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→  luglio 30, 2005

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“Perché mai, dottor Fiorani, un banchiere di successo come lei sceglie di dipendere dal Governatore per le sue iniziative, anziché dal giudizio del mercato?” C’era anche Franco Bruni quel giorno del 2003, a TV24. Giampiero Fiorani aveva enunciato la sua strategia: mettere nelle mani del Governatore il futuro della sua banca, lasciare a lui decidere come e quanto crescere. Scandalizza la novità nelle intercettazioni: ma è la continuità che colpisce.

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→  luglio 24, 2005


Perché si firmano appelli sui giornali? Me lo chiedevo leggendo che quello lanciato dagli economisti italiani sul Sole 24 Ore, per una politica di riequilibrio dei conti pubblici, è stato sottoscritto già da 143 accademici. Uno dei primi atti della mia vita politica, nel 1995, fu proprio scrivere l’appello a favore del progetto della prima riforma Berlusconi sulle pensioni, e riuscire ad avere le firme di Franco Modiglioni, di Sylos Labini, di Mario Baldassarri, e di Romano Prodi.

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→  luglio 6, 2005

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di Oscar Giannino

Ieri, il sondaggio aperto due settimane fa dal sito di Repubblica sulle primarie del centrosinistra era giunto a quasi 93 mila suffragi. Non è un sondaggio su campione rappresentativo, ma il rapporto tra il popolo di centrosinistra e la testata fondata da Eugenio Scalari è tale che il sondaggio ha un suo valore. Il 64% dei voti va a Romano Prodi e il 19% a Bertinotti. Ma c’è un terzo dato rilevante: quasi il 10% indica espressamente che voterebbe un altro candidato rispetto a quelli sin qui fattisi avanti.
Allarghiamo ora lo sguardo all’Europa. In Francia, quale è stato l’effetto delle divisioni nella famiglia socialista rincorrendo le posizioni più estreme? La sconfitta netta alle presidenziali prima, poi la lezione sembrava compresa ed ecco la grande vittoria unitaria alle regionali, ma col ritorno delle spaccature e della rincorsa alle posizioni antagoniste ecco la nuova rovina. Al referendum europeo. In Germania, la Spd va alle elezioni anticipate a sua volta sotto l’effetto crescente della concorrenza portatale dalla neoformazione radicale “Alternativa elettorale per il lavoro e la giustizia sociale”, in cui confluiscono i comunisti del Pds e i radicali come Oskar Lafontaine. Ed ecco che nella piattaforma elettorale Spd tornano proposte come l’innalzamento delle tasse ai ricchi, riportando l’aliquota marginale di nuovo al 45% sopra i 250 mila euro di reddito: proposte demagogiche destinate a raccogliere poche risorse, visto che si tratta solo dello 0,12% dei contribuenti, e che al contrario esercitano effetti economici certamente negativi, in termini di abbassamento ulteriore della propensione al lavoro e alla produzione di reddito, risparmio e investimenti.

Un riformista. Torniamo all’Italia. Quando Giuliano Amato sul Sole domenica scorsa e Romano Prodi due giorni fa sottolineano con nettezza che Blair avrà tante ragioni ma il suo non è un modello valido per l’Italia, nelle loro prese di posizione si legge la stessa preoccupazione di non irritare la sinistra radicale nostrana, in vista delle politiche. Di qui l’annacquamento di proposte ispirate a riformismo sanamente individualista e di mercato, che va affiancato a proposte di maggior integrazione sociale per gli have not come un motore senza la cui robusta propulsione non vale la sola scintillante carrozzeria a vincere la gara della crescita e della competitività. Torniamo allora al sondaggio di Repubblica. C’è una parte importante dell’elettorato di centrosinistra pronta a esprimere un segnale di riequilibrio della piattaforma programmatica e della stessa eventuale futura squadra ministeriale del centrosinistra. Per farlo, ha bisogno di un candidato alle primarie che oggi non c’è ancora. Come propone il senatore Debenedetti, un candidato il cui profilo personale non imbarazzi i Ds, perché se fosse loro espressione incorrerebbero in leso prodismo. E che non ingeneri attese di voler davvero candidarsi al premierato o a un ministero. Un candidato-idea, votando il quale l’elettorato più riformista segnali tangibilmente a Prodi che nel programma e nel governo la via blairiana deve essere ben presente, non solo quella della sinistra radicale. Se magari fosse un imprenditore-manager di nome e prestigio, senza grilli politici per la testa e disposto alle primarie solo per un programma di governo meno radicale e più di mercato, sarebbe un servizio reso al paese e non solo alla sinistra. Meno entrambi i programmi dei due poli politici fossero intrisi di retorica statalista e tributarista, meglio sarebbe per tutti, alla fine.

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Non possiamo rassegnarci al gioco dei nove. Candidato riformista, se ci sei batti un colpo
di Franco Debenedetti – Il Riformista, 05 luglio 2005

Appello ai riformisti, schieriamo un nostro candidato
di Franco Debenedetti – Il Corriere della Sera, 25 giugno 2005 2005

Lettera ai riformisti
di Franco Debenedetti, 24 giugno 2005

→  giugno 25, 2005

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Racconta che l’idea gli è venuta di notte, sfogliando il Corriere. «Stavo terminando la lettura di un articolo di Michele Salvati, quando all’improvviso ho avuto l’illuminazione: serve un candidato riformista. Perchè se queste primarie si devono fare, almeno che servano a qualcosa». Il senatore ds Franco Debenedetti non ci ha pensato su due volte ed è subito passato dalla teoria alla pratica: ieri ha preso carta e penna e ha inviato una lettera aperta a tutti i suoi «amici riformisti». E cioè, tra gli altri, a Michele Salvati, Enrico Morando, Claudio Petruccioli, Nicola Rossi, Umberto Ranieri, Peppino Caldarola e Biagio De Giovanni.

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→  giugno 24, 2005

Cari amici,

Primarie a ottobre; assemblea programmatica a dicembre; blindatura del candidato prima e del premier poi; schema “1+9″ cioè Prodi più i nove segretari dei partiti, ciascuno col suo diritto di veto: quanto hanno concordato i leader dell’Unione solo apparentemente definisce le regole di governance della coalizione; in effetti ne determina in modo preciso l’identità politica.

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→  giugno 21, 2005

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Ora inventiamo il «populismo riformista»

“La maggioranza dei votanti razionali si astengono dall’acquisire informazioni politiche di per sé, votano invece sulla base di dati disponibili o acquisiti accidentalmente”. Così, nel 1957, nella sua “An Economic Theory of Democracy”, Anthony Downs poneva le basi teoriche della “ignoranza razionale del votante” e del connesso paradosso del voto. Ogni votante “sconta” il vantaggio che può derivargli da un esito della votazione a lui favorevole, in base alla considerazione che il suo voto influisce in modo infinitesimo sul risultato.

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