Archivio per il Tag »televisioni«
→ giugno 14, 2011
Se è vero che il giulivo imbonitore sulla copertina dell’Economist ha “fottuto” un intero Paese, visto che dal 94 ad oggi o ha vinto o ci è andato vicino, è stato di sicuro un rapporto tra adulti consenzienti. Come è stato possibile tante volte con tante persone, contrariamente al noto adagio (che usa il raffinato “fool” invece del carnale “screw”)?
La televisione, è la spiegazione politically correct: con le sue televisioni Berlusconi ha creato gli elettori che l’avrebbero poi eletto.
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→ ottobre 26, 2010
di Carmine Fotina
Per il dividendo digitale l’Italia pensa a un’asta sul modello tedesco. All’Authority per le comunicazioni stringono i tempi in vista della consultazione pubblica che dovrebbe essere pronta entro l’anno: si va verso una gara unica, con un pacchetto misto di frequenze destinato alla telefonia mobile (800, 1.800 e 2.500 megahertz) come già avvenuto in Germania.
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→ ottobre 23, 2010
di Giuliano Ferrara
I gruppi TLC le vogliono, le TV locali sono cintrarie a cederle ma Tremonti vuole racimolare soldi. Riuscirà?
Il governo cerca di incassare un paio di miliardi di utili per il decreto Milleproroghe o per un decreto pro sviluppo. Le tv, in particolare quelle locali, non vogliono cedere gratuitamente un bene che dicono di utilizzare ancora. E le compagnie di telefonia mobile reclamano maggiore spazio nell’etere per i nuovi servizi. Sulle frequenze televisive è in corso una partita, giocata finora a carte coperte, che intreccia politica, authority, società televisive e gruppi telefonici.
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→ agosto 26, 1995
«Niente nozze tra telefono e televisione». Il progetto del ministro delle Poste Giuseppe Gambino è stato presentato dai giornali come il divieto di un evento improponibile e quindi improbabile, quale la fusione fra Stet e Fininvest. Si nasconde così il fatto sostanziale, il blocco a un’eventualità auspicabile e possibile: è chiaro infatti che se non potranno fornire servizi telefonici e televisivi insieme, non nasceranno operatori-cavo, i soli che possono fare concorrenza al monopolio Stet nelle aree urbane, dove la maggior parte delle comunicazioni hanno origine e termine.
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→ aprile 1, 1995
Votare a giugno, non votare a giugno: questo il tema che sembra polarizzare, e paralizzare, la politica italiana. A sostegno di chi chiede elezioni subito c’è la tesi del tradimento del mandato elettorale da parte di Bossi, su cui si sono profusi fiumi d’inchiostro. Tesi che ha una sua validità parziale, come parziale è la riforma in senso bipolare che hanno le nostre istituzioni a seguito di una riforma affidata, per ora, al solo strumento della legge elettorale.
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→ marzo 30, 1995
E’ solo dalla città che possono nascere i primi tratti delle autostrade informatiche: questo il messaggio che viene dal convegno che si tiene oggi a Bologna con la partecipazione di Martin Bangemann.
E non solo perché le città offrono le economie di densità che rendono il progetto economicamente sostenibile, ma perché le città sono «gli attori chiave della società dell’informazione» secondo le parole di Martin Bangemann. Nelle città si può realizzare la convergenza di volontà e di interessi necessaria a far coagulare un progetto così ambizioso. Coinvolgendovi: gli operatori Tlc che possono dimostrare la possibilità delle nuove infrastrutture; le attività economiche locali, che vengono a disporre di un nuovo mezzo per collegarsi ai loro clienti; le amministrazioni, per un nuovo rapporto con i cittadini; i cittadini, in cui suscitare un nuovo senso di appartenenza.
Dalla fine dello scorso anno, quando presentai il disegno di legge che mira a rendere possibile lo sviluppo di reti-cavo su base metropolitana, parecchio si è mosso: sia in senso positivo, che in senso negativo.
In senso positivo: si è preso coscienza della importanza e della fattibilità del progetto; il tema è ormai sulla bocca di tutti: ne parlano Prodi e Berlusconi, D’Alema e Gonfalonieri.
In senso negativo: l’idea di mettere in capo alle amministrazioni locali il diritto di rilasciare concessioni a operatori cavo rompe gli spazi chiusi sia dell’oligopolio televisivo sia del monopolio telefonico. Sta succedendo che, anziché considerarla come un mezzo per uscire dalle impasse in cui entrambe si trovano, la sua adozione venga subordinata alla soluzione di tutti i problemi, e quindi venga sommersa dal polverone che, anche ad arte, si solleva per evitare o dilazionare: e ciò su entrambi i fronti.
Sul fronte delle televisioni: era chiaro fin dall’inizio che le reti via cavo non risolvono né il problema dell’ antitrust. né quello dell’interferenza tra il Berlusconi politico e il Berlusconi padrone di televisioni, (per non parlare di quello della par condicio!). Ma è del pari chiaro che l’apertura di nuovi canali trasmissivi rende in prospettiva meno accanita la battaglia per il possesso degli unici oggi disponibili. quei via etere; che nuove opportunità d’investimento consentono di individuare nuovi equilibri economici a imprese che dovessero vedere ridotto l’ambito delle loro concessioni. Va conosciuto che che nella relazione di Giorgio Bogi che ha aperto i lavori della Commissione speciale di Montecitorio questo aspetto – le nuove tecnologie per moltiplicare l’offerta – è stato ben presente. Ora che è stata fissata la data dei referendum, è essenziale che in parlamento non ci si riduca invece a uno scontro sul numero delle reti via etere, cioè alla preistoria.
Sul fronte delle telecomunicazioni propriamente detto: molti nodi sono da sciogliere per procedere alla privatizzazione di Stet: la legge sulle Authority, l’assetto proprietario (istituzioni finanziarie e nocciolo duro industriale), il regime di concessione, le condizioni di accesso alle reti da parte dei futuri concorrenti. Ma è evidente che la cablatura delle città consentirebbe di iniziare da subito a creare zone in cui una pluralità di operatori realizzino collegamenti a larga banda che si affianchino al monopolio del doppino telefonico. Mentre l’ obbligo del servizio universale sembra non essere invocato a proposito nel caso di un servizio che prima dovrà pur nascere da qualche parte perché si possa poi parlare di estenderlo ovunque: neppure le autostrade non metaforiche sono state realizzate tutte insieme.
In Germania, mentre il Ministro Boetsch annunciava il piano di liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione che, precisamente articolato in tappe successive, sarà completato nel 2000, a Francoforte si concedeva licenza di realizzare sistemi di cablatura in un raggio di 25 km, reti alternative che rompono in ambito locale il monopolio di Deutsche Telekom. Naturalmente ciò che porta operatori internazionali a investire nello sviluppo di reti competitive al monopolista è la stabilità, la certezza di un progetto che, accanto al permanere di alcuni importanti nodi tuttora irrisolti – valga per tutti quello delle condizioni di interconnessione – presenta tappe ben articolate e cadenzate. Anche in Gran Bretagna la liberalizzazione dei mercati di pubblica utilità è stato il risultato di un processo non breve, ma portato avanti con coerenza negli anni. Nulla di tutto ciò in Italia, dove invece all’incertezza di sapere quale governo sarà in carica tra un anno si accompagna la fretta di dare una dimostrazione della volontà di procedere, nonché la ricerca di soluzioni onnicomprensive, un mosaico in cui tutte le tessere abbiano fin dall’inizio la loro collocazione.
Invece il modello tedesco dimostra che è possibile parlare immediatamente con liberalizzazioni parziali: nelle città, innanzitutto, ma anche consentendo che, un anno prima della totale liberalizzazione, i nuovi protagonisti dell’information society possano iniziare a predispone le infrastrutture. Un approccio gradualista ma ben definito, che inizi a -sporre l’azienda monopolista alla concorrenza che ineviabilmente dovrà affrontare, consente anche di preservar-re il valore, anzi di accrescerlo: così è successo per BritiTelecom così, per altri versi, alla At&t. Le battaglie di retroguardia non hanno mai fatto vincere le guerre. Sempre che l’obbiettivo che ci si propone sia quello di offrire servizi. in minor tempo, a minor costo, a un maggior =ero di cittadini, e non quello di preservare chi oggi è monopolista.