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→  ottobre 6, 2010


di Giuliano Ferrara.

I consigli al governo in una ricerca di prossima pubblicazione del capo economista di Bankitalia: non solo modello tedesco

Una politica industriale serve, purché non ricalchi quella discrezionale e dirigista degli anni Settanta, e si ispiri al modello tedesco non solo nelle relazioni sindacali ma anche come proiezione del sistema paese. Sono le indicazioni contenute in un paper in corso di limatura scritto anche dal capo dell’area ricerca economica della Banca d’Italia, Salvatore Rossi.

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→  settembre 12, 2010


pag.12

In “Fault Lines” Raghuram G.Rajan analizza con lucidità cause ed effetti della crisi economica.

Il risparmio dei paesi emergenti, o l’indebitamento delle famiglie americane, l’avidità dei banchieri o la cattura dei regolatori, il potere delle banche o il laissez faire di Greenspan: nell’alluvionale pubblicistica sulla crisi ognuno ha il suo bersaglio preferito. Ben venga dunque un modello esplicativo che non si limita alla descrizione ma risale una dopo l’altra alle cause, e connette razionalmente cambiamenti sociali ed economici e comportamenti degli operatori, macro e micro.

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→  luglio 13, 2010


da Peccati Capitali

Il traffico di oppio arricchisce i Talebani; quindi combattere l’oppio equivale a combattere i terroristi. Sembra ovvio, ma non è così, anzi è vero il contrario: lo dimostra uno studio di Mark Kleiman del Center for International Cooperation. La ragione sta nell’elasticità del consumo di eroina al prezzo, e nella legge della domanda e dell’offerta: dunque in meccanismi di mercato.

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→  luglio 6, 2010



estratto da una recensione di Giorgio Basevi

Al tema generale proposto l’anno scorso per le serate sui classici –Il dio denaro— si potevano dare almeno due impostazioni: una relativa al significato etico-filosofico che i classici attribuivano al denaro, l’altra a quello più propriamente tecnico-economico.
La relazione di Debenedetti, ispirata all’attuale crisi finanziaria internazionale, solleva un tema, fra gli altri, cioè quello della regolamentazione e sorveglianza dei mercati finanziari. Debenedetti non è particolarmente favorevole a tale regolamentazione, timoroso che essa possa soffocare il funzionamento dei mercati.

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→  giugno 17, 2010


di Mario Pirani

L’economia non possiede regole eterne. È accaduto, peraltro, in diverse fasi della storia, che milioni di uomini abbiano creduto nella loro immutabile valenza, tanto da farne articolo di fede. Quando ciò è avvenuto ne sono spesso derivati sconquassi catastrofici. Questa riflessione, di cui sono convinto da tempo, in particolare dopo il crollo del comunismo, mi ha stimolato qualche suggerimento in seguito alla lettura di due articoli di grande interesse, l’uno sul nostro giornale (6 giugno) di Joaquìn Navarro-Valls (“La marea nera e i falsi ambientalisti”), l’altro (“Corriere” del 6 giugno) di Claudio Magris su “I limiti (e i pregi) del capitalismo”.

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→  maggio 22, 2010


di Alessandro Penati

Oggi cambia la composizione dell’Ftse/Mib, l’indice delle 40 maggiori società quotate
Esce la Mondadori. Azienda Italia spa, ecco come in 15 anni siamo rimasti indietro


Oggi cambia la composizione dell’indice Ftse/Mib: il paniere delle 40 maggiori società quotate, che meglio rappresenta Piazza Affari. Esce Mondadori, un’icona della nostra industria, ed entra Azimut, risparmio gestito. Il cambiamento della composizione di un indice di Borsa è un fatto marginale sia per il mercato azionario, sia per le società coinvolte; e irrilevante per l’economia nel suo complesso. Ma ha una valenza simbolica. Ed è un buon pretesto per fotografare il nostro capitalismo, e confrontarlo con quello degli altri, dopo i postumi della crisi e a 15 anni dall’avvio del processo di risanamento economico, privatizzazioni, liberalizzazioni, regolamentazioni, sfociato nella costituzione dell’Eurozona.

L’immagine del capitalismo italiano che si riflette nello specchio dell’indice Ftse/Mib sembra una fotografia ingiallita di 15 anni fa. La cosa dovrebbe farci riflettere perché rappresenta un’ipoteca sul nostro futuro benessere. Invece, sembra provocare solo scarso interesse, se non paradossali sussulti d’orgoglio per una ipotetica “via italiana” al capitalismo che, come l’isola di Peter Pan, non c’è, ma è un mito troppo bello per essere sfatato.

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