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→  febbraio 20, 2008

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Lettera al Direttore del Foglio

Caro Direttore,

non stupisce che Di Pietro, appena aggregato al PD con la sua bandiera, abbia voluto saggiare i limiti della propria libertà di manovra, facendolo sul terreno sicuro del populismo televisivo e con lo schermo inossidabile della legalità europea.

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→  febbraio 18, 2008

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di Luca Ricolfi

Veltroni ha presentato sabato le promesse del Partito democratico (Pd), fra una settimana circa Berlusconi presenterà quelle del Popolo della libertà (Pdl). È probabile che, al netto delle parole in cui saranno avvolte, le promesse finiscano per rivelarsi affini. Più sicurezza, meno tasse, sostegno ai redditi bassi, aiuti alla famiglia, contenimento della spesa pubblica, misure per la competitività, alleggerimenti fiscali sugli straordinari: chi avrà il coraggio di non ripetere le solite promesse?

Il punto dunque non è che cosa Pd e Pdl ci promettono, ma che garanzie offrono di mantenere le promesse. Di solito chi solleva questo problema aggiunge che ogni promessa costosa (come la soppressione dell’Ici sulla prima casa, o il bonus per i nuovi nati) dovrebbe essere accompagnata da un’indicazione precisa delle relative «coperture», ossia dei soggetti su cui verrebbe fatto gravare il peso finanziario della promessa. Giustissimo, ma da sempre i politici hanno escogitato un modo sicuro per aggirare la domanda. Alla richiesta di indicare le coperture rispondono: a) recupero di evasione fiscale; b) riduzione degli sprechi nella pubblica amministrazione; c) maggiore crescita. E il discorso finisce lì.

Andrà così anche in questa campagna elettorale, e quindi non proviamo nemmeno a scongiurare i politici di rivelarci «dove prenderanno i soldi» per fare le meravigliose cose che ci promettono. Non ce l’hanno mai detto, non ce lo diranno mai. Perciò siamo e resteremo indifesi di fronte al fiume in piena delle promesse. C’è una cosa, tuttavia, che può aiutarci a capire se un programma è credibile oppure non lo è: la sincerità con cui ci racconta il nostro passato e il nostro presente.

Non possiamo sapere che cosa Veltroni o Berlusconi ci riservano per il futuro, ma possiamo capire se ci trattano come bambini ingenui o come persone mature. Se si prendono gioco di noi oppure ci rispettano. Come ha scritto recentemente sul Sole – 24 Ore Franco Debenedetti, il punto di partenza di una stagione politica finalmente costruttiva è la condivisione dei «giudizi che si danno sul passato». Probabilmente non riusciremo a metterci d’accordo sul futuro, ma almeno mettiamoci d’accordo sul passato.

Prendiamo Berlusconi. Nei giorni scorsi gli abbiamo sentito dire in tv che il suo governo aveva realizzato l’85% del programma del 2001 – il famoso contratto con gli italiani – e che il «pezzettino» non realizzato (appena il 15%) era rimasto sulla carta per colpa degli alleati. Bene, allora è forse il caso di ricordargli che le due promesse principali del suo programma sono state clamorosamente disattese: l’aliquota Irpef massima non è stata ridotta al 33%, i delitti anziché diminuire sono aumentati. Per non parlare delle grandi opere, anch’esse realizzate in misura ben inferiore alle promesse. Perché raccontarci di aver onorato il «contratto» all’85% se non è vero? Gli italiani non sono ciechi, e se nel 2006 hanno tolto la fiducia a Berlusconi è anche perché si sono accorti che il contratto non era stato rispettato.

Per Veltroni il passato da indorare è quello di Prodi. Ma un conto è sorvolare signorilmente su qualche scivolone o su qualche punto marginale, un conto è capovolgere la trama della storia economico-sociale recente. Veltroni dice: ridurre le tasse e aumentare i salari si può, e si può proprio perché il governo Prodi ha condotto una lotta vittoriosa contro l’evasione fiscale (almeno 20 miliardi di gettito recuperati, secondo il governo uscente). Peccato che questa ricostruzione del nostro passato recente non sia compatibile con quel che si sa dell’andamento dell’economia negli ultimi due anni. Vediamo perché.

Lotta all’evasione. La cifra di (almeno) 20 miliardi recuperati è altamente controversa, ed è stata messa in dubbio da vari analisti e centri di studio indipendenti. Per il 2006, unico anno per il quale si dispone già di dati completi, non è nemmeno certo che esista un effetto-Visco (la mia miglior stima fornisce un recupero di evasione di appena 1,7 miliardi). Quel che in compenso è certo è che il governo Prodi ha sempre tenuto basse le previsioni sulle entrate fiscali, e proprio grazie a questo artificio contabile ha fatto emergere i vari «tesoretti».

Uso dell’extragettito. Quale che sia l’origine del cosiddetto extragettito (gettito non previsto dal governo), è incontrovertibile che i contribuenti non hanno visto sgravi fiscali per 20 miliardi di euro (la lotta all’evasione fiscale non doveva servire a ridurre le tasse ai contribuenti onesti?). Essi hanno invece assistito, nel corso del 2007, a una sistematica opera di dissipazione del gettito non previsto. Visco metteva i soldini nel salvadanaio, i «ministri di spesa» lo rompevano tutte le volte che si accorgevano che era pieno (Dl 81, Dl 159, Finanziaria 2008).

Situazione attuale. Nessuno, nemmeno il ministro dell’Economia, sa dire ancora con certezza se esiste un ulteriore gettito non previsto del 2007 (gli ultimi dati ufficiali dell’Agenzia delle entrate sono fermi al 30 novembre scorso). Quel che si può dire con certezza, invece, è che ci sono 7-8 miliardi di spese prevedibili ma non messe a bilancio, che l’andamento del gettito delle imposte dirette (il più sensibile all’andamento dell’economia) è in costante calo dal gennaio del 2007, e che a partire dallo scorso ottobre il gettito cresce meno del reddito nominale. In concreto questo vuol dire che, se l’economia dovesse continuare ad andare male, il gettito 2008 potrebbe risultare minore del previsto, anziché maggiore come è stato negli ultimi due anni.

Morale. Il governo Prodi consegna all’Italia una situazione nella quale non c’è più alcun extragettito da spendere e, se anche qualche risorsa dovesse mai spuntar fuori, verrebbe immediatamente bruciata per coprire i 7-8 miliardi di spese non messi a bilancio dalla Finanziaria 2008. Capisco che Veltroni sia così gentile da non voler vedere questa triste eredità, ma se si vuol essere nuovi bisogna esserlo anche sulle cose che contano: non basta mettere i giovani in lista, occorre anche cominciare a dire la verità.

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di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2008

Walter Veltroni ha dato il via a un’autentica rivoluzione
di Francesco Verderami – Il Corriere della Sera, 15 febbraio 2008

→  febbraio 15, 2008

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di Francesco Verderami

Walter Veltroni ha dato il via a un’autentica rivoluzione. Da quando è diventato segretario del Pd ogni suo atto ha segnato una rottura con il passato. La decisione più importante è legata alla scelta di aprire il dialogo con Silvio Berlusconi. Quella mano tesa verso «il nemico» ha un valore che travalica i confini della politica, e se vuol essere il primo colpo di piccone al Muro italiano, se davvero vuol portare verso la riconciliazione nazionale, è necessario un ulteriore atto di coraggio. L’ultimo. Il leader democratico contribuisca a rompere il tabù che ha segnato la storia del nostro Paese, s’impegni per mettere definitivamente al bando le vecchie tesi discriminatorie della cultura di sinistra che impongono ancora a intellettuali, economisti, cattedratici, di non collaborare con l’altra parte, pena l’emarginazione e il dileggio. È l’ultima rupture, la più difficile, più complicata della formazione di un governo di larghe intese. Giorni fa sul Sole 24 Ore un intellettuale come Franco Debenedetti – già senatore dell’Ulivo – ha scritto che se il centrodestra vincesse le elezioni «anche la sinistra dovrebbe aiutare la destra» nella progettazione e nelle idee, così come fece il socialista Marco Biagi, a cui si deve la riforma del mercato del lavoro, e che fu osteggiato dal suo stesso mondo, colpevole di lavorare con il governo Berlusconi. Veltroni nel circuito della cultura di sinistra ha forte influenza, usi il suo carisma per farsi ascoltare. Organizzi nuovi girotondi, non più ostili ma dialoganti. Sarebbe l’ultimo atto di una felice rivoluzione.

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Anche da sinistra un aiuto alla destra
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2008

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di Luca Ricolfi – La Stampa, 18 febbraio 2008

→  febbraio 13, 2008

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da Peccati Capitali

Malcontento per i servizi

In un manifesto di Forza Italia affisso a Chiavari qualche tempo fa si dava a Prodi la colpa, oltre che di altre nefandezze, degli aumenti di pane, pasta, luce. Ci ripensavo leggendo che, tra tutti i popoli d’Europa, sono gli italiani a dichiararsi i più insoddisfatti dei servizi di cui dispongono, telefoni ed elettricità, acqua e gas, banche e poste, aerei e ferrovie. Invece del perché di ciascuno, c’è da chiedersi: perché di tutti?

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→  febbraio 10, 2008

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È finita l’epoca del bipolarismo in trincea: ed è una discontinuità netta. Per questo motivo non erano possibili soluzioni parziali in articulo mortis, per questo era inevitabile l’”anomalia” della fine anticipata della legislatura. L’ha riconosciuto, per primo com’era doveroso, Walter Veltroni; Silvio Berlusconi ha risposto a tono.

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→  febbraio 1, 2008


Occidente contro Occidente
di Andrè Glucksmann
Prefazione di Franco Debenedetti
Editore Lindau, 2008
pp. 214


Occidente diviso, Occidente unito. Il che è la stessa cosa. Perché in Occidente, dai tempi di Atene, spada in un pugno e denaro nell’altro, sono mossi — a differenza dell’Oriente autocratico o teofanico — da una teoria della sovranità e della legittimità del pensiero condiviso, come insegna Leo Strauss nel suo Gerusalemme e Atene, studio sul pensiero politico dell’Occidente. Per quanto oggi più che mai semplificatoria appaia la sintesi hegeliana del movimento della storia universale, resta di una certa validità quello che Jakob Burckhardt scriveva, nelle sue Riflessioni sulla storia universale, «che la storia universale sia la rappresentazione del modo come lo spirito pervenga alla consapevolezza del proprio intimo significato: vi dovrebbe aver luogo una evoluzione della libertà, in quanto nell’Oriente era libero uno solo, poi presso i popoli classici pochi, e l’era moderna rende liberi tutti».

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