→ Iscriviti

Archivio per il Tag »Tempi«

→  luglio 6, 2017


di Francesca Parodi

L’analisi di Franco Debenedetti

Franco Debenedetti, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, ha seguito da vicino il lavoro dell’ex presidente Nicola Rossi e del suo gruppo di economisti, sociologi e soprattutto statistici attuariali che hanno elaborato la proposta di riforma fiscale, molto discussa in questi giorni in particolare sul Sole 24 Ore. «È un progetto molto ambizioso, di fondamentale importanza per il nostro paese. È vero: questo è un momento complicato, c’è molta incertezza sul futuro politico. Ma forse proprio per questo può essere il momento buono per lanciare un progetto, che può essere di grande utilità anche per uscire dalle incertezze», dice a Tempi. «Perché il nostro progetto non è una bandiera ideologica da agitare in campagna elettorale; si può anche non condividerne principi e risultati, ma si deve riconoscere che è un lavoro scientificamente fondato, economicamente consistente, politicamente rilevante».

“Flat tax” è il titolo, ma, sottolinea Debenedetti, «è solo metà della nostra proposta, l’altra metà è il “minimo vitale”. Il nostro progetto prende in mano, razionalizzandoli, sia il modo in cui lo Stato raccoglie le risorse, sia quello in cui le eroga. Da un lato, l’imposta ad aliquota fissa, con una radicale semplificazione di un fisco ormai incomprensibile per i contribuenti e anche per i tecnici, dall’altro, appunto, il “minimo vitale”, un trasferimento monetario, differenziato geograficamente, indipendente dalla condizione professionale dei cittadini che lo ricevono, ma non incondizionato, e che consente di abolire tutta una serie di prestazioni assistenziali. Col tempo, e con il sovrapporsi di interventi che mirano a singole esigenze, si è perso di vista il quadro complessivo; si può arrivare all’assurdo che, dei sussidi assistenziali, 5 miliardi vadano al 30 per cento più ricco della popolazione» dice Debenedetti. «A differenza di altre proposte che circolano in questa infinita campagna elettorale, una per tutte quella del reddito di cittadinanza proposto dai grillini, tanto economicamente irrealizzabile da essere ormai solo la bandiera di un progetto molto più modesto, il nostro “minimo vitale” è sostenibile e non presenta le controindicazioni di tanti programmi di assistenza universale e incondizionata». Per il presidente dell’Ibl la proposta ha un’ambizione ancora maggiore. «Ripensare come si spendono le risorse che lo Stato raccoglie dai cittadini, significa ripensare obiettivi e funzionamento della Pubblica Amministrazione. Riformare raccolta ed erogazione comporta la necessità di ripensare il funzionamento della PA.». Un tema su cui per decenni si sono esercitate le migliori intelligenze politiche e amministrative. «Il nostro progetto pone una condizione preliminare a ogni riforma della PA. perché obbliga a rispondere a una domanda di fondo: che cosa lo Stato vuole fare e soprattutto che cosa non vuole più fare? Quali sono le cose essenziali e quali le cose diventate superflue o addirittura negative?».

Salvare l’anima
La pressione fiscale in Italia è molto alta: nel confronto con gli altri paesi europei, l’Italia si trova al settimo posto. «È il risultato di quello che è stato fatto con aggiunte di norme di legge che rispondevano di volta in volta a specifiche esigenze o a specifiche pressioni: così si è finito per perdere di vista il quadro generale. Come un tessuto che, a forza di tirarlo in una direzione (quello delle esigenze dello Stato) e nell’altra (quella delle richieste dei gruppi di pressione), è diventato così sgualcito da non riuscire più a vederne né trama né forma. Noi vorremmo “stirarlo”, per renderne comprensibile la trama e funzionale la forma».

Il progetto dell’Ibl è stato criticato da Romano Prodi, perché non rispetterebbe il principio di progressività scritto in Costituzione. Ma, sostiene Debenedetti, progressività dell’onere fiscale non significa necessariamente e solo progressività delle aliquote. «Nel nostro progetto al crescere del reddito diminuisce la quota di reddito esente. Si prevede la deduzione: esclude le fasce di più alto reddito dal beneficiare gratuitamente di alcune prestazioni pubbliche. Ad esempio, da un certo reddito in su, ognuno paga le proprie spese sanitarie certamente, col corrispondente diritto di fare opt out dal sistema sanitario e sottoscrivere una assicurazione privata. La stessa cosa potrebbe farsi per l’università. La risultante è che famiglie e imprese sosterranno nel complesso costi minori. L’Ibl ha anche messo online un modello di simulazione semplificato in cui ognuno può inserire i propri dati e parte della propria dichiarazione dei redditi per verificare quanto pagherebbe di imposte con questo progetto di flat tax».

Debenedetti non sottovaluta le critiche alla proposta. Sa che in Italia occorre fare i conti con una certa diffidenza che vede in questi progetti il tentativo, per dirla un po’ grezzamente, di trovare un escamotage per “rendere i ricchi ancora più ricchi”. «Prodi sostiene che se adottasse questa proposta la sinistra perderebbe l’anima. Mi dispiace sentirglielo dire, avendo stima e affetto per lui. Credo abbia semplicemente pensato che un sistema ad aliquota unica fosse impossibile da digerire per quella confederazione fra Pd e sinistra-sinistra per la quale sta lavorando, e si sia espresso di conseguenza. Ha messo la politics davanti alle policies. Ma proviamo a fare il contrario. Nella nostra proposta c’è una copertura solidaristica, tutti con il minimo vitale; l’obbligo costituzionale di progressività del sistema fiscale viene rispettato e, al contempo, c’è una riduzione del carico fiscale. È questo il problema? Siamo sempre convinti che le tasse siano bellissime, anche se consentono la sopravvivenza di inefficienza e di posizioni di rendita? Questo salva l’anima alla sinistra?».

Motore dell’ascensore sociale
Per Debenedetti la questione, nel suo risvolto politico, riguarda profondamente la sinistra: «Credo che sia necessario chiedersi se incentivare la gente a lavorare di più per guadagnare di più, a investire di più sul proprio capitale umano per diventare più ricca, sia un male o non piuttosto un bene per la società. E questo non per la teoria molto discussa del trickle down secondo cui le spese dei ricchi percolando verso il basso aumenterebbero i consumi e favorirebbero la crescita: ma proprio perché la tensione di tutti a cercare di migliorare la propria condizione è uno dei più potenti motori dell’economia. Prodi è fra quanti sono più preoccupati di una mobilità sociale che sembra sempre più ferma. Non si capisce davvero, allora, perché la sinistra debba essere cieca innanzi alla possibilità di riattivare il più potente motore dell’ascensore sociale: la voglia di migliorare le proprie condizioni».

→  novembre 29, 2014


Intervista di Matteo Rigamonti

«Le riforme strutturali veramente utili a rilanciare la ripresa, ma soprattutto a “costo zero” per la collettività, sono le liberalizzazioni». Ne è convinto Carlo Stagnaro, coordinatore del gruppo di lavoro dell’Istituto Bruno Leoni che ha curato l’Indice delle liberalizzazioni 2014, presentato a Roma giovedì scorso alla presenza del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. «Ciò che emerge con chiarezza dallo studio è che l’Italia non è certo tra i primi paesi d’Europa per grado di apertura alla concorrenza», spiega Stagnaro a tempi.it, «ma quel che è più preoccupante è che ciò avviene contemporaneamente al fatto che siamo, forse, il paese che sta facendo più fatica tra tutti quelli dell’Unione Europea a uscire dalla crisi; ciò a motivo di una somma di ragioni e di ritardi, di cui la scarsa concorrenza non è che uno tra i tanti».

leggi il resto ›

→  ottobre 27, 2014


Resoconto di Matteo Rigamonti sulla Lection Minghetti organizzata dall’Istituto Bruno Leoni e pubblicato su Tempi

Quanto è difficile tagliare la spesa pubblica in Italia? Si è tenuta lunedì a Milano la “lectio Minghetti” organizzata dall’Istituto Bruno Leoni, in occasione della quale è intervenuto l’ormai ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, in procinto di ritornare in America, dopo aver ultimato il lavoro per cui l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta l’aveva nominato: elaborare un serio piano di riduzione della spesa pubblica, ponendo in essere principi di maggiore efficienza, trasparenza ed economicità nella pubblica amministrazione. E se una cosa è certa è che del suo assai più ambizioso piano, il governo italiano è stato capace di realizzarne solo una parte a causa dell’inevitabile resistenza delle istituzioni ad essere riformate e per il mutato contesto politico italiano ed europeo.

leggi il resto ›

→  marzo 1, 2013


Intervista di Matteo Rigamonti

Intervista a Franco Debenedetti, che analizza il voto: «Bersani? Se l’obbiettivo è solo “smacchiare il giaguaro”, si fa la fine della “gioiosa macchina da guerra”».

«Il verdetto delle urne dimostra che se l’obbiettivo è solo “smacchiare il giaguaro”, si fa la fine della “gioiosa macchina da guerra”». Secondo Franco Debenedetti, a pesare nella disfatta del Pd è stata soprattutto la gestione un po’ “vecchio stile” del partito e delle primarie. Ma a fronte dell’affermazione decisa del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, a uscire con le ossa rotte dalle urne sono stati anche Berlusconi («c’è un limite a quello che si può ottenere con gli strumenti della comunicazione») e soprattutto Monti, che difficilmente avrà «la possibilità di rientrare nei giochi». Il premier uscente, afferma Debenedetti a tempi.it, ha commesso anche un “peccato capitale”, per dirla con il linguaggio del suo ultimo libro (Il peccato del professor Monti, edito da Marsilio Editori): inseguendo a tutti i costi la sostenibilità dei conti pubblici ha coltivato il suo «pregiudizio negativo verso la vita politica».

leggi il resto ›

→  novembre 2, 2012


Intervista di Matteo Rigamonti

Secondo Franco Debenedetti la candidatura di Albertini può riportare tra le gente l’entusiasmo degli anni del miracolo economico

«Una candidatura netta, non il risultato di un calcolo», che se porterà «entusiasmo» saprà raccogliere i voti di molta gente in Lombardia dimostrando così a tutti, destra e sinistra, la sua «vocazione maggioritaria». Spingendo oltretutto il Pd a decidere se abbandonare o meno vetuste logiche di partito. È limpido il giudizio con cui Franco Debenedetti, già senatore Pds e Ds, intellettuale della migliore sinistra riformista, ha sposato la causa di Gabriele Albertini, firmando l’appello dei 100 a sostegno dell’ex sindaco di Milano. Debenedetti, che non ne fa (solo) un «fatto personale», ha appena acquistato la cittadinanza milanese e se Albertini dovesse convincerlo, potrebbe anche decidere di votarlo.

leggi il resto ›

→  ottobre 31, 2012


di Oscar Giannino
Più sarà deciso sulla strada non compromissoria con i vecchi partiti, più potrà aggregare pezzi di società lombarda esasperata per la situazione che si è venuta a creare a livello centrale e locale

Il mio augurio è che quando leggerete questo articolo Gabriele Albertini abbia sciolto ogni esitazione. Mi auguro cioè che sia divenuto pubblico l’appello che conosco e che è in evoluzione da settimane, di un centinaio di rappresentanti della società civile fuori dai partiti, del mondo delle professioni, della cultura, dell’accademia, dell’impresa e del terzo settore, in cui si motiva la richiesta che Albertini possa essere il candidato alla presidenza della Lombardia. E che, accogliendo l’appello, scenda in campo senza alcuna attesa di segnali, decisioni od opposizioni da parte di questa o quella formazione politica.
La mia opinione, l’ho detto dieci giorni fa a Milano parlando in un’affollata piazza San Fedele, è che più tempo passava senza che Albertini raccogliesse l’appello della società civile, più era probabile che la sua ipotesi di candidatura si trovasse esposta a pagar pegno alla confusa e tumultuosa incertezza di linea del Pdl nazionale e locale. Al contrario, il senso della candidatura Albertini doveva essere proprio quello di azzerare di colpo ogni possibile ricaduta in Lombardia degli immensi guai con cui è alle prese il Pdl, che non riesce, non vuole e non sa come uscire dalla presa ricorrente di Silvio Berlusconi, dei suoi processi e dei suoi umori mercuriali. La Lombardia è cosa troppo seria e importante per farne una Sicilia bis. E lo dico con grande rincrescimento verso i siciliani, perché il suicidio del Pdl privo di uomini all’altezza ha fatto vincere l’alleanza Pd-Udc che in Sicilia rappresenta la continuità più diretta del sistema Lombardo. In Sicilia, capisco solo chi è rimasto a casa e chi ha votato Grillo.

Più Albertini sarà deciso su questa strada non compromissoria con i vecchi partiti, più potrà aggregare pezzi aggiuntivi di società lombarda esasperata per la situazione che si è venuta a creare, per le tante indagini che hanno travolto nel discredito l’istituzione Regione e la sua credibilità, e per il riverbero che la crisi politica nazionale di un anno fa ha avuto nell’accelerazione della crisi lombarda stessa. Mi auguro inoltre che il suo programma sia il più possibile chiaro e netto, a cominciare dal rafforzamento della sussidiarietà, dalla cessione di società partecipate, dal passaggio anche degli ospedali pubblici alla forma di Spa, in modo che abbiano bilanci più trasparenti. Dipendesse da me, sarei per il passaggio dai criteri di nomina attuale dei direttori generali delle aziende ospedaliere e sanitarie, scelti dalla politica, a una modalità per la quale si seguono procedure di mercato con tanto di bandi pubblicati sui giornali e commissioni terze che assegnano dei punteggi, con la politica che si limita a validare la scelta con un decreto di nomina. Ma, si sa, io sono considerato un filino troppo estremista…
Non c’è da illudersi. Non credo che la politica comprenda immediatamente la carica di rottura che potenzialmente una candidatura Albertini, se si mantiene fedele a questi presupposti, rappresenta rispetto al consueto schema bipolare destra-sinistra che abbiamo visto per 18 anni. Se questa consapevolezza fosse davvero diffusa, pare a me che il Pd per primo non avrebbe dovuto sbattere la porta in faccia a Umberto Ambrosoli, che da quanto ho capito ha chiesto alla sinistra che lo aveva interpellato quanto Albertini non deve chiedere ai partiti di centrodestra, ma direttamente alla società civile. Non mi meraviglierei invece se l’esito siciliano rafforzasse nel Pd e in parte del mondo cattolico l’impressione che anche a Roma alle prossime politiche si debba replicare uno “schema Crocetta”. Già non mi pare che l’ex sindaco cossuttiano di Gela possa davvero governare la Sicilia, e a maggior ragione non mi pare che un accordo di bassissimo profilo infarcito di candidati assai discutibili possa essere lo schema di governo nazionale. Piuttosto, se Grillo ha preso il 18 per cento in Sicilia in soli dieci giorni di campagna, vuol dire che in Italia se la società civile non si organizza e non crede alla necessità di scendere risolutamente in campo, fuori dai partiti, Grillo può prendere nell’intero paese il 25 per cento, se non più ancora.
Certo, lanciare il cuore oltre l’ostacolo significa esporsi. Di Berlusconi, il minimo che si possa dire è che non ha le idee chiare. Del suo ex stato maggiore, la stessa cosa. È da mettere in conto che il vecchio Pdl tenti di cambiare il più possibile il colore dell’acqua limpida da cui germoglia la candidatura di Albertini, dal basso della società lombarda. E al momento in cui scrivo non so come reagirebbe la nuova Lega di Bobo Maroni, che personalmente incoraggio ad adottare a sua volta logiche nuove che antepongano Nord, e macroregioni del Nord come del Sud, a vecchi slogan che non hanno funzionato. Quanto e come può reggere, per Maroni e Tosi pensando al futuro, un eventuale patto con il fondatore del Pdl ormai polvere rispetto a quel che era? Vedremo.

ARTICOLI CORRELATI
Appello per Albertini alla Regione
Tempi, 30 ottobre 2012