di Alessandro Penati
La proposta è partita da Amato: una patrimoniale per ridurre il debito pubblico. Veltroni l’ha ripresa. Pellegrino Capaldo l’ha rilanciata sul Corriere della Sera, come imposta sulle plusvalenze immobiliari (è la stessa cosa). Fortis l’ha evocata sul Sole-24 Ore, indicando la ricchezza degli italiani come panacea contro una crisi del debito pubblico: se gli investitori esteri scappano dai Btp, gli italiani sono abbastanza ricchi per comprarseli, indirettamente, pagando una patrimoniale. Risolvere la crisi del debito pubblico, scaricandolo sui privati cittadini è un’ idea insensata: non risolve i problemi alla base della crisi della finanza pubblica; è inefficiente; ed è iniqua, a dispetto degli slogan.
(1) C’ è una crisi quando gli investitori cominciano ad avere dubbi sulla sostenibilità del debito pubblico. Conta il livello, ma anche la dinamica del debito, che dipende dalla capacità del governo di incidere durevolmente sulla spesa pubblica, e dal tasso di crescita dell’ economia, dal quale dipende il flusso delle imposte. Il nostro debito, elevatissimo, è tornato ai livelli di 15 anni fa: segno che il problema della spesa pubblica è tale e quale. Ma a differenza di allora non c’ è l’ attesa per l’ euro, che fece scendere i tassi, partiamo da un livello più alto di pressione fiscale e veniamo da un decennio di stagnazione. In caso di crisi, anche se lo abbattessimo con una patrimoniale, il debito ricomincerebbe a crescere. E saremmo da capo. A meno di non far ripartire la crescita e rallentare la corsa della spesa pubblica.
(2) I fautori della patrimoniale sembrano dimenticare l’effetto depressivo sui consumi di una forte caduta della ricchezza. Ridurre il debito al 60-80% del Pil, come proposto, implica una patrimoniale da 600-900 miliardi, ovvero circa 150-250 mila euro per ognuna delle 2,5 milioni di famiglie più ricche, l’ ipotesi Amato; o circa 20-35 mila euro in media per tutte le famiglie nella versione Capaldo. A me pare garanzia di recessione. Ma Capaldo sostiene che la patrimoniale, riducendo l’ onere del debito, permetterebbe di aumentare gli investimenti pubblici: «È innegabile.. che il Paese troverebbe nuovo slancio», chiosa l’ intervistatore. L’ unica cosa di innegabile è che a guadagnarci sarebbero le solite imprese che si aggiudicano gli appalti.
(3) Il 65% della ricchezza degli italiani è costituita da immobili; che costituirebbero la principale base imponibile della patrimoniale. Non c’ è nulla di sbagliato nel tassare il mattone: ma per finanziare gli enti locali, come si fa in tutto il mondo, sul presupposto che il valore delle abitazioni è correlato alla qualità dei servizi pubblici, al decoro, o alla sicurezza. Da noi invece, per finanziare i Comuni tassiamo i redditi, e le case di chi, non residente, non vota: caso unico di taxation without representation, come ha ironizzato Boeri.
(4) Chi è veramente ricco detiene le proprie attività finanziarie in holding, family offices, aziende di famiglia. Per colpirle, bisognerebbe mettere una patrimoniale su tutte le società di capitali. Insensato. E se la società è all’ estero? Impossibile. Chi aveva poi esportato capitali, li ha fatti rientrare con lo scudo attraverso l’ intestazione fiduciaria dei conti esteri: che rimanendo fuori, possono svanire nuovamente, senza che il fisco possa farci niente. Alla fine, la patrimoniale graverebbe prevalentemente sui risparmi del ceto medio, depositati presso gli intermediari.
(5) Oltre metà del debito pubblico italiano è detenuto da stranieri. In caso di crisi si pensa dunque di tassare pesantemente gli italiani per far sì che gli investitori stranieri non perdano un centesimo. Una patrimoniale equivale in tutto a un default: ma assurdo in questo caso, perché non toccherebbe metà dei creditori.
(6) Il nostro debito pubblico è frutto delle pensioni elargite ai cinquantenni e della finanza allegra per comperare consensi negli anni ‘ 80. Chiè causa del dissesto, dunque, non ne sopporterebbe le conseguenze. Strano senso di equità. Ma le idee cattive hanno più fascino di quelle buone. Specie quando servono da paravento per nascondere i veri problemi: l’ incapacità di crescere; e una spesa pubblica che non ha mai smesso di correre.
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