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→  gennaio 9, 2016


articolo collegato di Alberto Brambilla

Se il governo Renzi deve mettersi di traverso in Europa, lo faccia sulle banche. E’ l’appello che arriva di fatto da un fronte variegato di economisti e addetti ai lavori, anche vicini al premier come l’investitore Davide Serra. A seguito dell’entrata in vigore il 1° gennaio nell’Unione europea del nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie, il bail-in, tre economisti di diversa estrazione e differenti impostazioni hanno esortato il governo a chiedere alle autorità comunitarie una “moratoria” eccezionale e temporanea all’uso del nuovo meccanismo, approvato ed efficace nei 28 stati membri dell’Ue. Il bail-in rappresenta una rivoluzione nella gestione delle crisi del credito: evita il fallimento di un istituto e ne predispone il risanamento infliggendo le perdite ai suoi azionisti e creditori, anziché scaricare i costi del salvataggio sui contribuenti, com’è stato finora con i bail-out. Gli economisti che, con ragioni diverse, chiedono un periodo di grazia per l’Italia sono: Luigi Guiso (Einaudi Institute for Economics and Finance, finanziato dalla Banca d’Italia) e Luigi Zingales (Chicago Booth, ex membro dei cda di Eni e Telecom) sul Sole 24 Ore, edito da Confindustria, e Paolo Savona (ex ministro dell’Industria), sulle testate del gruppo Class.

Dopo la risoluzione di quattro banche regionali a metà dicembre con la parziale applicazione delle regole del bail-in, gli obbligazionisti subordinati che sono incorsi in perdite hanno protestato chiedendo di riavere quanto investito diffondendo un vasto moto di sfiducia verso l’industria bancaria che già rischia di risentirne. Zingales e Guiso, con tre articoli in successione sul Sole 24 Ore (l’ultimo venerdì), insistono sull’eccezionalità della situazione italiana. Le nostre banche da tempo si finanziano vendendo obbligazioni subordinate, le prime a subire perdite insieme alle azioni, e ordinarie, emesse dagli stessi istituti e vendute alla clientela anziché collocarle solo presso gli investitori istituzionali, per esempio i fondi, come avviene negli altri paesi europei. In generale almeno il 30 per cento della raccolta bancaria, soprattutto tra le piccole banche, è rappresentato da obbligazioni ordinarie. Tale anomalia, rinfacciata dalla Commissione europea alla Banca d’Italia, andrebbe sanata di certo, dicono gli economisti, ma ciò richiederebbe tempi lunghi. In cambio dell’obbligo per le banche di non vendere più obbligazioni bancarie ai clienti allo sportello – questo è il nocciolo della proposta di Zingales e Guiso – l’Italia dovrebbe proporre a Bruxelles l’esenzione temporanea (12-18 mesi) dall’applicazione del bail-in per risolvere future crisi. “Una sospensione temporanea metterebbe al riparo i risparmiatori dal rischio immediato di subire il costo del bail-in e darebbe loro più tempo per rivedere gli investimenti. Nel frattempo il governo avrebbe anche tempo per rivedere le regole di protezione dei risparmiatori per assicurarsi che quanto accaduto non possa accadere più anche dopo la fine della sospensione temporanea”, mediante la creazione di una autorità per la protezione dei risparmiatori che riunisca alcune competenze oggi distribuite tra Consob, Banca d’Italia e Antitrust. Per quanto adesso risulti destabilizzante, il bail-in non è una novità per governanti e banchieri: nel 2010 la proposta venne illustrata a Bruxelles dalla Association for financial markets in Europe, la lobby delle 200 banche d’investimento più influenti, tra cui Intesa Sanpaolo e Unicredit, come soluzione per prevenire in Europa fallimenti del calibro di Lehman Brothers. Paolo Savona, economista euro-critico, ha sostenuto venerdì su MF/Milano Finanza che “l’Italia non avrebbe alcun danno a chiedere la moratoria temporanea” per motivi eccezionali. Sta già succedendo in alcuni paesi del nord Europa con il trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone, a fronte della crisi dei rifugiati siriani.

Quindi “non si vede perché non si decida che anche la direttiva sulla risoluzione delle crisi bancarie debba essere oggetto di sospensione per frenare la crisi di fiducia che ha colpito la clientela bancaria”. Così “si manderebbe alla clientela il messaggio che si sta seriamente studiando come proteggere il risparmio affidato alle banche”. Tuttavia il ministero dell’Economia, secondo fonti interne, non si avventurerà in una richiesta di moratoria eccezionale per l’Italia. Piuttosto vorrebbe fare emergere in sede europea la necessità di utilizzare l’esperienza dei primi casi di bail-in per gestire la transizione al nuovo regime con la consapevolezza dell’impatto reale sul sistema e sui risparmiatori. Per esempio facendo emergere come alcuni strumenti siano diventati più rischiosi in maniera retroattiva, proprio in forza dell’applicazione del bail-in, come ha sostenuto Roberto Gualtieri, eurodeputato del Pd e presidente della commissione Affari economici del Parlamento europeo. I cambiamenti di approccio e le soluzioni particolari trovate in passato in vista dell’introduzione piena del bail-in hanno avuto esiti discutibili, da ultimo il caso del portoghese Novo Banco, destabilizzando il settore del risparmio gestito. Davide Serra, manager del fondo Algebris, sul Financial Times ha attaccato: “Siamo a due o tre anni dall’avvio dell’Unione bancaria, ma ogni volta che succede qualcosa loro la cambiano in corsa. E’ scioccante”, ha detto il manager considerato vicino a Renzi, riferendosi alle regole decise da governi nazionali e Banca centrale europea.

→  gennaio 8, 2016


«Perché gli investitori retail sottoscrivono titoli che non remunerano il maggior rischio anche quando è riportato nel prospetto informativo?» si chiedeva Consob chiudendo il suo rapporto (n.67 del 2010) sulle obbligazioni bancarie. Perché gli italiani comprano prodotti illiquidi e più rischiosi che rendono 90-100 punti base in meno dei BTP di durata superiore a un anno?

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→  gennaio 8, 2016


Al direttore.

Aver pubblicato un bando per la vendita dell’Ilva, scrive il Foglio del 7 Gennaio, “costituisce l’implicita e definitiva ammissione dello stato italiano di essere incapace di fare l’imprenditore”. Esplicita mi piacerebbe di più, i soldi che ci è costato sono tanti, ma, fosse davvero definitiva, sarebbe da esporre il tricolore.

→  dicembre 23, 2015


Il piano industriale 2016-2020 approvato dal nuovo cda della Cassa depositi e prestiti dedica sette righe ai 160 miliardi (32 miliardi l’anno) che in questi cinque anni verranno impiegati; e oltre una pagina a spiegare come. Inoltre: da dove vengono queste risorse? Mancando ogni indicazione si pensa che il flusso annuale sia l’analogo dei 32 miliardi di risorse aggiuntive affluite alla Cassa nel 2014 (deducibile tra le passività a fine 2013 e a fine 2014). Se così stanno le cose, Cdp dovrà ricorrere al mercato per 160 miliardi nel corso del quinquennio, e la leva finanziaria, che è già aumentata di un punto dal 2013 al 2014, sarà di 20 alla fine del piano. Senza contare che non sarà facile che l’utile dia lo stesso contributo all’incremento del patrimonio netto: infatti l’utile è costituito dal margine tra tassi attivi e tassi passivi, e Poste, quando si è quotata, ha spiegato al mercato come la nuova convenzione con Cdp fosse più vantaggiosa per Poste. Ergo meno per Cdp.

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→  dicembre 15, 2015


Il Corano è in realtà ben diverso da quello che comunemente si crede, scriveva su queste colonne Luca Ricolfi (Il terrorismo jihadista e la strategia del rospo Zen, 24 Novembre): ha precetti durissimi contro chi non si converte e non lo osserva, e, siccome è parola di Allah, non è interpretabile né modificabile. Dobbiamo rileggere il Corano se vogliamo liberare il mondo dall’islamismo titolava Newsweek il 12 Dicembre.

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→  dicembre 5, 2015


articolo collegato di Giulio Meotti
E’la storia indicibile di una famiglia che ci porge, come pochissime altre, la normalità sofferente di Israele. Una lunga coda di buio carica di dolore e di vitalità. La storia inizia a Zdeneve, un piccolo villaggio sui Carpazi ungheresi, negli anni Trenta. Lipa è un ragazzino ebreo. Famiglia poverissima, si sfama con due mucche che danno ogni giorno tre litri di latte e le patate coltivate nell’orto. Gli abiti vengono rammendati e passati da un bambino all’altro. Nel 1944, durante la Pasqua ebraica, arrivano i nazisti e ordinano a tutti gli ebrei di preparare un bagaglio di venti chili. Salgono sul treno per Auschwitz. All’arrivo, sulla rampa di Birkenau, Lipa si ritrova solo. La madre, il padre, la sorella e il fratello di un anno dopo due ore verranno inghiottiti dalle camere a gas. “Alla mia sinistra vedevo il fumo dei crematori, i corpi presi per i piedi e le mani e gettati nel fuoco”, mi ha raccontato Lipa. Gli fu data una divisa, un cappello e una gavetta di alluminio.
Era tutto ciò che aveva al mondo. “Ad Auschwitz pensavo che se fossi stato forte, i tedeschi avrebbero avuto bisogno di me”. Passano i mesi, si avvicina la fine della guerra e Lipa viene deportato in Austria, nel lager di Mauthausen. Da quel momento si sarebbe chiamato con un numero. “68.864 era il mio nome”. Quel numero era impresso sui pantaloni e la giubba, assieme a un triangolo rosso e alla lettera “J”. L’iniziale di Juden, ebreo. Sopravvive anche a Mauthausen, arriva la Brigata Ebraica, assieme ai soldati inglesi e americani. “Ci aiutarono a credere che gli ebrei potevano difendersi da soli e avere il loro stato. Diventare ‘ebrei in Palestina’”. Lipa entra nella sinistra sionista di HaShomer Hatzair. Ma gli inglesi avevano posto restrizioni all’immigrazione, così Lipa restò nei campi fino al marzo 1948. Il 14 maggio di quell’anno, Lipa si trova a Marsiglia, dove si imbarcherà sulla prima nave diretta in Israele. Era il giorno della proclamazione dello stato ebraico. “Salpammo sapendo di avere uno stato”. Attracca a Haifa, c’era fermento nell’aria e l’esercito ebraico lo arruolò subito. Lo misero di guardia a un kibbutz, Ein Hashofet. Due anni dopo nasce il primo figlio, Avner, che significa “ricordo di mio padre”, per onorare il padre gassato ad Auschwitz. Sei anni dopo arriva il secondo figlio, Yanay.
Passano gli anni e nasce anche Gidi. Servono tutti nell’esercito israeliano, chi nell’artiglieria, chi nell’aviazione. Da una Shoah a un’altra.
Il terrorismo palestinese inizia a portarsi via pezzi di questa famiglia. E’ l’inizio della Seconda Intifada. La prima vittima delle bombe umane è la bellissima Inbal, la figlia di Avner. Lavorava agli archivi del Beit Locamei Haghetaot, il centro che documenta la resistenza ebraica ai nazisti. Prendeva sempre l’autobus per tornare a casa dall’Emek Yisrael College nella fertile valle di Jezreel. Ma quel giovedì, Inbal sceglie una strada diversa per incontrare i genitori al ristorante. La strada passa attraverso numerosi villaggi arabi. Ancora non c’era la barriera antiterrorismo, ingiustamente condannata da tutto il mondo come “il muro”. I genitori la chiamano al cellulare per sapere dove fosse.
Due minuti dopo un terrorista di Jenin si fa saltare in aria. Il bus è quasi vuoto: tre israeliani uccisi, fra cui Inbal. Le conseguenze di quel giorno, come vedremo, si avvertiranno anche a tanti anni di distanza. Come una cometa carica di dolore.
Passano due anni da quell’attentato terribile e il 29 aprile la famiglia rivive lo stesso film. E’ la giornata della memoria della Shoah in Israele. Nelle stesse ore, i jet dell’aviazione con la stella di Davide sorvolano i prati di Auschwitz, dove vennero sparse le ceneri di un milione di ebrei, tra cui quelle dei genitori e dei fratelli di Lipa. La dimostrazione è guidata dal generale israeliano Amir Eshel. “La piattaforma delle selezioni, la linea ferroviaria, i campi verdi, un innocente silenzio”, disse Eshel. “Così appariva l’inferno sulla terra, nel cuore dell’Europa. Abbiamo compreso l’enormità della nostra responsabilità, nel garantire l’eternità del nostro popolo e della nostra terra. E’ stato un grande privilegio essere i delegati del nostro popolo e portare la sua grandezza sulle nostre ali”.
Quella sera, mentre lo stato ebraico sarà chiamato a stringersi nel ricordo dalla stessa sirena che annuncerà alla popolazione il lancio dei missili dei terroristi da Gaza, Yanay si stava esibendo in un pub del lungomare di Tel Aviv. Il kamikaze fu fermato all’ingresso dalla guardia, che volò alcuni metri in aria ma che sarebbe sopravvissuto. Yanay era appena uscito fuori per una boccata d’aria, e venne ucciso sul colpo. L’attentatore, entrato da Gaza, aveva il passaporto inglese. Era arrivato dall’Europa soltanto per uccidere ebrei innocenti. Il terzo tragico capitolo di questa straordinaria famiglia, che aveva sempre creduto nella coesistenza con i palestinesi, che ha sostenuto il rilascio di Gilad Shalit in cambio del mandante dell’uccisione della loro figlia (il terrorista del Jihad islamico Tabeth Mardawi), è stato scritto una settimana fa.
E’ il giorno dell’anniversario dell’uccisione di Inbal, quando suo fratello Ami, terzogenito di Avner, militare con lodi della marina israeliana, estrae la pistola di ordinanza e si uccide. Non lascia neppure un biglietto. Il giorno dopo sua sorella dà alla luce una splendida bambina. La storia di questa famiglia è la storia stessa di Israele, dove ogni vita che finisce si annoda a una che nasce, i sei milioni di ieri con i sei milioni di oggi. E’ il buco nero che l’Europa ha scelto tragicamente di ignorare.