Archivio per il Tag »welfare«
→ febbraio 14, 2014
La mattina di venerdì 7 febbraio ho letto sulle colonne di questo giornale l’articolo in cui Leonardo Maugeri raffronta l’industria del venture capital in Usa e in Italia: «In Italia, secondo i dati di “Start Up Italia”, esistono solo 1.127 start up innovative, di cui solo 113 finanziate, per un misero totale di poco più di 110 milioni investiti nel 2013. Niente, rispetto agli oltre 10 miliardi di dollari che – nel 2013 – i soli venture capital statunitensi hanno trainato su start-up americane.
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→ settembre 5, 2010
Negli Stati Uniti la sanità è sempre più al centro del dibattito, dopo la riforma di Barack Obama. E in Europa? La popolazione è sempre più anziana, le casse degli Stati sono sempre più vuote. È destinata ad aumentare la domanda di servizi per la salute, ma i governi nazionali saranno sempre meno attrezzati per soddisfarla. Come si fa a quadrare il cerchio?
Gli autori di questo libro (Andreas Beivers, Alphonse Crespo, Alberto Mingardi, Günter Neubauer, Gabriele Pelissero e Valentin Petkantchin) ripercorrono la storia recente del servizio sanitario nazionale nei diversi Paesi europei, per chiedersi in che misura una migliore collaborazione pubblico-privato possa stimolare efficienza ed economicità. Ne risulta un quadro variegato e complesso, che inevitabilmente rimanda a domande fondamentali. Come garantire un equo accesso ai servizi sanitari? È davvero possibile parlare di “diritto alla salute”? È lo Stato il soggetto più adatto a farsene garante?
Questo libro propone scenari utili, per una sanità più soddisfacente, in grado di contenere gli aumenti di spesa gestendo appieno il potenziale del progresso medico.
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→ marzo 1, 2004
Piero Fassino parlando sabato a Torino al convegno dei DS sul lavoro, ha buttato là una frasetta per indicare come esempi positivi altri paesi europei in cui il prelievo fiscale giunge sino al 45 del pil.
Piero Fassino parlando sabato a Torino al convegno dei DS sul lavoro, ha buttato là una frasetta per indicare come esempi positivi altri paesi europei in cui il prelievo fiscale giunge sino al 45 del pil. Più di due punti rispetto alla soglia attuale: più tasse, dunque, come aveva proposto Giovanna Melandri insieme a esponenti del “Correntone”. Non ha formalizzato la proposta, e tuttavia la logica dell’intero discorso è più risorse per “più Stato e più welfare”. Una proposta indubbiamente impopolare.
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→ febbraio 21, 2002
L’opposizione e l’articolo 18
Fa infuriare un ministro tanto da fargli esautorare con ignominia un sottosegretario, per giunta del suo stesso partito; spacca il Governo, divide la maggioranza seminando veleni tra gli ortodossi e la fronda centrista; provoca crepe sotto l’intonaco del muro dei sindacati; in Confindustria, riapre vecchie ferite tra grande e piccola industria.
Tutto questo riesce a combinare la proposta di modifica, oltretutto parziale e sperimentale, dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, quello sui licenziamenti.
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→ febbraio 17, 2000
In Europa sono diventato liberale. « Quando a ventitré anni scappai dal Cile di Pinochet, ero socialista in politica e marxista in economia. Oggi, da liberale, dico che senza rispetto dei diritti civili e politici non c’è libertà. Ma per garantire lo sviluppo e la libertà ci vuole il mercato. E perché il mercato funzioni bisogna portarlo a chi ancora non ce l’ha. Per questo serve un mondo economicamente più integrato e aperto. E per questo combatto i catastrofisti che nella globalizzazione vedono una doppia tragedia: la fine del lavoro nei paesi avanzati e lo sfruttamento dei paesi poveri». Mauricio Rojas condensa in questo suo biglietto da visita il senso della sua ultima fatica, quel volume Perché bisogna essere ottimisti sul futuro del lavoro (pubblicato da Carocci editore) che non solo confuta, dati alla mano, le obiezioni di famosi critici della globalizzazione come Jeremy Rifkin e Vivianne Forrester, ma che oggi costituisce un manuale per uscire dalle secche in cui si è cacciata la Wto dopo Seattle.
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→ aprile 27, 1997
Le reazioni al report della Commissione Ue a un anno dal giudizio finale sulla moneta unica sono state di due segni tanto diversi da indicare il fossato che l’attuale Governo ha di fronte a sé. La reazione ufficiale di maggioranza, Governo e Quirinale è stata di insofferenza e di rigetto. Come era avvenuto dopo lo schiaffo spagnolo, dopo le analisi di Confindustria, dopo i numerosi segnali che arrivavano dall’Europa. Le reazioni di tutti gli osservatori indipendenti invece — perfino di testate molto “comprensive” nei riguardi della maggioranza — sono state di segno opposto: al centro delle critiche è stata posta l’improprietà di una reazione che, nell’infelice riferimento a contabili e ragionieri, finisce per suonare ingenerosa innanzitutto verso chi, al Tesoro, ogni giorno è impegnato in un compito — far quadrare i numeri — che proprio chi ha reagito peggio a Bruxelles gli rende più difficile.
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