Con la riduzione delle tasse, Berlusconi ha calato sul tavolo una carta su cui gli altri giocatori sono costretti a “ballare” per i prossimi giri.
Con la riduzione delle tasse, Berlusconi ha calato sul tavolo una carta su cui gli altri giocatori sono costretti a “ballare” per i prossimi giri. Se il centrosinistra ridicolizza i tagli come una “mancetta”, gli consente di dire che lui per primo avrebbe voluto un taglio assai più significativo. Se ne contesta la scarsa incisività, sia per sostenere i consumi sia per ridare competitività alle imprese, ingigantisce l’immagine di un Berlusconi disposto a rischiare il rapporto con gli alleati pur di dar prova di coerenza. Se dice che i tagli sono finti, non puo’ gridare alla macelleria sociale. Se solleva dubbi sulla copertura, non si puo’ lamentare che siano stati trascurati investimenti, per esempio in ricerca, per importi di due o tre volte maggiori.
Il taglio delle tasse ha un significato politico: enuncia una nuova visione del rapporto tra stato e cittadini, diversa da quella corrente. Nella visione a cui siamo abituati da 50 anni, chi governa si considera depositario della conoscenza di quali sono le necessità dei cittadini, di come vanno soddisfatte, e quindi autorizzato a prelevare quanto giudica adeguato allo scopo: sono le varie articolazioni della Pubblica Amministrazione a scrivere esse stesse i propri obbiettivi, gonfiando le richieste gia’sapendo di quanto saranno tagliate. Cosi’ si compattano le corporazioni, e si instaura il metodo “piagnone” che istituzionalizza la carestia. Nelle intenzioni di Berlusconi invece, il punto di partenza diventano le risorse che restano, dopo che si è ampliato il potere di scelta dei cittadini: si innesca una competizione sul modo migliore di spenderle, si puo’ sperare di rompere i blocchi corporativi.
Quando il centrosinistra al taglio delle tasse contrappone la promessa di servizi migliori, si muove nella vecchia logica. “Migliori” erano anche le intenzioni che ci hanno dato la scuola con il rapporto insegnanti allievi tra i piu’ alti d’Europa, le universita’ che non selezionano ne’ professori ne’ allievi, gli incentivi alla ricerca che incentivano piu’ la produzione di carte che di brevetti, i soldi per il Mezzogiorno ( 50 miliardi in 7 anni) che non hanno ridotto il divario con il Nord, un welfare costoso unito a uno dei piu’ alti tassi di disoccupazione di lungo termine. Una presunzione che ha prodotto un oceano di mediocrita’ in cui anche i propositi di “buona amministrazione”, si riducono a “un’immagine grigia quando non confusa, incapace di suscitare emozioni”, come scrive Nicola Rossi.
Questo taglio delle tasse significa dover fare conto con le risorse disponibili. L’efficienza diventa l’obbiettivo e la meritocrazia lo strumento. Noi possiamo fare molto meglio di Berlusconi: perche’ non abbiamo interessi monopolistici alle spalle, perche’ i nostri bacini di consenso sono piu’ diversificati. Soprattutto perche’ il premio al merito e’, dovrebbe essere, un valore della sinistra: non è forse quello il motore dell’ascensore sociale?
Io credo che il centrosinistra dovrebbe seriamente pensare se stare o no al gioco. Puo’ credere che col suo andare avanti e indietro Berlusconi sia gia’ compromesso, che la sua posizione nei sondaggi sia destinata a peggiorare. Puo’ essere una scelta, ma che elude il punto di fondo: efficienza e meritocrazia sono i soli modi per non arretrare. Sarebbe un errore non prendere sul serio i problemi che Berlusconi vorrebbe risolvere, le aspettative a cui da’ voce, e anche le derive di lungo periodo di cui è forse inconsapevole interprete. Se il centrosinistra prendera’ Berlusconi sul serio, non solo riuscira’ a batterlo, ma trovera’ la propria identita’ e le ragioni per governare a lungo questo Paese. Anzi: per trasformarlo.
dicembre 2, 2004