→ aprile 1, 2010
dalla rivista Mondo Contemporaneo
recensione di Pierluigi Allotti
Il rapporto tra politica e televisione è l’oggetto dell’interessante volume di Franco Debenedetti, ex senatore del centro sinistra, e di Antonio Pilati, esperto di media e attuale componente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (dal 1998 al 2005 è stato anche componente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). Si tratta di una saggio composto di due parti: la prima, scritta da Debenedetti, è una Storia politica della televisione che, facendo ricorso a un’ampia bibliografia, offre una interpretazione non convenzionale di un tema che meriterebbe senz’altro di essere approfondito in sede storiografica; la seconda, scritta da Pilati, è invece una Storia delle politiche televisive in cui vengono esaminate, con un taglio talvolta troppo tecnico, le modalità con cui è stato regolamentato il settore radiotelevisivo.
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→ marzo 19, 2010
Caro Direttore,
“Garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nei settori di pubblica utilità” ci sembrava che fosse già un compito sufficientemente impegnativo per le Autorità di regolazione: quello che è certo è che nessuno, nelle lunghe e combattute sedute di Commissione in cui si varò la legge che le istituisce, ebbe l’ambizione di creare “anticorpi alla società moderna” , o di proteggere da “avidità di speculatori” o da “intrusioni della politica”, come scrive Sergio Rizzo nel suo editoriale di mercoledì.
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→ marzo 17, 2010
Agcom, antitrust e la mano della politica
di Sergio Rizzo
Le intenzioni di partenza erano ottime. Le authority dovevano essere gli anticorpi della società moderna contro i soprusi dei monopoli, l’avidità degli speculatori e le intrusioni improprie della politica. Compiti da far tremare i polsi a chiunque, in un Paese con una lunga tradizione statalista dove il mercato ha sempre faticato ad affermarsi. Il requisito fondamentale per assolverli con efficacia era l’indipendenza. Una indipendenza non soltanto formale: nomine non influenzate dalla politica, autonomia finanziaria e possibilità di mostrare i muscoli.
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→ agosto 15, 2009
Non è necessario che sia un’azienda pubblica a «fornire» una televisione che riguarda tutti i cittadini
Caro Direttore,
“La nozione di Servizio pubblico (SP)” implica “l’idea della tv come bene comune di importanza nazionale, al pari della luce, del gas, dei trasporti”, scrive Aldo Grasso (La Rai ha fatto una scelta di campo, Corriere della Sera del 10 Agosto). Proprio gli esempi che cita dimostrano che non è affatto necessario che un SP, quale certamente è la televisione, sia fornito da un’azienda pubblica, anzi che questa è, in generale, un’eccezione: l’energia elettrica è privatizzata e in concorrenza; nei trasporti, quelli su gomma, che ne costituiscono la parte più rilevante, sono la quintessenza del privato; largamente privati sono i trasporti aerei; e se il gas lo è in misura insoddisfacente, è per ragioni che con il SP hanno ben poco a vedere.
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→ ottobre 7, 2008
da Peccati Capitali
E se qualcuno facesse un’OPA su Mediaset? Con questo cataclisma finanziario niente è più ipensabile, sono cambiate convenienze e strategie. Mediaset valeva 11 € oggi balla sui 4 €; ma vendendo la Cinco in Spagna, Endemol in Olanda, e le torri con gli apparati trasmittenti in Itallia, chi la compera si troverebbe le attività italiane quasi gratis.
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→ agosto 13, 2008
da Peccati Capitali
“Abbiamo una banca” aveva il punto interrogativo o esclamativo? Due anni fa, tutta la panna del cosiddetto scandalo Unipol fu fatta montare sul tono di quella frase. “Abbiamo una televisione”: con che tono l’annuncio della nascita di YouDem sarà stato pronunciato da Veltroni, ripetuto dal dirigente PD, diffuso dal militante, esclamato dal simpatizzante, letto dal cittadino?
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