Tangenti, paga il Paese

gennaio 27, 2000


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Le vicende che stanno travolgendo Kohl, coinvolgendo la memoria di Mitterand e sconvolgendo Israele, scoppiate mentre da noi la morte di Craxi ha dato l’occasione alla rievocazione degli scandali che travolsero il PSI, potrebbero indurre a rubricare tutto sotto una sola voce, quella di finanziamento illecito della politica. Sarebbe una grossolana semplificazione; e sarebbe grave se la commissione parlamentare d’inchiesta che sta per essere votata, dovesse indulgervi.

“Tangentopoli non può essere ridotta al traffico delle tangenti e al finanziamento illegale, nazionale e internazionale, di partiti e gruppi politici “ ha scritto Antonio Calabrò ( Il paradosso del dopo-Craxi, Sole 24 Ore del 23 Gennaio) E continuava: “È stata molto di più e di peggio: una scelta di fondo, compiuta già negli anni 60 e poi via via aggravatasi, di “comprare” con il denaro pubblico il consenso di vaste categorie di elettori, di corporazioni, di settori sociali, dilatando la spesa di Stato, Regioni, Comuni, enti, per gare appalti gonfiati, pensioni senza criterio, prebende ingiuste, indennità prive di logica, contributi clientelari e così via sperperando”.
Il finanziamento illecito coinvolge sempre e necessariamente, non fosse altro che per potersi materialmente realizzare, due poli: da un lato la politica, il mondo dei partiti, dall’altro l’economia, il mondo delle imprese. Il lato della politica, quello dell’“impiego”, per usare la terminologia bancaria, presenta aspetti sostanzialmente uniformi; é invece dal lato della “raccolta” che esso si differenzia in una grande varietà di forme e di fenomeni. Il pubblico concentra la sua attenzione sullo scandalo politico, si indigna per gli arricchimenti personali che quasi sempre l’accompagnano: meno si riflette sui danni che il finanziamento illecito procura all’economia ed al sistema delle imprese.
Le tangenti sono tutte uguali, soldi che finiscono nelle casse dei partiti o nelle tasche dei politici: il rapporto con il mondo delle imprese prende invece mille forme. Il danno provocato al paese dalle somme versate ai partiti é sovente poca cosa a fronte dei costi che derivano dalla distorsione del mercato e del sistema dei prezzi.
Lo specifico di Tangentopoli, ciò che la rende diversa dalle storie dalle altre storie di “ordinaria corruzione” di cui leggiamo in questi giorni, è stata l’occupazione sistematica dell’economia da parte della politica che ha avuto luogo in quegli anni.
La sovietizzazione dell’economia italiana di cui parla Tommaso Padoa Schioppa nel suo noto Il Governo dell’Economia non deriva solo dal compromesso che ha partorito gli articoli 41, 42 e 45 della Costituzione, ma da scelte politiche iniziate negli anni 60, radicate e perseguite nei decenni successivi con il consenso convinto ed esplicito di tutte le forze politiche d quello che allora si chiamava “arco costituzionale”; politiche che negli anni del CAF hanno conosciuto il massimo della loro espressione senza che però nessuno n confutasse la legittimazione teorica; politiche hanno condotto alla sistematica occupazione delle strutture dello stato, alla lottizzazione di ogni banca, di ogni consiglio di amministrazione di azienda pubblica, ogni ente consegnato alle esigenze delle clientele e delle corporazioni sindacali. Il danno economico provocato al paese da questo sistema é un multiplo, probabilmente di un ordine di grandezza, del danno provocato dalla somma di tutte le tangenti.
E’ (anche) su questo danno che la commissione d’inchiesta su Tangentopoli dovrebbe concentrare la sua attenzione, per determinarne l’entità e denunciarne le responsabilità politiche; soprattutto dovrebbe individuare le strutture, giuridiche e proprietarie, che hanno reso possibile il suo formarsi.
Non ci sono solo state le (eventuali) ingiustizie di cui sono stati vittima personaggi della politica, ci sono le aziende sane ingiustamente danneggiate, gli investimenti utili non realizzati, le iniziative non nate. Il mercato e la concorrenza sono state le prime vittime di Tangentopoli: e l’Autorità Garante alla commissione su Tangentopoli dovrebbe parteciparvi di diritto, in una simbolica costituzione di parte civile.
E’ chiusa quella stagione? Si potrebbe pensare che a chiuderla abbiano provveduto i procuratori e i giudici di Mani Pulite. Ma ben vedere non può essere l’emergere delle singole responsabilità giudiziarie – o meglio: di quelle che sono incappate nelle maglie della giustizia mentre altre sono riuscite ad evitarle – a sanare un problema le cui radici affondavano, come abbiamo visto, nel sistema economico della nazione. E’ per prosciugare la laguna in cui crescevano le mangrovie di Tangentopoli che i governi dal ’93 in avanti, con Amato e Ciampi innanzitutto, hanno avviato la modifiche legislative per rendere possibile il ritrarsi dello stato dall’occupazione sistematica dell’economia. Da allora sono passati 7 anni, e sarebbe ingeneroso non riconoscere che di strada ne é stata fatta.
Ma sarebbe non obbiettivo non ricordare innanzitutto che la strada é ben lungi dall’essere compiuta. Il Governo deve ancora portare a termine alcune operazioni delicate – Finmeccanica, Alitalia, Aeroporti, Grandi Stazioni, UMTS, centrali Enel, Snam – e due operazioni difficili – Ferrovie e Poste. E poi, e soprattutto, denunciare la nuova forma di presenza pubblica nell’economia che si sta consolidando, usurpando il nome di privatizzazione: le società miste pubblico private. In esse la funzione dei privati é solo quella di fornire il tessuto in cui l’infezione della presenza pubblica potrebbe di nuovo attecchire e svilupparsi; quali sono infatti i legittimi interessi pubblici che la presenza del pubblico nel capitale e nei consigli di amministrazione dovrebbero assicurare e che non possono essere garantiti da rapporti contrattuali chiari, in una limpida separazione di funzioni? In Eni, in Enel, nella piattaforma satellitare, in Wind – a dispetto da quanto venne annunciato quando Carlo Azeglio Ciampi era al Tesoro – nelle municipalizzate di Roma, Milano, Torino, in quasi tutti gli aeroporti incominciando dalla SEA, il pubblico é l’azionista dominante. Il presidente della Fondazione Cariplo Guzzetti dichiara di voler essere “ago della bilancia” nella fusione della “sua” banca con Intesa; la sempre-pubblica RAI si associa con l’ancora-pubblica Enel per concorrere alla gara del telefoni UMTS. Nessuno si scandalizza; ma converrà ricordare che anche quando Formica teorizzava la spartizione delle aziende a partecipazione statale erano in pochi a scandalizzarsi. Si ironizza sulla merchant bank di Palazzo Chigi, ma assai più pericolosa è la imponente holding di partecipazioni di cui stato e comuni sono ancora oggi titolari.
E’ proprio questo terreno, quello delle nuove forme del pubblico nell’economia, a non poterci far dormire sonni tranquilli. Nessuna virtù e indipendenza dei manager, per quanto adamantina, può o potrà evitare che improprie preferenze politiche distorcano l’efficienza economica; o che malintese ragioni economiche pieghino a sé la volontà politica. Può esser scandalosa la mia conclusione, ma sono convinto che, ci siano o meno dazioni di danaro, il danno vero sta proprio in questo improprio mercato tra convenienza politica ed efficienza aziendale.
La commissione d’inchiesta non dovrà stabilire solo la “verità” che riguarda persone e partiti: ma anche ricostruire quella della deformazione del mercato che l’ha resa possibile. Non dovrà solo guardare i mali del passato, ma allertarci su quelli possibili di un futuro che ha già, nel presente, le sue radici.

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