Archivio per il Tag »Lussemburgo«
→ novembre 18, 2014
Jean-Claude Juncker has not had an easy start as European Commission president. When he was nominated five months ago, a handful of EU leaders raised questions about the ability of the former Luxembourg prime minister to meet the demand of many Europeans that the EU must change. Now he is being forced to fend off criticism over the way the Grand Duchy became a tax haven for leading multinationals during his long tenure as its premier and finance minister.
Luxembourg’s status as a tax shelter may not be news. But Mr Juncker’s role in the Grand Duchy’s tax dealings has been thrust into the spotlight following the leaking of a trove of documents revealing special tax arrangements between Luxembourg and 340 multinationals, including Pepsi, Ikea and JPMorgan. The files show how secret deals with Luxembourg between 2002 and 2010 saved these companies from paying billions of dollars in tax in countries where they do business.
These disclosures come at an embarrassing time for Mr Juncker. Across the EU, there is public indignation at the way multinationals have shuffled profits across borders to avoid paying tax. In the year before he took office, the commission responded by launching probes into companies suspected of benefiting from such arrangements – including at least two in Luxembourg, Amazon and Fiat’s financial arm.
Last weekend’s G20 summit highlighted the awkwardness of the situation. In Brisbane, Mr Juncker endorsed plans to crack down on multinational tax avoidance – including the introduction of transparency measures that he spent years blocking within the EU while running Luxembourg. The incongruity led one NGO to quip that putting him in charge of efforts to combat tax avoidance was like placing Dracula in charge of a blood bank.
Mr Juncker has been damaged by the scale of tax avoidance on his watch. These wounds need not be mortal. The commission president acknowledges that he was “politically responsible for what happened in each and every corner” of Luxembourg when premier. But he also insists that the tax authorities in the Grand Duchy were “autonomous.” No “smoking gun” has yet been produced showing he broke EU law.
Still, Mr Juncker must act to restore public confidence. As commission president, he oversees the officials investigating the tax incentives that Luxembourg offered to Amazon and Fiat. Their inquiries are examining whether those companies effectively received a form of illegal state aid.
Although Mr Juncker says he will allow these inquests to continue without hindrance under the new competition commissioner, Margrethe Vestager, he has so far refused to recuse himself formally from participating in the commission’s final judgments. Mr Juncker should think again. He should make a clean break and officially hand over all oversight for the probes to Frans Timmermans, his deputy.
Mr Juncker should also step back from involving himself as far as possible in policy discussions on tax transparency. The commissioner in charge of these matters is France’s Pierre Moscovici. Mr Juncker should let him take the lead on all matters relating to tax, including in forums such as the G20.
Mr Juncker has more than enough to do. He is leading a vital initiative to boost investment in the EU’s struggling economy. He needs time to settle into the job. Nonetheless, he should acknowledge Luxembourg’s increasingly toxic reputation within the EU for tax avoidance. Mr Juncker would enhance his authority if he were to put himself at arm’s length from the commission’s activities in this field.
→ novembre 18, 2014
Centinaia di imprese coinvolte, multinazionali per giunta, tasse evase nella sola Germania per 30 miliardi l’anno: la notizia è già da prima pagina. Se poi il paradiso fiscale non è tra le palme dei Caraibi ma negli austeri palazzi del Lussemburgo, di cui presidente del Consiglio e ministro delle Finanze è stato per 15 anni Jean-Claude Juncker, il primo presidente della Commissione europea a essere votato dal Parlamento di Strasburgo, il fatto è politico e potenzialmente esplosivo.
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→ novembre 15, 2014
Dopo l’elezione di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione Ue, solo ora scopriamo che l’ex primo ministro lussemburghese era a capo di un paradiso fiscale, come a dire se vuoi rubare un pò puoi. Non c’è proprio limite al peggio.
Carlo Rovina
La risposta di Sergio Romano
Caro Rovina, un direttore del Corriere, parecchi anni fa, diceva spesso ai suoi redattori che non c’è nulla di tanto inedito quanto il già edito. Intendeva dire che una vecchia storia, saputa e risaputa, può sembrare nuova e fresca di stampa se torna sulle pagine dei giornali in circostanze diverse e con qualche dettaglio in più. È quello che sta accadendo in questi giorni. Come ha osservato nel suo sito una deputata europea del gruppo liberal-democratico, Sylvie Goulard, il caso degli accordi speciali sul trattamento fiscale riservato alle imprese che decidono di stabilire la loro residenza in Lussemburgo, o in altri Paesi dell’Ue particolarmente accoglienti, è noto dagli anni Novanta a chiunque abbia un po’ di familiarità con il mercato unico. All’origine del problema vi sono due principi difficilmente conciliabili. Il primo è quello della sovranità fiscale. Mentre si scrivevano le regole finanziarie dell’Ue alcuni membri dichiararono che non avrebbero mai rinunciato ad adottare il regime fiscale che meglio corrispondeva ai loro interessi e alle loro tradizioni. Altri osservarono che il migliore trattamento offerto da un Paese avrebbe creato imprese avvantaggiate e svantaggiate, vale a dire esattamente ciò che il Trattato sul mercato unico voleva evitare con regole eguali per tutti in materia di aiuti di Stato e concorrenza. È accaduto allora quello che generalmente accade nell’Unione Europea quando qualcuno si oppone a una soluzione condivisa: è stato deciso che alla materia fiscale venisse applicato il principio della unanimità, ovvero che a ogni Paese venisse concesso il diritto di veto. In altre parole il Lussemburgo e coloro che lo hanno governato non hanno commesso reati; hanno agito nell’ambito dei trattati. Sylvie Goulard ricorda che nel 2010 Mario Monti, dopo essere stato commissario per la Concorrenza, indirizzò un rapporto sull’argomento al presidente della Commissione Manuel Barroso, ma le sue proposte rimasero lettera morta. Le proteste sono dunque inutili? No. La generale indignazione provocata dal caso Juncker dimostra che la licenza concessa al Lussemburgo negli anni Novanta non è più tollerata. Se questa vicenda si concluderà con una maggiore armonizzazione dei sistemi fiscali nazionali, dovremo probabilmente ringraziare la crisi e la rabbia delle pubbliche opinioni. Senza saperlo, anche i grillini lavorano per l’Europa.
→ novembre 13, 2014
di Beda Romano
Il Parlamento europeo ha fatto quadrato ieri intorno al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, la cui credibilità è stata messa alla prova da uno scandalo fiscale che riguarda il suo Paese d’origine, il Lussemburgo. In un dibattito in plenaria, Popolari e Socialisti hanno espresso la loro fiducia nell’ex premier, chiedendo nel contempo nuovi sforzi nella lotta all’evasione. Dal canto suo, Juncker ha ribadito di voler promuovere una maggiore armonizzazione fiscale.
Nella sua prima presa di posizione dopo la pubblicazione giovedì scorso di una inchiesta giornalistica che ha messo in luce accordi fiscali, generosi e controversi, concessi dal suo Paese tra il 2002 e il 2010 a numerose multinazionali, Juncker durante una conferenza stampa imprevista ha affermato qui a Bruxelles: «Mi assumo la piena responsabilità politica di quanto è stato deciso in Lussemburgo mentre ero al potere. Ciò detto, questi accordi fiscali sono una abitudine radicata in 22 Paesi dell’Unione».
«Tutto ciò che è stato fatto è avvenuto nel rispetto delle regole nazionali e internazionali», ha aggiunto il nuovo presidente della Commissione, in carica da due settimane. Juncker ha poi spiegato che se ciò è stato possibile è perché non esiste armonizzazione fiscale in Europa. Anzi, le imprese hanno a disposizione «un arsenale di regole fiscali nazionali divergenti» da utilizzare per arbitraggi, probabilmente legali ma che non corrispondono «al concetto di giustizia sociale».
Juncker ha negato vi sia un conflitto d’interesse tra la sua posizione di ex premier lussemburghese e di attuale presidente della Commissione, nonostante proprio quest’ultima stia indagando su accordi fiscali concessi ad Amazon e a Fiat. Ha ribadito che la commissaria alla concorrenza Margrethe Verstager ha piena libertà di azione. Nel contempo, l’uomo politico ha ricordato che negli ultimi anni il Lussemburgo ha accettato lo scambio automatico di informazioni bancarie.
Parlando successivamente in Parlamento, Juncker ha ribadito di voler lottare contro l’evasione fiscale e la frode fiscale: «Non sono parole, parole. È quanto la Commissione intende fare (…) Intendiamo agire risolutamente e con ambizione». Abilmente, l’uomo politico ha annunciato la rapida presentazione di una nuova direttiva che dovrà imporre ai Ventotto lo scambio automatico tra i Paesi membri dell’Unione dei diversi accordi fiscali concessi ad aziende multinazionali.
In Parlamento, Popolari e Socialisti hanno dato il loro pieno appoggio a Juncker, dando l’impressione di voler chiudere la partita al più presto. Il capogruppo popolare Manfred Weber ha ricordato la presenza di regole fiscali controverse in molti Paesi dell’Unione. Il suo omologo socialista Gianni Pittella ha apprezzato «l’atto di sensibilità e responsabilità» di Juncker nel presenziare al dibattito: «Non accettiamo di indebolire il presidente Juncker. Sarebbe un regalo agli euroscettici».
La vicenda Juncker appare, se non risolta, almeno sopita. D’altro canto, il Parlamento ha voluto l’ex premier alla guida della Commissione dopo che i partiti hanno fatto campagna elettorale con dei capilista candidati alla presidenza dell’esecutivo comunitario. Un voto di sfiducia a Juncker rischierebbe di ridare il potere di scelta del presidente della Commissione ai Ventotto, poiché è difficile immaginare elezioni anticipate. Anche in questa ottica al Parlamento non conviene sfiduciare Juncker.
Sul fronte fiscale, la partita è aperta. Nel dibattito di ieri i partiti hanno spronato Bruxelles a lavorare per una maggiore armonizzazione fiscale. Il problema è che la questione viene decisa all’unanimità. Due i dossier già sul tavolo che saranno la cartina di tornasole per valutare il nuovo spirito europeo: la direttiva sui rapporti tra casa madre e filiale, discussa dall’Ecofin la settimana scorsa; e quella su una nuova base imponibile comune per tutte le società dell’Unione, presentata nel 2011.