Con la pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” delle procedure per la costituzione del nucleo stabile, si è aperta la fase finale della vendita di Telecom.
Il risultato è prevedibile: quote di capitale molto frazionate, divise tra istituzioni finanziarie e qualche industriale, il chip assicurativo di qualche player mondiale, sempre che la gazzarra protezionistica non lo faccia dileguare.
Nè diversamente potrebbe essere: se si lascia inalterato il monopolio, la sola strada politicamente praticabile quando si tratta di venderlo è che nessuno possa dirsi vincitore e nessuno possa lamentarsi di essere stato escluso. C’è da chiedersi come potrà esserci concorrenza per il controllo quanto tutti stanno insieme legati nel patto di stabilità, su cui vigila la golden share; e come potrà esserci concorrenza per i servizi, posto che a vigilare sulla posizione dominante di Telecom dovrebbe essere la novella Autorità delle Comunicazioni, un parlamentino lottizzato dove prevarranno le logiche politiche che reggono il mondo della televisione in Italia.
In queste condizioni, qualunque sia la decisione che il Governo assumerà intorno a numero e profilo dei soggetti componenti il nucleo stabile, essa sarà ineffettuale rispetto a ciò che la privatizzazione di Telecom avrebbe dovuto e potuto essere. Che essa sia invece la Grande Occasione Perduta (Alessandro Penati, “Compagnia delle Indie”, Corriere della sera del 22 agosto), consegue necessariamente da due ben precise e individuabili decisioni.
Quelle di mantenere intatto il gruppo Stet e cogliere questa occasione per regolare insieme telecomunicazioni e questione televisiva. Decisioni peraltro tempestivamente individuate, come ben sanno i lettori del Sole-24 Ore. Ma tutto ciò ormai fa parte della storia: è troppo tardi per il break-up di Telecom, e questa Autorità per le Comunicazioni è legge dello Stato.
Oggi ci resta solo più una cosa da fare: evitare almeno che questa sia la Grande Occasione Perduta anche per le imprese italiane, e invece offrire a esse l’occasione di giocare la loro partita nel business del 2000. Non è questo ciò che offre il Tesoro: una partecipazione finanziaria non fa diventare industriali del settore; con l’1% del capitale forse si avrà un posto in consiglio di amministrazione, ma non si investe tutta la propria capacità gestionale; se si seduce con la prospettiva di spartire l’utile del monopolio, modesto risulta l’incentivo a investire in formazione di capitale umano.
Il nucleo stabile viene giustificato con l’esigenza di garantire la continuità della gestione: il che non significa certo continuità dell’attuale management, come il Governo dovrebbe fin d’ora chiarire senza ambiguità. Ma anche dando ciò per scontato c’è da chiedersi: è utile indurre imprese industriali a sottrarre risorse ai business in cui sono impegnate quando la frammentazione non consente a nessuno di avere la leadership? E’ utile che lo facciano le banche, che già col poco o nullo free capital di cui dispongono devono affrontare ristrutturazioni e concentrazioni? E’ decente che lo facciano le Fondazioni, mentre è ancora fresco l’inchiostro del disegno di legge del Tesoro, che escludeva la loro partecipazione al controllo di imprese non funzionali alla loro vocazione? E’ necessario, quando c’è un risparmio largamente eccedente le offerte, come dimostra il milione di investitori per la tranche Eni, o l’offerta San Paolo, operazione da 5mila miliardi metà sottoscritta da risparmiatori?
Questi se vogliono comprare azioni Telecom lo fanno direttamente o tramite un fondo:
perché dovrebbero farlo indirettamente comperando azioni di una banca o di una finanziaria che partecipa al nucleo stabile? E soprattutto: a chi si rivolgerà quando si tratterà di ripetere l’operazione per Eni ed Enel?
Bisogna sgombrare il campo dalla tesi che vorrebbe una presenza italiana maggioritaria a controbilanciare la (necessaria) presenza straniera. Il nostro interesse è che Telecom investa: è più probabile lo faccia se a controllarla è un player mondiale che non può permettersi di trascurare un Paese del G-7 con 60 milioni di abitanti, o un assemblaggio di soggetti italiani cui non si offre potere, ma si chiede di sottrarre risorse ai business principali in cui sono impegnati?
Il nostro interesse è che guadagni di produttività siano passati al cliente: è più facile che l’Autorità – questa Autorità! – si imponga a un player straniero o a una santa alleanza dell’intero capitalismo italiano, pubblico e privato? Se per seguire pregiudizi populistici dissanguiamo il sistema delle industrie e delle banche, avremo solo verificato una volta di più che il protezionismo danneggia solo chi lo pratica.
Conquistare spazi di mercato al concorrente, questo il mestiere dell’imprenditore, non dividersi i profitti del monopolio; appropriarsi del maggior valore che ne deriva alla sua impresa, è la prospettiva che lo motiva a investire in capitale umano. Bisogna dunque offrire alle imprese un’alternativa, la prospettiva di giocare da protagonista nei settori tecnologici e di mercato del futuro, e da protagonista sfidare il monopolio che finora da quei settori li aveva esclusi. Il Governo ha un’ultima carta da giocare, le reti Enel, Snam, Fs: le venda a imprenditori italiani, singoli o organizzati in nuclei duri; provvederanno loro a formare e guidare le necessarie alleanze strategiche e tecnologiche. In queste imprese allo stato nascente gli imprenditori meglio possono esprimere le proprie capacità. Lo faccia subito, contestualmente alla vendita di Telecom; le valutazioni sono certamente già disponibili posto che le joint venture sono state annunciate. Se si vogliono favorire nuove iniziative si garantiscano spazi di mercato, evitando quindi tassativamente ogni ulteriore allargamento delle concessioni a Telecom, dal Dect alla piattaforma satellitare.
Se si vogliono attivare gli animal spirit, si garantisca che le regole non saranno inquinate da interessi politici, si eviti la contraddizione di una “liberalizzazione” con allargamento della presenza pubblica (tramite Enel in primo luogo, ma anche Eni; per le Fs si osa sperare che non si nutrano siffatte ambizioni).
Quanto a Telecom, probabilmente è troppo tardi: il nucleo stabile sarà la foglia di fico per una public company. Si può solo chiedere di rottamare i pregiudizi su presunte colonizzazioni, di escludere tassativamente le Fondazioni. La privatizzazione di Telecom è stata la Grande Occasione Perduta per i consumatori e per i risparmiatori.
Da perdere resta solo più la grande occasione per il nostro sistema industriale: possiamo ancora evitarlo.
agosto 26, 1997