Intervista di Matteo Rigamonti
«Le riforme strutturali veramente utili a rilanciare la ripresa, ma soprattutto a “costo zero” per la collettività, sono le liberalizzazioni». Ne è convinto Carlo Stagnaro, coordinatore del gruppo di lavoro dell’Istituto Bruno Leoni che ha curato l’Indice delle liberalizzazioni 2014, presentato a Roma giovedì scorso alla presenza del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. «Ciò che emerge con chiarezza dallo studio è che l’Italia non è certo tra i primi paesi d’Europa per grado di apertura alla concorrenza», spiega Stagnaro a tempi.it, «ma quel che è più preoccupante è che ciò avviene contemporaneamente al fatto che siamo, forse, il paese che sta facendo più fatica tra tutti quelli dell’Unione Europea a uscire dalla crisi; ciò a motivo di una somma di ragioni e di ritardi, di cui la scarsa concorrenza non è che uno tra i tanti».
UN PAESE IN RITARDO. Secondo l’Indice, il paese più liberalizzato d’Europa è il Regno Unito, con un punteggio pari al 94 per cento. Seguono, a pari punti, al secondo posto i Paesi Bassi, la Spagna e la Svezia con il 79 per cento. Sul podio sale anche la Germania al 76 per cento. Chiude la classifica delle liberalizzazioni la Grecia al 58 per cento. L’Italia, invece, è ferma in ottava posizione al 66 per cento, in compagnia di Francia e Danimarca, ma dietro anche a Portogallo, Austria, Belgio, Finlandia e Irlanda.
«A ben vedere, la Germania non è poi così lontana», prosegue Stagnaro, «e condivide anch’essa con il nostro paese la domanda di ulteriori liberalizzazioni; ma noi soffriamo in maniera più patologica i ritardi di una scarsa concorrenza anche per via di una più complessa normativa del lavoro, di una pubblica amministrazione e burocrazia che non funzionano e una giustizia ancora troppo lenta. È normale che, in simili condizioni, il gap da recuperare se non si cambia qualcosa aumenterà sempre più».
LIBERALIZZAZIONI UGUALE CRESCITA. Ciò di cui, tuttavia, non sembrerebbe esserci consapevolezza diffusa, secondo Stagnaro, è che «l’Italia ha solo da guadagnarci a favorire la concorrenza attraverso le liberalizzazioni. Il nostro tessuto produttivo e imprenditoriale, infatti, è tradizionalmente vivo e intraprendente. Puntare sulle liberalizzazioni significherebbe scommettere su di un asset che già c’è e che sicuramente potrebbe garantire opportunità di crescita e lavoro per tutti». C’è un’altro vantaggio insito nella scelta di liberalizzare: «E cioè che si tratta di una riforma “a costo zero”, mentre tagliare le tasse, cosa di cui pure c’è estremo bisogno, comporterebbe un costo in termini di minori entrate per lo Stato».
Conclude, infine, Stagnaro: «Certamente fare le liberalizzazioni non è indolore e nel breve periodo si scontenta sempre qualcuno; ma, se fatte con criterio, non vedo perché non si debbano adottare. L’esperienza insegna che le liberalizzazioni vanno a beneficio della qualità del servizio offerto, come dimostra la pur iniziale liberalizzazione nel settore del trasporto ferroviario, che ha coinvolto l’alta velocità in Italia. Si dovrebbe passare ora a liberalizzare il trasporto pubblico locale, che trasporta la maggior parte dei pendolari».
L’IMMOBILISMO NON PAGA. «Liberalizzare, come ricordava anche il Ministro Guidi, giova sempre a crescita e occupazione», spiega a tempi.it Franco Debenedetti, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, «ma la strategia nel perseguire l’obbiettivo, deve essere duttile. Ci sono temi su cui conviene battere, ben sapendo però che non ci si possono aspettare soluzioni a breve: penso, tra tutti, alla questione Rai: ai motivi politici ora si sono aggiunti anche i problemi economici della crisi del mercato della pubblicità. Proprio per questo bisogna essere “spietati”, se mi passa l’espressione, per fare quale che si può fare subito, men che mai per quello che basta non fare. Per esempio, perché mai i comuni o le regioni devono occuparsi di stabilire i giorni festivi in cui un negozio deve stare tassativamente chiuso? Altro esempio: realizzare una concorrenza vera sull’intera rete ferroviaria è un obbiettivo difficile e lontano. Ma perché si devono usare gli orari appesi dentro le stazioni, oppure l’uso di certe stazioni per ostacolare quel po’ di concorrenza che coraggiosamente cerca di farcela? La concorrenza è un bene che lo Stato è impegnato a garantire: la faccia rispettare anche alle sue aziende».
Per Debenedetti «la stessa cosa vale anche a livello europeo. Il parlamento di Strasburgo vorrebbe che Google venisse spezzata in due, una che gestisce i servizi di ricerca sul web, l’altra che vende spazi pubblicitari ai suoi clienti. Senza avere capito che anche Google, come le carte di credito, le agenzie matrimoniali, le televisioni generaliste, sono mercati a due versanti, in cui l’intermediario connette quanti su un versante, vogliono ricevere un servizio gratis, e quanti sul versante opposto vogliono conoscere le loro caratteristiche per aumentare l’efficacia del proprio marketing. Speriamo che ci sia “un giudice a Berlino”, nel nostro caso qualche politico con la testa su collo a Bruxelles, per evitare simili assurdità».
novembre 29, 2014