopo la fine del monopolio) ) mettano ordine anche nel settore TV.
Forza Italia, in teoria d’accordo a privatizzare Stet, vuole che nulla cambi sulle TV, e quindi rallenta sulle Authority per motivi uguali e opposti.
Alleanza Nazionale e Rifondazione, unite nel non volere privatizzare, sono divise sulle TV. Per uscire da questa impasse sostengo insieme ad altri autorevoli esponenti del centrosinistra, che per il momento è opportuno tenere separati i problemi della TV e delle telecomunicazioni: e che su questi ultimi ci si esprima a favore di alcuni indirizzi di fondo, che di per sé sono condivisi dalla larghissima parte del centrosinistra e da buona parte della destra. Questo è il significato dell’appello che, insieme ad economisti di varie simpatie politiche, ho lanciato ai leader politici. Non per forzare la mano, ma per sapere dove vogliamo andare, chi lo vuole e chi no.
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maggio 30, 1995