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→  aprile 17, 2020


di Franco Debenedetti e Natale D’Amico

Senza indicare un criterio la scelta delle data per la fine del lockdown sembra un’estrazione casuale priva di ogni ragionevolezza.

Perché il 4 Maggio? Immagino che il Presidente Conte abbia chiesto ai suoi consiglieri tecnici quando si poteva rischiare un rilassamento delle costrizioni; avrà fatto presente le necessità degli operatori economici (e del nostro PIL), il rischio di un’insofferenza della popolazione. I consiglieri avranno indicato una data in cui ritengono che la probabilità di contagio si sarà ridotta in modo da non rischiare ricadute. E l’avranno fatto nella motivata previsione che alcuni dati avranno stabilmente raggiunto entro il 4 maggio quei valori che consentono la parziale riapertura . Quali sono questi dati e quale la soglia attesa? Il numero dei nuovi contagi o la loro diminuzione media giornaliera? Il numero di ricoverati in terapia intensiva, quello dei cittadini testati, o a cosa altro? La risposta non arriverà, ma la verità la sappiamo: quei numeri non sono stati enunciati perché mancano i dati, a partire da quello fondamentale, cioè il numero di asintomatici e di quanti hanno la malattia in incubazione o non sono stati dichiarati. Il 23 marzo scorso rivolgemmo un accorato appello ai decisori politici affinché raccogliessero, elaborassero, mettessero a disposizione di tutti un maggior numero di dati, e di migliore qualità, intorno alla evoluzione della epidemia. Non siamo stati i primi a porre la questione, altri hanno seguito: tra tutti, Giorgio Alleva e Alberto Zuliani, ex presidenti dell’ISTAT, decani della scienza statistica italiana, fiancheggiati da numerosi loro colleghi.

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→  aprile 1, 2020


È una fortuna che il Governo goda di un giudizio positivo, anche se purtroppo non se lo merita. Dati, imprese, soluzioni. Idee per evitare che l’Italia guarisca morendo.

Sarà perché siamo tutto il giorno su Internet, sarà perché tutti siamo concentrati a cercar risposte agli stessi interrogativi, ma sembra che sia aumentata la velocità di circolazione delle idee: ancora pochi giorni fa erano quelle sui dati per conoscere il presente, adesso son quelle sul “dove stiamo andando” per evitare di perdere il futuro. C’è una logica comune tra la strategia per quali e quanti dati raccogliere, e quella per evitare che il Paese “muoia guarito”, per mutuare la frase di Renaud Girard, il grande cronista di guerra del Figaro. E ciò, com’è ovvio, chiama in causa il Governo, la sua strategia, la sua capacità di far ripartire il Paese. E il giudizio, come si vedrà, è del tutto diverso da quello che ci raccontano le analisi demoscopiche: giudizio sia su quello è stato fatto, sia su quello che ci si dovrebbe preparare a fare per riportare le aziende a produrre e la gente a lavorare; e sulle le ragioni culturali e politiche che ne sono alla base.

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→  gennaio 22, 2020


L’idea della politica industriale continua a sedurre: i politici, che così pensano di dimostrare ai cittadini che hanno la situazione sotto controllo; gli imprenditori, specie quelli con qualche problema, che pensano che ci sia qualcosa da guadagnare da quello che i politici dovranno fare. Guadagnare di più è l’obbiettivo naturale delle aziende, non hanno bisogno di essere pungolate per perseguirlo. E quanto al Paese, bisognerebbe incominciare a non distruggere quello che c’è: leggi ILVA, Atlantia, e, se non ci fosse stato Marchionne a impedirlo, anche Pomigliano.

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→  novembre 29, 2019


La vicenda della Tirreno Power è davvero lo specchio di quella dell’Ilva, come titola un editoriale del 27 novembre? Se nel senso che entrambe furono bloccate da un “intervento giudiziario paralizzante”, certamente sì. Sì, probabilmente, perché come a Savona, anche a Taranto potrebbe risultare che non sono dimostrabili i nessi causali tra le emissioni, quelle reali e ancor più quelle consentite, e i danni sanitari. Sì, ancora, perché i provvedimenti giudiziari colpirono le aziende in un momento di gravissime crisi di Mercato, a Vado per la concorrenza delle fonti rinnovabili unita al calo della domanda dovuta alla crisi, a Taranto per la concorrenza della sovrapproduzione cinese, che colpa gravemente tutti gli acciaieri europei.

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→  novembre 23, 2019


“Il capitalista privato che spolpa Taranto ed esporta fondi neri” cosi Massimo Giannini su Repubblica di giovedì, con riferimento alla gestione dei Riva.
“Spolpa” Taranto? Con i Riva, Taranto produceva 8, perfino10 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, dando lavoro a oltre 15.000 persone; oggi saremmo contenti con 5. “Esporta fondi neri”? Il 12 Novembre Ansa informava che la Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione del fascicolo ‘contenitore’ da cui sono nate le varie indagini sui Riva e sui professionisti che erano finiti indagati a vario titolo per bancarotta, appropriazione indebita, riciclaggio e reati fiscali. E il 5 luglio 2019 il Tribunale di Milano ha assolto in primo grado Fabio Riva dall’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Ilva, perché il fatto non sussiste. Non si può non riflettere su quanto queste vicende abbiano prodotto, come afflizioni alle persone e come contribuito alla rovina dell’azienda.
I “fallimenti” hanno sempre una causa, ciascuna sua propria: mettere tutto insieme, il vero e il falso, il pubblico e il privato, gli errori e le colpe contribuisce alla crescita di quella mentalità anti-industriale, di quei pregiudizi anti-competenze che sono terreno di coltura dei fallimenti: quelli di cui parla Giannini, e quelli più generali che affliggono questo Paese.

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→  novembre 13, 2019

Il commento di Franco Debenedetti, presidente dell’Istituto Bruno Leoni.