La decisione dell’Enel di acquisire il 30% di Tele+ avrebbe avuto il “consenso tecnico-politico’ del Tesoro. La notizia, ripresa da tutti gli organi di informazione, ha il merito di porre sul tappeto in tutta chiarezza un problema ormai non più eludibile: chi deve definire le strategie dell’Enel durante il periodo in cui il Tesoro ne avrà ancora il controllo, e quali devono essere queste strategie. Problema tutto politico che chiama in causa in primo luogo il titolare del dicastero del Tesoro, nella sua duplice veste di azionista unico dell’Enel e di responsabile primo del processo di privatizzazione.
Non si può certo sostenere che, per l’esiguità dell’investimento, si è nell’ambito della gestione ordinaria: l’iniziativa Tele+ segna un salto di qualità.
L’Enel ha continuamente dilatato il proprio spazio strategico. Ma finché cercava di conservare la propria posizione dominante anche in presenza delle direttive di liberalizzazione, prima vanificandone la portata, poi condizionandone le modalità di recepimento, si trattava pur sempre di iniziative nel proprio campo di attività. Quando dichiara di volersi espandere, dall’acqua al trattamento dei rifiuti, finanziandosi con i ricavi dalle vendite di centrali, quasi che questa non fosse una privatizzazione, esprime — per ora — solo desideri.
È entrata con Wind nella telefonia: ma inventandosi il pretesto di sfruttare i tralicci dell’alta tensione per appendervi le fibre ottiche, e spergiurando che sarebbe al più presto uscita dall’azionariato.
Ora, con Tele+ non sente più neppure il bisogno di inventarsi sinergie, di impegnarsi in promesse: Enel oggi dichiara di pensarsi come un conglomerato che definisce in totale libertà i propri obiettivi e le proprie strategie. Non solo, con l’ingresso nella televisione si colloca nel settore più “delicato” nel sistema politico-industriale. (A quando l’entrata in Rai?). Il tutto, si badi bene, alla vigilia dell’inizio della sua privatizzazione. ‘
Questo sviluppo fa saltare la suddivisione dei ruoli finora vigente tra Tesoro e grandi imprese di servizi (Eni, Telecom, Enel). Stando alla lettera della legge sulle privatizzazioni, la 474/94, al Tesoro spetta la strategia di privatizzazione, al management la strategia aziendale. Il Tesoro si comporta come un socio finanziario, sua preoccupazione è l’allocazione del controllo, realizzare il massimo valore garantendo continuità della gestione: «Il Tesoro governa il primo passaggio di proprietà, il mercato governerà i successivi», scrive Mario Draghi («Il Tesoro, gli azionisti, il mercato» sul Corriere della Sera del 14 agosto).
Questo compromesso, già messo in crisi dal dilatarsi dei tempi di privatizzazione, è di fatto saltato per le ambizioni dell’Enel, che è entrata prima nei telefoni e ora sta per entrare nella televisione. Oggi, mentre i quotidiani affermano che ciò avviene con il “consenso tecnico-politico” del Tesoro, ignoriamo perfino in base a quali valutazioni tale consenso è stato espresso.
Di fronte al caso Tele+ bisogna risalire alla radice del problema. Abbiamo il diritto di chiedere al ministro del Tesoro se intende vendere l’ente nato da e per la nazionalizzazione dell’energia elettrica, o se invece intende custodire le azioni di una società che gestisce autonomamente il proprio cash-flow e l’utilizza per mettere in atto strategie di diversificazione. Abbiamo il diritto di sapere se considera proprio compito attuare la politica di privatizzazione indicata dalla legge 474, sia pur nei tempi e nei modi consentiti dai vincoli politici, o se intende avallare la crescita di un nuovo soggetto industriale di proprietà pubblica fuori da ogni controllo pubblico — i consiglieri nominati dal Tesoro, tenuti dal Codice civile a deliberare avendo riguardo solo all’interesse della società, di fatto avallano le proposte del capo-azienda — lasciando che si aggiungano altri ostacoli politici al completamento della sua incipiente dismissione.
Non bisogna perdere di vista il tema politico di fondo: come a suo tempo la nazionalizzazione dell’energia elettrica, così la decisione di privatizzare costituiscono due momenti cruciali nella storia politica dell’Italia. Le privatizzazioni, l’uscita dall’epoca delle partecipazioni statali sono un cardine degli impegni interni e internazionali degli ultimi sei governi. Questo è quindi un problema politico di prima grandezza In tema di privati77a7ioni Giuliano Amato può rivendicare meriti ed esibire competenze come pochi altri. Al confronto di altri temi dell’agenda politica, questo è ancora un problema di facile soluzione. Non indugi, non lasci che cresca, degeneri e aggiunga le sue metastasi alle tante che già abbiamo. Bastano poche cose: far rientrare l’Enel nei confini per cui è stata a suo tempo istituita; non ammettere deroghe al principio per cui i proventi delle privatizzazioni, che si tratti di aziende o di loro consociate, vanno ad ammortamento del debito pubblico, secondo quanto prescrive la legge.
Con l’occasione il ministro del Tesoro potrà anche prendere in mano un’interrogazione parlamentare volta a sapere quale evento (numero di abbonati, fatturato, risultato economico, valore stimato) deve verificarsi perché Enel mantenga la sua promessa e venda la sua partecipazione in Wind. Mi bastò un’ora per raccogliere le firme di 50 senatori della maggioranza.
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agosto 29, 1999