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→  giugno 19, 2005


La Quercia teme una performance di Bertinotti. Mastella: questo voto serve solo a Fausto

«Le primarie ci dovranno essere e dovranno essere aperte a tutti i nostri elettori». Lo ribadisce con forza il Professore nella lettera che ieri ha inviato all’esecutivo dell’Italia dei valori. Lui vuole «primarie vere», vuole il crisma dell’investitura popolare. O così, o niente. Candidato premier del centrosinistra sì, ma alle sue condizioni, che Romano Prodi mette nero su bianco: «La soluzione non può essere che quella delle primarie», parola che ritorna più di frequente nella missiva indirizzata ieri al partito di Antonio di Pietro.

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→  giugno 13, 2005

La polemica

Se avessi avuto dubbi che Sandro Bondi é molto impegnato, il suo articolo di ieri (Ma è pronta la sinistra italiana a scegliere una Ue modello Blair? ) me li avrebbe levati. Infatti si vede che ha letto affrettatamente sia la mia intervista (sul Corriere della Sera dell’8 giugno), a cui risponde, sia quella di Giddens (su La Repubblica dell’8 giugno), che ampiamente cita. E soprattutto che non ha trovato il tempo di modificare il suo articolo alla notizia della scomparsa di Napoleone Colajanni: almeno in questi momenti, una grande persona e un uomo coraggioso, quale indubbiamente Colajanni è stato, merita un giudizio per quello che ha fatto nella sua vita, e Bondi, che è persona leale, non l’avrebbe usato a fini di una polemica contingente.

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→  giugno 10, 2005

Risposta a Franco Debenedetti

di Sandro Bondi

Caro direttore,
Franco Debenedetti, in un’intervista al Corriere della sera, ha proposto una via d’uscita dalla crisi del modello europeo, che è anche una crisi della percezione positiva dell’Europa da parte dei popoli. Debenedetti afferma che la prossima presidenza britannica guidata da Londra costituisca un motivo oggettivo di ripensamento degli schemi ideologici europeisti a favore di una soluzione politica e strategica della odierna e realissima crisi dell’Europa. E’ necessario rendersi conto che i responsi referendari francese e olandese non possono essere trascurati. Anzi, la Francia e l’Olanda aprono, di fatto, una salutare crepa all’interno della roccaforte ideologico-burocratica che ha dettato finora il pensiero unico dell’«europeismo». Giustamente Debenedetti parla di una potente «euroretorica» che certo non giova all’analisi dei problemi esercitata con la lente della razionalità critica. Blair, secondo Debenedetti, produce l’effetto spiazzante che ricolloca il confronto tra il modello del capitalismo renano, così caro a Prodi, e quello anglosassone. Il primo, di impronta neosocialista e socialdemocratica, ha fatto il suo tempo, non tiene più il confronto con due fenomeni centrali nel XXI° secolo: il mercato mondiale e la società della conoscenza. Entrambi i fenomeni considerano non tanto lo sviluppo delle forze produttive e la redistribuzione del reddito, bensì la crescita economica fondata sulla valorizzazione del capitale umano e del capitale sociale. In questo nuovo spazio dell’economia-mondo, non c’è spazio per il welfare neokeynesiano e neppure per degli aggiustamenti strutturali dello stesso. Questa è una storia finita e non più recuperabile. Lo sa bene anche Debenedetti e da tempo, insieme al quotidiano Il Riformista, è alle prese con l’idea-forza di un neo-laburismo blairiano anche in chiave europeista. Con questa chiave economico-politica, l’Europa, così sostiene Debenedetti, può recuperare un modello sociale compatto e fondato sul welfare, ma non più in un’ottica neokeynesiana. Naturalmente, tutto ciò può essere fatto se e solo se si produce tanto e bene, ovvero se e solo se c’è una crescita economica effettiva. Blair ha fatto crescere l’Inghilterra; l’Europa è invece al palo, anzi rischia il ristagno. Allora, questo è infine il punto-chiave: la crescita. La domanda che, in questo orizzonte politico, emerge è allora necessariamente la seguente: è davvero in grado la sinistra di ricollocare su un’asse di crescita l’Europa? E’ davvero in grado la sinistra italiana di ripensare l’Europa e, con essa, se stessa? Debenedetti pensa bene le questioni di fondo legate alla crisi dell’Europa e dell’europeismo, come parimenti pone lucidamente la questione dell’«euroretorica», e purtuttavia sfugge ancora una volta il cuore della vicenda politica attuale: la sinistra italiana non pensa mai a Blair come a un modello politico da seguire e capace di ridefinire la sua fisionomia politica, ma lo pensa sempre come un «eretico» al quale si concede la patente di «uomo di sinistra» solo perché si trova nel Labour, tutto qua.
Anche Napoleone Colajanni ha affermato che non può esistere nessun programma di riforme vere del sistema socioeconomico senza crescita economica e che, dunque, non esiste la cosiddetta redistribuzione delle risorse economiche a favore dei ceti meno abbienti senza crescita; solo che poi, all’atto pratico, la risposta è ancora neowelfaristica e dunque legata ad un uso massiccio di quel «modo di governare attivo», come ha scritto Giddens in un articolo pubblicato su La Repubblica, dunque, niente di nuovo sotto il sole. In realtà, non è vero che «la socialdemocrazia – cito ancora Giddens – differisce dal liberalismo, poiché considera di vitale importanza l’elemento “sociale”». Tant’è vero che oggi Fukuyama, in America, sta costruendo un nuovo paradigma di statualità liberale che si fonda per la gran parte sul capitale sociale, intendendo con ciò valorizzare appunto l’elemento sociale del liberalismo. La cultura politica della sinistra non è quella di Debenedetti, ma è quella di Giddens e Colajanni, nella migliore delle ipotesi. E’ una cultura politica che non riesce a comprendere che, per risolvere la crisi del modello-Europa, non occorre soltanto adottare astrattamente il modello anglosassone, ma è anche necessario ripensare il patto di stabilità, riconnettere l’idea di Europa ai mondi vitali dei cittadini europei, rilanciare gli investimenti produttivi fortemente centrati sul disegno strutturale delle economie avanzate del XXI° secolo, vale a dire la conoscenza e l’innovazione. Queste sono le nostre proposte.
Soltanto la politica e l’etica della responsabilità di una classe dirigente a favore dell’Europa senza tracce di «euroretorica» ci farà uscire da questo imbarazzante guado nel quale i risultati referendari della Francia e dell’Olanda ci hanno collocati. Ha ragione Debenedetti quando, alla fine della sua intervista, afferma: «Servono scelte». E’ qualcosa che la sinistra italiana, a cominciare dal maggiore responsabile di questa grave crisi del modello-Europa, Romano Prodi, dovrebbe sempre mantenere come punto di vista. Ma la strada è ancora lunga, per la sinistra italiana, e sulla sua storia pesa, oltre all’«euroretorica», anche un’altra distorsione ideologica da sempre diffusa nelle sue fila: il miraggio del «sociale». Da quando Blair l’ha abbandonata, è riuscito non soltanto a vincere, ma anche a costruire un vero modello sociale competitivo. E così, in Italia, ha soltanto un interlocutore da lui considerato adeguato: Silvio Berlusconi.

ARTICOLI CORRELATI
Una UE modello Blair?
di Franco Debenedetti, 13 giugno 2005

Basta con l’euroretorica, il modello è Londra
di Franco Debenedetti – Il Corriere della Sera, 10 giugno 2005

→  giugno 9, 2005

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INTERVISTA

«Credo che la presidenza britannica rappresenti una grande occasione per capire le ragioni profonde della crisi dell’Unione europea», dice Franco Debenedetti, senatore dei Ds convinto che l’Italia abbia bisogno di «una forte iniezione di quel modello britannico troppe volte osteggiato». Il semestre del turno affidato a Londra comincerà il primo luglio. L’esigenza principale è cercare di uscire dalla pericolosa fase di inquietudine nella quale l’Ue rischia di impantanarsi dopo la bocciatura del Trattato costituzionale nei referendum di Francia e Olanda.

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→  giugno 4, 2005

il_riformista
LEADERSHIP – Concorrenti e voto di partito

Sembrava che il problema fosse lo strappo con la Margherita sulle liste unitarie. Poi sopravviene la brutta vicenda Rai – Petruccioli. Con il voto francese e olandese, si apre la questione della nostra politica europea. Improvvisamente, i fatti appaiono non più isolati, si saldano tra loro: il problema diventa quello della leadership
del centrosinistra. Lo riconosce Prodi, che ieri rilancia sulle primarie.

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→  giugno 3, 2005


di Luca Savarino
L’Occidente è in crisi. Una crisi paradossale, perché dovuta al suo successo: nata con la fine della guerra fredda, silenziosamente covata sotto le ceneri per tutti gli anni Novanta ed esplosa con fragore solo dopo l’11 Settembre, quando, di fronte alla sfida del terrorismo internazionale, le nazioni occidentali si sono divise in modo plateale.

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