→ settembre 19, 2011
di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi
Se consideriamo i conti pubblici al netto degli interessi sul debito – il miglior indicatore della politica fiscale di un Paese – nel 2012 la Francia avrà un disavanzo pari al 2,4% del Prodotto interno lordo, l’Italia un avanzo del 2%. L’avanzo italiano sarebbe addirittura superiore a quello tedesco, stimato all’1,4%. Perché allora, se i nostri conti pubblici stanno tanto meglio di quelli francesi, Moody’s sta considerando di declassare l’Italia e non la Francia? E perché i mercati sono tanto preoccupati per il nostro Paese?
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→ settembre 7, 2011
di Jean-Paul Fitoussi e Gabriele Galateri di Genola
Caro direttore, le difficoltà dell’area euro sono legate alla governance più che ai fondamentali
economici. Negli Usa, al contrario, la sovranità del governo federale e la disponibilità di
strumenti centrali di politica economica adeguati permettono il rifinanziamento a tassi
storicamente bassi sui titoli del Tesoro, e la Fed può acquistare, senza vincoli, buoni del
Tesoro. L’Eurozona è forse persino in migliori condizioni, le finanze pubbliche meno
degradate di quelle americane. Tuttavia, per ora, il suo sistema di governance è tale che
nessuna istituzione ha la sovranità necessaria per finanziare gli Stati membri, che non hanno
sovranità monetaria. La Bce non può intervenire in base ai trattati europei. Nell’Eurozona non
esiste poi una vera solidarietà di bilancio. La sovranità limitata degli Stati membri li colloca
quindi sotto la tutela del mercato e l’impatto delle agenzie di rating.
Il caso Italia è esemplare: fondamentalmente solvibile, dotata di un patrimonio netto privato e
pubblico (pro capite) tra i più alti al mondo, i mercati la trattano come se improvvisamente
fosse divenuta insolvente, nonostante l’alto tasso di risparmio e un deficit contenuto. Il difficile
approvvigionamento sui mercati per l’Italia nei prossimi mesi (circa 150 mld di titoli in
scadenza), conferma questo paradosso. Occorre alleggerire la pressione sui titoli di Stato per
dare sufficiente spazio e tempo al programma di riforme per la crescita. Come fare? Un
elemento di sovranità nazionale che gli Stati possono ancora mobilitare è la tassazione.
Partiamo quindi dal dibattito su una possibile patrimoniale in aggiunta alla manovra corrente,
una misura difficile da introdurre sul piano sia politico che tecnico.
La ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è molto concentrata: circa il 50% in mano al 10%
più ricco. Tale potrebbe essere la base imponibile di una patrimoniale. Di recente si è già
parlato della possibilità di un intervento proattivo della parte più facoltosa del Paese, pronta a
contribuire al risanamento economico e finanziario del Paese stesso. Tuttavia sarebbe
rischioso procedere ad una riforma fiscale sotto la pressione del breve termine. Una
patrimoniale sarebbe certo una misura di equità, ma andrebbe strutturata rispettando l’insieme
del sistema fiscale per essere nel contempo giusta ed efficiente. Se tutti i Paesi europei
modificassero la fiscalità sotto la pressione delle circostanze, senza coordinamento, ne
nascerebbe una acerrima concorrenza fiscale.
Come sfruttare questo elemento di sovranità, e ridare forza al Paese sui mercati, evitando però
gli svantaggi di una nuova imposta? Tramite un prestito forzoso. Proponiamo quindi di
introdurre un prestito forzoso decennale, nella forma di una sottoscrizione ad una o più
emissioni dedicate di titoli di Stato. A parità di gettito, tale proposta, implicando la restituzione
del patrimonio a scadenza dei titoli, sarebbe più accettabile per gli interessati e anche più
equa, in quanto i titoli vengono sottoscritti dai contribuenti più abbienti, ad un tasso di interesse
basso, simile a quello pagato sui titoli tedeschi. Già in Francia il prestito forzoso è stato
utilizzato con successo, ad esempio dal governo Mauroy, per facilitare, nei primi anni Ottanta, il
rimborso del debito estero.
Semplificando, il risultato della sottoscrizione forzosa sarebbe l’incremento di gettito derivato
dall’innalzamento dell’attuale aliquota patrimoniale (in realtà sui cespiti patrimoniali, Ici e altro)
sul Pil, dall’attuale 2,1% al livello in vigore nel Regno Unito, del 4%. Ciò genererebbe nuove
risorse per circa 30 miliardi di euro annui. La ricchezza delle famiglie italiane è stimata pari a
circa sei volte il Pil: perciò il flusso aggiuntivo sarebbe pari a poco più dello 0,3% della
ricchezza totale, un ammontare ragguardevole.
Il fabbisogno finanziario dello Stato nei prossimi 12 mesi è di circa 150 miliardi di euro, da
ripartire tra autunno 2011 e primavera 2012. Di questi, i titoli a lungo termine (Btp) superano i
100 miliardi. Un prestito forzoso di circa 30 miliardi a partire dalla prossima primavera potrebbe
certo contribuire ad alleggerire tale pressione in misura non marginale. Tale provvedimento
potrebbe durare, in maniera irrevocabile, alcuni anni (magari la durata di una legislatura)
permettendo un parziale ribilanciamento del possesso del nostro debito pubblico a favore degli
investitori nazionali non istituzionali, contribuendo, anche in base all’esperienza storica bene
illustrata da Reinhart e Rogoff in This time is different, a ridurre significativamente le aspettative
di default sul debito pubblico.
Perché un simile provvedimento sia credibile, sia per i sottoscrittori, che per i mercati
finanziari, le aspettative del mercato devono essere ancorate verso il basso dal religioso
rispetto degli obiettivi di disavanzo e da un piano credibile di riforme strutturali, per avviare la
crescita del Paese. Requisito imprescindibile per il sostegno al nostro Paese, anche da parte
delle autorità europee. Affinché le emissioni collegate al prestito forzoso siano più accettabili, si
può, inoltre, introdurre forme di «collateral», legate ad esempio al patrimonio immobiliare dello
Stato e alle partecipazioni statali nelle aziende private. Tuttavia crediamo che il prestito debba
essere effettivamente forzoso e che non basti ipotizzare sottoscrizioni volontarie. Non si potrà
evitare che l’emissione sia per alcuni aspetti atipica. Molti problemi rimangono aperti, come per
una patrimoniale pura. Riguardano soprattutto la fattibilità e le modalità giuridiche del prestito e
la garanzia dell’equità nella determinazione e nell’identificazione dei soggetti e dei patrimoni
imponibili. Se l’equità è rispettata e le risorse deriveranno principalmente dagli strati più favoriti,
il prestito forzoso non avrà un effetto restrittivo sulla domanda, né diverrà un vincolo alla
crescita.
→ agosto 30, 2011
“Una gara a chi inventa quella più esotica”: così Emma Marcegaglia commentando la “patrimoniale sull’evasione”, l’ultima variante dovuta alla fantasia –fertile o ironica? – del Ministro Calderoli. C’era stata la “patrimoniale catastale” di Pellegrino Capaldo, sull’incremento di valore degli immobili, con modalità da lasciare alla politica “intesa nel senso nobile della parola”; quella “30-30-30” di Amato, 30 mila euro per ogni italiano facente parte del 30 per cento più abbiente, per abbattere di 30 punti il rapporto debito/PIL; quella “perforante” di Bersani, volta a colpire i patrimoni nascosti sotto lo scudo tremontiano; quella ”corretta” di Luca Cordero di Montezemolo, una botta una tantum nell’intervista al Corriere per conquistarsi il podio, diventata imposta annuale con aliquota minima nell’esegesi della sua fondazione.
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→ agosto 16, 2011
dalla rubrica Peccati Capitali
Dareste da amministrare il vostro patrimonio alla casta, quella impura immortalata da Stella e Rizzo? E’ proprio quello che vorrebbero i sostenitori della patrimoniale: feriti nell’orgoglio dal dal “commissariamento” di Trichet – Draghi, ora ritornano a riproporlo: uno scherzetto che, per essere significativo, dovrebbe essere da almeno 400 miliardi. Cosa che ci fa credere che i Governi, questo che conosciamo e quelli, ignoti, che verranno, userebbero il momentaneo sollievo per mettere le basi dei dissesti futuri, come hanno fatto negli anni ’70, o non li sprecherebbero come la svalutazione di Amato, l’eurotassa di Ciampi e le privatizzazioni di Prodi?
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→ febbraio 18, 2011
di Francesco Forte
1. Il 30 Aprile 1993, davanti all’Hotel Raphael, il popolo viola d’allora lanciò un cesto di monetine contro Bettino Craxi, il pentapartito e la prima Repubblica. Era l’inizio dell’operazione giustizialista, a cui è seguita la cannibalizzazione e la svendita della maggior parte dell’apparato di grandi imprese italiane. Il gruppo Ferruzzi, Montedison Finsider, Italtel, T SME, Enichem, mentre Olivetti fu svuotata come impresa elettronica e trasformata in compagnia di telefonia cellulare e Telecom Italia, oggetto di scalate successive, non assumeva il ruolo di avanguardia tecnologica che, come campione nazionale, avrebbe potuto avere. Era stato, così, colpito il motore della crescita industriale italiana. L’apparato bancario imprigionato nella nuova gabbia delle Fondazioni bancarie risultava inadeguato alle funzioni di sostegno all’ investimento delle imprese sul mercato internazionale.
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→ febbraio 8, 2011
La patrimoniale sembra, per il momento, respinta: quella “vera”, cioè l’operazione di finanza straordinaria, per tagliare con una botta secca lo stock del debito, non quella dello stesso nome, ma di finanza ordinaria, per modificare la composizione del flusso delle imposte, tassando anche il patrimonio oltre il reddito, in costanza (si vuol sperare) di pressione fiscale. Anche se sul Sole 24 Ore di domenica scorsa Giuliano Amato è tornato a parlarne e la scorsa settimana anche Pellegrino Capaldo è intervenuto di nuovo sul tema con una lettera sul Corriere della Sera.
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