→ Iscriviti
→  novembre 29, 2011


di Giampiero Berti

È vero che la storia riserva sempre sorprese, ma è anche vero che si ripete in continuazione. Ne abbiamo un’ennesima conferma con il libro fresco di stampa di Vilfredo Pareto, Il mito virtuista e la letteratura immorale (Liberilibri, 2011, pag. 210, introduzione di Franco Debenedetti) la cui prima edizione apparve in Francia nel 1911 e in Italia nel 1914. In quest’opera Pareto denunciava la stupidità e l’ipocrisia del suo tempo espressi dai virtuisti (virtuista è un neologismo coniato dallo stesso Pareto), cioè da coloro che, invece di occuparsi dei problemi veri che affliggevano il Paese – miseria, corruzione, analfabetismo, dominio della mafia e della camorra in intere regioni – si interessavano a reprimere la letteratura immorale, rappresentata soprattutto da libri che davano spazio a vicende amorose e sessuali.

Ispirata da un ethos profondamente liberale, l’opera è un’incursione a tutto campo nella letteratura greca, latina, moderna, con particolare riguardo agli scrittori illuministi, a partire da Voltaire. Pareto dimostra non soltanto l’impossibilità logica di definire la letteratura immorale, l’impotenza pratica di ogni censura, ma anche l’assoluta incapacità del ogni moralismo di trasformare la società. Pone in primo piano la questione decisiva del potere politico, che trova nell’enfasi statalistica la sua attuazione. Il moralismo di Stato propugnato dai virtuisti tende di fatto a distruggere una delle più grandi conquiste della civiltà liberale: la divisione tra la sfera privata e quella pubblica.

Pervaso da un irriducibile individualismo, dall’insofferenza per l’invadenza soffocante di ogni potere, il grande sociologo italiano, beffeggia e seppellisce i moralisti sotto una valanga di sarcasmi, dimostrandone tutte le contraddizioni. In piena sintonia con il realismo e il disincanto di Machiavelli, rivendica la vera etica, che deve consistere nell’essere rigorosi e inflessibili su ciò che riguarda la sfera pubblica, tolleranti su ciò che riguarda quella privata. È stata persa, a giudizio di Pareto, una delle più grandi conquiste del Risorgimento: la separazione cavouriana fra Chiesa e Stato, fra etica dello Stato e morale privata.

È sottesa qui, infatti, la questione centrale già posta già da Benjamin Constant: la distinzione fra «la libertà degli antichi» e «la libertà dei moderni». La libertà degli antichi è la libertà conferita ai cittadini politicamente attivi, i quali sono liberi in quanto esercitano dei diritti politici, il cui espletamento implica il coinvolgimento nella vita della polis. La libertà dei moderni scaturisce invece dalla fonte imprescrittibile dei diritti naturali, che dichiarano che nessun potere, nessun sovrano, nessuna collettività può dare o può togliere tale libertà originaria. Mentre la libertà dei moderni, preesistendo al potere, impone a quest’ultimo il dovere di preservarla, la libertà degli antichi comanda che essa si realizzi attraverso l’attiva partecipazione alla vita pubblica. La prima è la libertà dallo Stato, la seconda è la libertà nello Stato. Non è un caso che la libertà dei moderni, ovvero la libertà liberale, sia stata attaccata ferocemente da tutte le ideologie totalitarie.

Ne Il mito virtuista e la letteratura immorale sono già presenti alcuni schemi teorici che innerveranno qualche anno dopo l’opera più importante di Pareto, il Trattato di sociologia generale, dove, fra l’altro, viene delineata la distinzione fra azioni logiche e azioni non logiche: le azioni logiche sono quelle che utilizzano mezzi appropriati al fine, le azioni non logiche sono quelle che non connettono in modo logico i mezzi con il fine. Gli uomini si lasciano convincere soprattutto dai sentimenti (definiti da Pareto residui), mentre a dare aspetto logico alle azioni non logiche vi sono le forme pseudo logiche delle argomentazioni definite con il termine derivazioni. Il moralismo d’accatto dei virtuisti non è altro che la proiezione dei residui, che si manifestano sotto la forma delle derivazioni, le quali, pertanto, sono espressioni ipocrite e impotenti.

Il mito virtuista dimostra che la storia si ripete, se si pensa alle polemiche relative alla vita privata di Silvio Berlusconi. Scriveva Pareto: «I tempi eroici del socialismo sono passati: i ribelli di ieri sono i soddisfatti di oggi. Non si tratta più di distruggere il socialismo, di rovesciare la società, di pervenire ad una nuova costituzione sociale interamente diversa, eccoli diventati difensori della morale e del pudore». Scrive Franco Debenedetti nell’introduzione: «L’antiberlusconismo militante è il nuovo mito virtuista, i girondini in corteo sono i nuovi “monaci domenicani”». Al tempo di Pareto il virtuismo «chiedeva al potere di dare la caccia all’immorale e impedire che si mostrasse in pubblico, il virtuismo di oggi sbircia e origlia nel corridoio del palazzo».

→  novembre 26, 2011


Carlo Azeglio Ciampi era esplicito nello spiegare il meccanismo: se abbassiamo il deficit al tre virgola zero per cento, ripeteva, entriamo nell’euro, gli interessi sul debito si riducono al livello di quelli tedeschi. L’eurotassa è un prestito, ci fa incassare il “premio di credibilità”, e si ripaga con ciò che si risparmia di interessi: un pasto gratis (non proprio: la tassa venne restituita solo al 60%). Nessuno spiegò che se non volevamo esportare di meno e farci finanziare il debito dall’estero, era necessario che anche la nostra produttività crescesse come quella tedesca: e che questo non veniva gratis. Alla stessa maniera nessuno spiegò ai tedeschi, che un’unione monetaria comporta di trasferire costi economici e politici dagli Stati “dissoluti” a quelli “virtuosi”. Questo non detto è il deficit democratico alla base della costruzione dell’euro.

leggi il resto ›

→  novembre 23, 2011


Al Direttore

Dovendosi fare 45 sottosegretari, per difendersi dai prevedibili assalti, a Mario Monti potrebbe tornare utile un motto di casa Valensise, tratto dalla Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori. Il quale, ad un religioso presentatosi con una “lettera impegnativa di D. Giambattista Filomarino, Principe della Rocca” così rispose: “Dio vel perdoni, Monsignore, io già avevami fissato darvi il Canonicato; ma perché mi avete portata questa lettera, non sono più in grado di darvelo: indignus quia petisti”.

→  novembre 16, 2011


Al direttore

Emergenza, e siamo d’accordo: ma che cosa segnala l’uscita dall’emergenza? Se Monti prende come termine per il governo quello entro cui si deve votare comunque, significa: primo, che, a meno di ipotizzare arcane coincidenze, il suo governo non ci farà uscire dall’emergenza; secondo, che nessun governo uscito da una consultazione elettorale anticipata potrebbe far meglio.
E siccome non c’è ragione per pensare che qualche mese dopo il risultato sarebbe diverso, ne consegue che il governo Monti dovrebbe durare anche nella prossima legislatura.

leggi il resto ›

→  novembre 15, 2011


Un Governo del Presidente è un governo politico: non solo nel senso ovvio che i suoi atti sono sottoposti al voto del Parlamento, ma in quello sostanziale che essi hanno effetti sugli equilibri politici presenti e futuri. Già il solo prospettarsi di un Governo Monti ha prodotto un vistoso cambiamento del quadro politico, la rottura della storica alleanza Pdl-Lega.

leggi il resto ›

→  novembre 10, 2011


by Allen Mattich

A surge in Italian bond yields is triggering a wholesale euro-zone panic.

Investors fear the financial conflagration that looks to be forcing Greece out of the euro will soon consume Europe’s biggest sovereign debtor too, putting the very existence of the single currency at risk.

Yields on 10-year Italian government bonds peaked just below 7.5% yesterday , a level that had been consideredthe point of no return for Ireland, Portugal and Greece during their own debt crises. There’s a widespread assumption that Italy wouldn’t be able to sustain yields at these levels, which would put it on the road to default.

But what few observers seem to be asking is what sort of yields are justified by Italy’s economic circumstances, rather than what’s necessary to hold the single currency together. History suggests perhaps not too far from where they are now, according to Paolo Manasse, an economics professor at Bologna University.

“The puzzle is that interest rates have risen so little and so late, despite the worsening of fundamentals,” he wrote last week, before the latest spike in yields.

For instance, Italian debt is forecast at around 121% of gross domestic product this year, almost exactly where it was in 1994, well before euphoria over the introduction of the single currency later in the decade started to force yields on the debt of all prospective member states to converge on Germany’s exceptionally low levels.

In 1994, yields on 10-year Italian debt hovered around 9%. It’s true Italian inflation was higher then, at 4.2%, compared with about 2.6% now. But assuming inflation expectations were rooted in current price levels, real expected yields are only moderately higher now than they were then.

Other fundamentals are different, too. In 1994, Italy was running bigger government deficits as a proportion of GDP and had higher unemployment. On the other hand, its ability to finance its deficit seemed more secure. The Italian economy was growing more solidly—2.2% in 1994 against 0.6% forecast for this year—and was generating a solid current-account surplus of 1.2% of GDP against an anticipated deficit worth 3.5% of GDP for 2011.

The lack of growth and low inflation compared with 1994 worries some economists. Italian officials may take comfort that the budget is in primary balance—after stripping out interest costs—but this is false comfort, says Charles Dumas of Lombard Street Research. Simple math shows why, he argues.

Take Italy’s net government debt, which is currently around 100% of GDP. Even though Italian government debt has a relatively long maturity—it averages out at about seven years—which means current high yields have a relatively small impact on interest payments, unless they come down smartly over the coming months, they will represent an interest cost of around 6% of GDP, Mr. Dumas estimates.

In a world of high growth or high inflation, those interest costs would be manageable. Either income covers the outlay or inflation erodes the debt burden.

But Italy has neither to look forward to. The International Monetary Fund forecasts Italy to grow by less than 1% a year over the coming three years and for Italian prices to rise by little more than 1% over the same period. Mr. Dumas is more pessimistic. He thinks there’s a real risk Italy doesn’t grow at all and suffers deflation. In this case, the Italian government has to find about 6% of GDP from spending cuts or tax rises unless it wants its debt burden to grow—something the markets are unlikely to accept.

And that sort of austerity is exactly what Greece is struggling against. It becomes a self-defeating downward spiral. Tax rises and spending cuts against a recessionary backdrop only cause the economy to contract further. Economic contraction pushes up government spending and reduces its revenue, making it impossible for the government to make headway on its finances while the economy just gets worse.

For Italy to get out of its ever-deepening hole, it needs much lower yields on its debt. The European Central Bank could engineer this by buying Italian government bonds in the market. It has done so as an emergency measure, albeit with only temporary success. The ECB has bought some €183 billion ($247 billion) in euro-zone government debt so far, a large proportion of which was Italian, and was reportedly intervening heavily in the market on Wednesday. But this is a pittance compared with how much it would have to buy if investors abandoned Italy. Next year alone, Italy has to roll over €300 billion in maturing debt and is expected to need another €25 billion to cover its budget deficit.

ECB members have made it clear they’re unwilling and legally unable to be unlimited buyers of government debt. But it is, in any case, questionable how much lower Mario Draghi, the ECB’s new president, would be willing to push Italian yields. Although Mr. Draghi says yields are now “overshooting,” he also admits they fell too low pre-Lehman.

Investors were demanding too little return from the Italian government during the euro’s long honeymoon. Its 10-year debt at one point yielded just nine basis points—less than a tenth of one percentage point—more than Germany’s equivalent issues. That spread is now around 570 basis points. Although this is high, it was higher in 1995. In 1994, the spread largely ranged between 300 and 450 basis points.

Unfortunately, even if fair value were toward the lower end of those spreads, Italy would find it brutally painful to pay what it owes. The only alternative, argues economist Nouriel Roubini, is for a debt restructuring. Default, in other words, and all the collateral damage that entails.