→ novembre 6, 2015
di Fiorina Capozzi
Il presidente ha incontrato il nuovo potenziale socio francese Xavier Niel. Mentre il numero uno, che sognava di fare dell’ex monopolista un’azienda ad azionariato diffuso, stando a indiscrezioni non è stato nemmeno avvertito del blitz sulle azioni di risparmio
Ai piani alti di Telecom Italia si respira un’aria pesante. “Né io, né il direttore finanziario – Giorgio Peluso – abbiamo ancora incontrato i nuovi azionisti”, ammette davanti agli analisti l’amministratore delegato Marco Patuano, che sognava di fare di Telecom un’azienda ad azionariato diffuso in stile americano. Solo il presidente Giuseppe Recchi ha fatto in tempo ad atterrare a Parigi per incontrare il nuovo potenziale socio Xavier Niel, al rientro di un viaggio in Patagonia, per poi sbarcare a Roma e discutere del caso Telecom con il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan. Che si tratti di un caso fortuito? A giudicare da quanto accaduto nel cda che ha deciso la conversione delle azioni di risparmio Telecom, si direbbe proprio di no. Secondo quanto riferito da Repubblica, la proposta è infatti stata un vero e proprio blitz del presidente. Patuano non ne sapeva niente.
Agli occhi della comunità finanziaria, insomma, appare evidente che Recchi agisce ormai da solo e in palese allineamento con il governo di Matteo Renzi. Del resto, come spiega l’ex presidente Telecom Franco Debenedetti sul Foglio, “l’iniziativa di Niel non sembra aver senso” “senza avere o contare di avere una sponda nel governo”. Recchi si sente così forte da promettere persino che “Telecom resterà italiana”. Ostenta sicurezza o si tratta solo di un bluff? Per vedere le carte del presidente, non bisognerà attendere molto: il 15 dicembre si terrà l’assemblea straordinaria che dovrà dare il via libera alla conversione delle azioni di risparmio. In quella sede, Vincent Bolloré potrà dire la sua. Forte del suo 20%, il finanziere bretone potrebbe persino bloccare la conversione in assemblea evitando di diluirsi fino al 14 per cento. Fonti delle agenzie di stampa riferiscono però che Bolloré non avrebbe intenzione di mettersi di traverso. Ma sin d’ora è evidente che il suo eventuale assenso all’operazione testimonierebbe la volontà di seguire un disegno diverso che solo in pochi conoscono. Tanto più che se il finanziere bretone avesse in tasca anche azioni di risparmio e decidesse di convertirle, secondo il Testo unico della finanza, non sarebbe obbligato a un’offerta pubblica di acquisto neanche se superasse la soglia del 25 per cento. Un punto su cui solo la Consob potrebbe intervenire.
Se le cose stanno in questi termini, non sorprenderebbe a breve un ricambio ai vertici di Telecom già sorvegliati speciali dall’ingresso in scena di Bolloré di oltre un anno fa. Certo sul futuro del team di comando inciderà il definitivo assetto azionario dell’ex monopolista pubblico legato a doppio filo con il consolidamento delle telecomunicazioni e dei media in Europa. Niel è infatti entrato nella partita Telecom perché non vuole che la sua società di telecomunicazioni Iliad resti fuori dai giochi europei a tutto vantaggio della diretta rivale Orange. Bolloré ha, invece, intuito nell’investimento in Telecom un’opportunità irripetibile per ampliare il suo impero dei media europeo. Magari anche con il contributo di Silvio Berlusconi e della sua Mediaset i cui titoli, attendendo il riassetto Telecom, hanno guadagnato più del 70% nel giro di un anno. Che, in questo complesso scenario, Patuano abbia ancora una chance per trovare un alleato? Difficile a dirsi. Di certo il suo progetto di fare di Telecom una public company italiana ad azionariato diffuso sembra ormai tramontato.
→ novembre 5, 2015
Che cosa vuole Xavier Niel e perché sta investendo in Telecom? Che abbia scelto di fare un investimento nell’azienda puntando sul suo potenziale di crescita, è del tutto incredibile. Che voglia prendere il controllo a suon di aumento della sua quota azionaria, meno ancora. Che ci sia concerto con Vivendi è da escludere dopo le pubbliche dichiarazioni di entrambe le parti: raccontare storie all’autorità di controllo può costare molto caro. Che chi mette i soldi in un’azienda ha una sua strategia è naturale; e avrebbe interesse a palesarla per trovare alleati, anche se per ora non l’ha fatto. Comunque, se fosse per una qualsiasi di queste ragioni, non ci sarebbe motivo di agitarsi. Se Niel vuole superare Vivendi quale primo azionista, dato che non abbiamo fatto obiezioni quando Vivendi ha arrotondato la partecipazione che le risultava dagli accordi con Telefònica, non c’è ragione che si discrimini tra un francese e un altro. Che la sua strategia possa comportare anche spezzatini, fusioni, vendite, è normale, come pure che queste possano essere giudicate contrarie all’interesse nazionale: se ne parlerà quando si saprà in che consiste. E il giudizio non dipenderà dalla nazionalità del proponente: anche perché non c’è nessuna ragione per cui un italiano faccia sempre l’interesse del paese.
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→ maggio 13, 2015
Piazzetta Cuccia si chiamava Via Filodrammatici, Antonio Fazio in Banca d’Italia amministrava il suo piano regolatore, le Fondazioni erano al massimo della loro ricchezza: era il capitalismo relazionale, e noi gli si scriveva contro. Non è certo perché in disaccordo col principio che si è rimasti più che perplessi quando Matteo Renzi, parlando a banchieri e imprenditori venuti ad ascoltarlo a Palazzo Mezzanotte, ha accusato “quel sistema che poneva la relazione come elemento chiave di un paese in cui giornali, banche, imprese, fondazioni bancarie, partiti politici hanno pensato che si potesse andare avanti tutti insieme dialogando e discutendo”. Se, come ha detto, “è morto”, perché maramaldeggiare?
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→ febbraio 28, 2015
“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico”: a qualcuno, “antico” anche lui, l’Opa su RaiWay ha fatto tornare alla memoria il verso pascoliano della propria infanzia. L’antico è l’evocare il conflitto di interesse, il giaguaro, tutto l’armamentario di una “guerra dei trent’anni” che novità tecnologiche, gusti dei consumatori, preferenze degli elettori, hanno fatto deporre e seppellire: perché il conflitto non c’è più, e quanto agli interessi, nulla di meglio di un’Opa per regolarli. O almeno così si è pensato.
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→ ottobre 22, 2014
La rete nei mercati a due versanti studiati dal Nobel Tirole e un’idea per Telecom
Che cosa ha a che fare il nuovo premio Nobel Jean Tirole con la vecchia questione della rete Telecom? Direttamente non molto. Ma la crescita di Big Data crea in Europa problemi di regolazione; la crescita della quantità dei dati da trasmettere crea in Italia problemi di infrastrutture. Il premio dato all’autore di teorie che servono per capire i primi, può essere stimolo a risolvere i secondi: prendendo di petto la questione della rete.
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→ settembre 29, 2014
Dall’Ufficio Stampa di CDP al Sole24Ore
Nell’articolo “Perche’ la rete Telecom sta bene con Telecom” (Il Sole 24 ore di ieri) Franco Debenedetti svela finalmente il piano di Cassa depositi e prestiti: “Diventare un imprescindibile centro di potere e di condizionamento per la politica”. E’ per questo solo fine che CDP alzerebbe la voce per acquistare il controllo della rete di Telecom. Niente di piu’ falso. Il solo interesse di CDP, peraltro in tal senso da tempo sollecitata dal Governo e dal Parlamento e dagli stessi vertici delle maggiori TelCo, TI compresa, e’ di verificare se e’ utile un suo apporto di finanza o di equity all’ammodernamento della rete TLC del Paese. Vogliamo ricordare ai lettori che questo interesse nasce dalla mission di Cdp – sostenere la crescita del Paese – che deriva da una legge italiana, votata dal Parlamento. Non c’e’ crescita senza sviluppo delle infrastrutture, tangibili e intangibili. Non c’e’ crescita se su queste infrastrutture non si investe abbastanza e non c’e’ parita’ di accesso per tutti gli operatori. C’e’ un impegno che l’Italia ha preso in sede europea, di dare accesso alla banda ultralarga a >100 Mbs ad almeno metà della popolazione italiana entro il 2020.
Il Rapporto Caio ha accertato che gli attuali piani di investimento delle TelCo non consentono di centrare questo obiettivo. Se serve, CDP può dare una mano a accelerare gli investimenti necessari. Se Telecom o altri ce la fanno da soli, abbiamo detto e ripetuto che ne saremo ben lieti. In ogni caso.
Oggi la Commissione europea, quanto a penetrazione della banda larga, mette l’Italia al 28.mo posto su 28 Paesi dell’Unione. Forse non lo e’ per Debenedetti, ma per l’Italia e’ un problema.
È l’Europa che bisogna seguire, non la fantapolitica.
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Fa piacere sapere che la Cassa Depositi e Prestiti pensa, scrive e risponde come un sol uomo. Fa piacere apprendere che opera, come certifica l’Ufficio Stampa, sulla base di una precisa teoria economica: le infrastrutture (quali? dove? a che costi? con quali ricavi?) sono necessarie “per lo sviluppo”. E tanto basti.
F.D.