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→  febbraio 20, 2016


Noi metteremo il veto su qualsiasi tentativo che vuole andare a dare un tetto alla presenza di titoli di stato nel portafoglio delle banche e saremo, senza cedimento, di una coerenza e forza esemplare”, ha detto Matteo Renzi in Parlamento in vista del Consiglio europeo di Bruxelles. Il “tentativo” a cui si riferisce Renzi ha avuto luogo nelle discussioni sulla costituzione del Fondo europeo di garanzia dei depositi, la terza gamba mancante dell’Unione bancaria, dopo la Vigilanza, già in funzione, e il Fondo di risoluzione, che si sta lentamente accrescendo e si completerà nel 2024. Inoltre è stata emanata la direttiva Brrd, quella del bail-in. Il fatto che questo preveda che a coprire le perdite di una banca, dopo gli azionisti, gli obbligazionisti subordinati e gli obbligazionisti ordinari possano essere chiamati anche i depositanti con importi maggiori a 100.000 (quelli fino a quel limite godono già di un’assicurazione europea), rende il Fondo di garanzia sui depositi molto importante: in mancanza di che, al primo rumor di difficoltà di una banca, i depositanti correrebbero a ritirare i loro averi, accelerando così il processo verso il fallimento.

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→  febbraio 5, 2016


Tutto è cominciato con il fallimento delle 4 banche: la bocciatura del piano governativo di salvataggio, applicazione per la prima volta, del meccanismo del bail in, vana ricerca di un colpevole su cui scaricare le proteste dei risparmiatori colpiti, primo scontro sulla “Germania a trazione tedesca” alla pre-riunione del Consiglio d’Europa. E’ quello l’innesco del brusco cambiamento di rotta del Governo Renzi nella politica verso l’Europa; da lì hanno origine i due temi del conflitto, uno sugli aiuti di Stato, l’altro sulla flessibilità di bilancio.

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→  gennaio 31, 2016


articolo collegato di Sergio Bocconi

Si profila un nuovo confronto Italia-Europa. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, intervenendo sabato al Forex di Torino, sollecita una revisione dei meccanismi europei di risoluzione delle crisi bancarie, e in particolare del bail in, entrato in vigore in gennaio. La Commissione Ue fa però subito sapere che «non ci sono piani per cambiare la direttiva, adottata nel 2014 con il consenso di una stragrande maggioranza al Parlamento europeo e con l’accordo unanime degli stati membri. Da un anno e mezzo si sa che il bail in dei creditori avrebbe protetto i contribuenti».
Al Forex Visco ha poi spiegato l’intervento sui quattro istituti in dissesto; ha approvato l’intesa con la Commissione Ue sulla garanzia pubblica per liberare i bilanci del settore dalle sofferenze e ha rinnovato l’appello a una maggiore diffusione della cultura finanziaria. Il Governatore ha quindi dedicato spazio alla congiuntura: in Italia la ripresa procede a ritmi moderati, come nell’area euro, sostenuta dalla domanda interna. Resta l’indicazione che nel 2016 e nel 2017 il prodotto possa crescere dell’1,5%. Sono in aumento i prestiti al settore privato e in particolare alle famiglie per i mutui. Dettagliata è stata la spiegazione relativa ai provvedimenti adottati nel novembre 2015 da governo e Bankitalia per risolvere le crisi di Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti, che nel complesso detenevano l’1% dei depositi italiani. Visco spiega che, dopo lo stop europeo all’utilizzo del Fondo interbancario, assimilato ad aiuto di Stato, sono state applicate le regole introdotte con la direttiva europea sulle crisi bancarie. I costi sono stati sopportati, oltre che dagli azionisti e i detentori di obbligazioni subordinate, dal sistema bancario attraverso il Fondo di risoluzione. L’alternativa? La liquidazione coatta. Da gennaio è entrato invece in vigore il bail in, che prevede il coinvolgimento con perdite anche delle obbligazioni ordinarie e dei depositi sopra i 100 mila euro. Secondo Visco le nuove regole, maturate in sede europea dopo i massicci interventi pubblici per i salvataggi bancari (che non si sono verificati in Italia) hanno comportato un cambiamento «drastico e repentino». Secondo Bankitalia e ministero dell’Economia invece di un’applicazione immediata e retroattiva dei nuovi meccanismi sarebbe stato preferibile un periodo di transizione per consentire a banche e risparmiatori di adattare strumenti e percepire rischi finora remoti. Ecco dunque la richiesta di revisione, possibile entro giugno 2018, precisa Visco, grazie a una clausola. Ma la Commissione Ue ha frenato.
E sempre sulle crisi Bankitalia precisa di aver chiesto alla Etruria a fine 2013 misure correttive e un’aggregazione. Ma il board dell’istituto nel 2014 ha rifiutato l’unica offerta «autonomamente avanzata dalla Popolare di Vicenza» (quindi non sponsorizzata dalla Vigilanza). Infine il Governatore invita le banche a predisporre meccanismi volontari di intervento, aggiuntivi rispetto ai sistemi obbligatori di garanzia dei depositanti, per contenere i costi di una crisi per i risparmiatori. Così come l’accordo sulle sofferenze (il cui flusso si sta riducendo) deve essere accompagnato da una migliore capacità di intervento da parte degli istituti. «Sarà utile lo schema di garanzia concordato con la Commissione Ue per facilitarne lo smobilizzo. Il mercato potrà attivarsi. Ma nessun provvedimento può cancellare la massa di sofferenze del passato: vanno aggredite con determinazione». L’Italia, viene sottolineato, sta uscendo da un periodo più grave della depressione degli anni Trenta: la crisi ha messo a dura prova imprese, famiglie e banche. Gli istituti però oggi hanno un patrimonio «molto più elevato rispetto al passato» e il rafforzamento, a differenza di altri Paesi, «è stato conseguito senza pesare sulle finanze pubbliche». E anche la redditività comincia a migliorare.

→  gennaio 27, 2016


articolo collegato di Martin Sandbu

Arigged market price
Almost everything about Italy’s agreement with Brussels over the country’s so-called “bad bank” policy to rid Italian banks of its problem loans should set off alarm bells. It illustrates how halfhearted is Europe’s commitment to reform the way it does banking.

The agreement, as the Financial Times reports today, involves a scheme by which the Italian state will issue financial guarantees for packages of non-performing loans that are burdening the banks’ finances. The guarantees are supposed to help the banks sell off the loans to other types of investors such as hedge funds.

To be clear, getting bad loans off Italian banks’ backs is a good idea. At about €350bn or 17 per cent of the banking system’s total loan book (three times the European average, according to the European Banking Authority’s last transparency exercise), they constitute a large patch of rot on the banking system’s balance sheet. The uncertainty over the eventual size of the losses is bound to restrain both the banks’ willingness to issue loans and their ability to raise capital as and when that becomes necessary. That fact that Italian bank lending is growing again, which is very welcome news, is nevertheless no reason not to shift this uncertainty to investors willing to bear it and whose risk exposure does not damage the wider Italian economy.

It’s such a good idea, in fact, that it’s useful to ask why banks haven’t sold off these loans to foreign hedge funds already. The Italian government’s plan has been to issue guarantees on the bad loans to facilitate their sale. The sticking point with the European Commission has been how to price the guarantees so they don’t constitute a subsidy. The agreement supposedly ensures that the insurance against losses will be sold at the market price for similar loss insurance on equally risky products.

But if it’s the market price, why does the government need to be involved at all? There are plenty of investment banks in the world that will issue loss insurance at a price. And there is little reason to think that the Italian government’s risk assessment is more reliable than a third-party investor’s: on the contrary. The very notion that the government must provide the insurance because the market doesn’t should make us suspicious of the risk it attributes (or rather not) to the loans in question.

If banks are not already selling off loans to private investors, it’s because the price at which they are willing to sell is higher than the price buyers are willing to pay. The reason for that is most probably not that the banks know the loans are better than they look. Instead, it is that a price at which buyers would be interested would expose losses that the banks would rather be without — or pretend to be without.

The only way a state guarantee can get around this problem is by making the bad loans look more attractive to investors, and thereby raise the price they would consider paying to a level that flatters the selling banks. But don’t let Rome and Brussels fool the rest of us into thinking that this is a market price: if the government needs to make it happen, it’s a price at which there is no market.

The alternative policy is, of course, to write down the value of the trouble loans to their real market value, which could be done, for example, by forcing banks to auction them off to the highest bidder with no state-sponsored insurance (banks could buy the insurance privately if they thought it would sufficiently raise the market price). That this has not happened simply illustrates that Rome remains unwilling to apply the spirit of the EU’s new bail-in rules, which requires bank shareholders and creditors to share in any losses. Yet again, a proper restructuring is too much to stomach for a national government.

As Free Lunch has complained during a previous public bout of Italian bank rescues, this unreconstructed attitude illustrates that European governments are still not comfortable with the banking reforms they signed up to in 2012. That is dispiriting but not surprising. That Brussels is willing to play along, however, is both.

Other readables
- An idea developed to address the job displacement due to trade and globalisation may well have a new lease of life in an era of job loss through automation: Lori Kletzler argues for wage insurance, which would compensate displaced workers for the lower salary in whatever job they managed to find.
- New research documents the long-term effect of migrating from a poor to a rich country by comparing winners and losers of New Zealand’s immigration lottery for citizens of Tonga.
- Harvard economist Gita Gopinath chills the optimism about India that many — including Free Lunch — had allowed themselves to feel. about India’s economy. Investment is falling, not just because reform promises have not been kept, but because of growing rot in the banking system. Seventeen per cent of Indian bank loans are in bad shape, and the cost of borrowing has soared.

→  gennaio 13, 2016


Non solo inutile, anche dannosa sarebbe per l’Italia una moratoria di 12-18 mesi per l’entrata in vigore della Brrd, Direttiva bancaria di recovery e resolution: è invece quella che ripetutamente chiedono Luigi Guiso e Luigi Zingales sul Sole 24 Ore, come ricordato anche su queste colonne. La Brrd prevede che in caso di bail-in venga annullato il valore delle obbligazioni ordinarie (per le azioni e le obbligazioni subordinate è già previsto fin dal 2013) e, se necessario, quota parte dei conti correnti superiori ai 100 mila euro; a questo rischio potenziale corrisponde un maggior tasso di interesse per la raccolta; e siccome le nostre banche hanno emesso molte più obbligazioni di quelle degli altri paesi europei, scrivono i due economisti, deve essere riconosciuto più tempo alle banche che le hanno emesse e alle famiglie che le hanno comperate.

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→  gennaio 10, 2016


Analisi dell’economista ed ex ministro Paolo Savona

Errare è umano, perseverare è diabolico. Ho pensato a questo vecchio detto quando ho letto la definizione che la Banca d’Italia ha dato del BRRD, la nuova direttiva per la “soluzione” delle crisi bancarie (Dio ci protegga dagli acronimi e dai termini inglesi che ne celano il significato): «Le nuove norme consentiranno di gestire le crisi in modo ordinato attraverso strumenti più efficaci e l’utilizzo di risorse del settore privato, riducendo gli effetti negativi sul sistema economico ed evitando che il costo dei salvataggi gravi sui contribuenti».

Questa definizione implica che: 1) le gestioni delle crisi precedenti fossero meno ordinate, in sostanza una critica che la Banca d’Italia rivolge a se stessa; 2) i nuovi strumenti saranno più efficaci di quelli usati in passato; 3) le risorse proverranno dal settore privato; 4) gli effetti negativi delle crisi sul sistema economico verranno ridotti; 5) i contribuenti non subiranno più il costo dei salvataggi bancari. Questa elencazione dei molti vantaggi ricorda un episodio accaduto all’Assemblea francese: un ministro esordì affermando che aveva molti buoni motivi per avanzare la sua proposta; lo interruppe un deputato logicamente agguerrito che obiettò «se dispone di una buona ragione basta e avanza; ci risparmi dal sentire gli altri».

Nessuno degli effetti indicati dalla Banca d’Italia ha solidi fondamenti. In passato la soluzione delle crisi ha funzionato bene, ne consegue che gli strumenti usati erano efficaci; le risorse provenivano anche dal settore privato e affluivano mosse dalla convenienza, non dall’obbligo di legge come sarà da questo momento in poi; l’economia reale ha sempre beneficiato del precedente regime, mentre non accadrà lo stesso in futuro; l’onere sulla collettività era spalmato in modo più equo di quanto non avverrà con la nuova legge che penalizza il risparmio.

La logica economica prescrive che per raggiungere ciascun obiettivo si deve applicare almeno uno strumento, mentre la nuova legge prevede un solo strumento per raggiungere i cinque obiettivi indicati dalla Banca d’Italia; la realtà è che il vero scopo del provvedimento è unico: trasferire la responsabilità delle crisi prodotte dalle autorità italiane ed europee ai risparmiatori anche piccoli, quelli che avrebbero dovuto tutelare.

La decisione è frutto della grave malattia che ha colpito l’Europa, quella di voler isolare i bilanci pubblici dalle vicende dell’economia e della società che le autorità dovrebbero governare, ma non riescono a farlo, come dimostra la grave crisi finanziaria diffusasi a seguito delle insolvenze dei crediti subprime e dei loro derivati. Per proteggere i conti pubblici si penalizzano quelli delle famiglie, già messe a dura prova dall’incapacità mostrata dalle autorità di saper governare la crisi e la sua diffusione. La legittimazione dell’irresponsabilità delle autorità e della responsabilità dei risparmiatori è priva di basi pratiche; infatti il nuovo regime di risoluzione delle crisi porta sulle spalle delle banche un onere solo inizialmente prevedibile, quello di costituire un fondo presso l’organismo di tutela dei depositi, e un onere imprevedibile se lo devono ricostituire se utilizzato.

Le banche trasferiranno l’onere in forme più subdole alla clientela per ricostituire il rendimento del loro capitale al fine di evitare i riflessi negativi sulla loro capacità di concedere credito alle imprese produttive e, di conseguenza, all’intero sistema economico; ma non basta, perché ridurranno la remunerazione del risparmio a esse affidato e aumenteranno il costo dei servizi prestati. In conclusione la collettività pagherà comunque l’onere degli interventi in forme più difficili da valutare.

Chi trae un vantaggio dalla nuova regolamentazione sono quindi solo le autorità responsabili delle crisi per non aver saputo governare il mercato. Ma anch’esse si illudono, perché se vogliono avere un sistema del credito e del risparmio all’altezza dei compiti che attendono l’economia fuori dalle speranze e dalle chiacchiere in corso dovranno darsi carico di studiare un meccanismo meno pericoloso di quello approvato che protegga l’offerta di credito e il risparmio che la sostiene.

Ciò che sconcerta in questo provvedimento, come nella spiegazione datane dalla Banca d’Italia che lo ha propiziato, è che non si parla del problema di fondo, quello di chi fornisce le informazioni ai clienti della banche; danno invece la colpa alla loro ignoranza, che è anche frutto delle omissioni pubbliche in materia.

Ammesso che l’ignoranza possa essere attenuata o, al limite, anche sconfitta, su quali basi statistiche deve poggiare l’uso del sapere finanziario conquistato dai risparmiatori e chi è tenuto a fornirle? In passato, la tutela del risparmio era stata affidata alle società di rating, istituzioni private che ne hanno combinato più di Bertoldo di Francia. Non si può delegare a esse o altre simili istituzioni private il compito di attuare l’art. 47 della nostra Costituzione. Devono provvedere le autorità. Ciò sarà possibile solo dividendo nettamente il sistema dei pagamenti, le cui prestazioni vanno totalmente garantite dallo Stato, dal sistema del credito, che si svolgerà sotto il controllo del Governo, la vigilanza di enti delegati e, in caso di crisi, risolto con norme meno rigide di quelle erroneamente introdotte con il bail in. Si può sperare in una maggiore attenzione al problema da parte degli organi democratici rispetto a quella finora prestata? Le informazioni raccolte sul trattamento discriminante seguito dai paesi membri dell’UE testimonia il modo affrettato e superficiale con cui la direttiva è stata varata e da noi approvata.

Porvi rimedio è tanto più urgente e importante quanto più si intendono ridurre i livelli di protezione sociale per necessità legate alla competizione globale con paesi che non hanno gli stessi livelli. Da decenni si va operando sul sistema pensionistico senza sviluppare in parallelo regimi di tutela del risparmio volontariamente accumulato; anzi le due responsabilità, quella di formarsi una previdenza integrativa continuando a contribuire a quella pubblica vengono accompagnate da un aumento dei rischi finanziari corsi dal cittadino, ormai ritornato allo stato di suddito di leggi improvvide approvate dal suo decisore collettivo, il Parlamento.

La protezione della collettività dagli oneri delle crisi non può avvenire infliggendo ai risparmiatori una perdita, con le conseguenze indicate, ma migliorando i meccanismi pubblici di informazione e di vigilanza, come pure i meccanismi di soluzione delle crisi; per questi ultimi insisto sul fatto che vanno eliminati i conflitti di interesse esistenti che hanno generato ritardi nel salvataggio e oneri più elevati per la collettività, ponendo le funzioni di vigilanza e di soluzione in posizione di autonomia e reciproca indipendenza.

Come consuetudine, lo si capirà solo dopo che i buoi sono scappati dalle stalle, ossia a crisi scoppiata.