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→  settembre 19, 2002


Intervista di Laura Matteucci

Senatore Debenedetti, che opinione si è fatto di quanto sta accadendo a piazzetta Cuccia?
«Per orien­tarsi, ci si può ri­ferire ai grandi principi genera­li: quello che le aziende devono creare valore per i loro azioni­sti; oppure il principio per cui, anche se og­gi le banche pos­sono detenere partecipazioni in aziende indu­striali, la situa­zione ottimale è quella in cui so­no gli individui, direttamente o tramite i fondi pensione, a possedere le azioni delle aziende. Tutte cose ovviamente giu­ste e condivisibili, da perseguire in una prospettiva di lungo temine. Nell’immediato, io credo che si deb­ba concentrare l’attenzione su un obiettivo molto rilevante per il no­stro Paese, per ragioni sia economi­che che politiche. Questo obiettivo per me è l’indipendenza di tre sogget­ti. Innanzitutto, quello dell’unica no­stra grande impresa europea, tra l’al­tro l’unica vera public company ita­liana: le Generali».

E di Mediobanca, immagino.
«Esatto, l’indipendenza di Me­diobanca, che è – non dico l’unica per non offendere nessuno – ma cer­to la nostra maggiore merchant bank. E infine l’indipendenza del Corriere della Sera, il nostro maggio­re giornale. Indipendenza nel senso che le loro identità aziendali venga­no preservate, la loro gestione e i loro obiettivi non siano subordinati a quelli dei soggetti controllanti. An­che perché queste sono le condizioni della crescita. Per esempio è impor­tantissimo che Rcs cresca e si raffor­zi, magari con l’ingresso in Borsa: è fondamentale che entri nella partita per privatizzare la Rai, in modo da fare uscire il Paese dal duopolio pub­blico privato, che avvantaggia tanto Berlusconi».

La porta girevole delle Genera­li si è aperta ancora una volta, con l’uscita di Gianfranco Gut­ty e l’arrivo di Antoine Bernheim: adesso che succede?
«Parlavo prima di crescita: è in­dubbio che i risultarti di Generali non sono stati soddisfacenti. Un esempio: l’Ina, un’acquisizione paga­ta cara, non sembra abbia portato ad una sua valorizzazione, che ne abbia utilizzato tutto il potenziale».

Quale sarà l’esito della partita che si è aperta in Mediobanca?
«Non faccio previsioni, come po­litico posso solo indicare quelli che a me sembrano gli interessi generali da perseguire: credo di averli indivi­duati in questa indipendenza, e quin­di penso si debbano giudicare gli esi­ti alla luce di questo obiettivo».

La strada intrapresa le sembra quella più giusta, rispetto al­l’obiettivo che ha indicato?
«È presto per dirlo».

C’è chi all’origine di tutti i pro­blemi vede il conflitto d’inte­ressi tra Mediobanca da un la­to e Unicredit e Capitalia dall’altro. È d’accordo?
«Capitalia e Unicredit sono i due soci bancari di Mediobanca. Hanno proprie ambizioni di mer­chant banking, e partecipano al capi­tale di una merchant bank. Io non credo però che questa situazione si possa connotare come conflitto di interessi. Anche per non inflaziona­re l’espressione e riservarla al conflit­to che ben conosciamo. Io lo chiame­rei un conflitto operativo, tra due opzioni: sviluppare un business al­l’interno, o partecipare ad uno ester­no al perimetro aziendale. I mana­ger devono scegliere tra due opzioni. Con un caveat, nello specifico. Nes­suna grande banca ha avuto succes­so nel merchant banking. Del resto, anche IntesaBci ha acquisito una par­tecipazione in Lazard, ma c’è da rite­nere che le lascerà grande indipen­denza operativa, senza cercare di in­tegrarla».

→  agosto 13, 2002


Intervista di R. Ba.

«Gli obiettivi lega­ti alla nascita dell’euro sono sta­ti raggiunti, ma di fronte allo spettro della recessione cosa facciamo? Siamo pronti ad af­frontare una politica deflazioni­stica e ad avere più disoccupa­ti?». Franco Debenedetti, sena­tore diesse, ricorda che il proto­collo è un accordo tra governi e dunque un documento politi­co. E di fronte a queste scelte la politica deve rientrare in gioco.

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→  giugno 10, 2002


«Sergio Coffera­ti è stato un grande leader sinda­cale. Che ha perso però un’occa­sione storica e ha impresso an­che una battuta d’arresto alla linea politica della sinistra».

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→  maggio 19, 2002


Intervista di G. Sar.

«Lo dico da uomo di sinistra: scio­perare è un diritto, però occhio alle conse­guenze economiche, perché alla fine si paga il conto». Franco Debenedetti, senatore dei Ds, guarda con preoccupazione alla lunga serie di stop nei servizi pubblici.

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→  aprile 10, 2002


Tutti alla Rai sembrano occupar­si delle nomine in arrivo. Ma l’assetto del sistema e la privatizzazione di viale Mazzi­ni sono improvvisamente usciti dal magaz­zino oggetti dispersi, grazie alle dichiara­zioni rese da Gianni Letta. Intervenendo a un convegno dell’Isimm, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio prima ha trac­ciato un quadro storico del trentennale ritardo della legislazione italiana in materia di telecomunicazioni e televisione, utile a ricordare che il duopolio della tv in chiaro è figlio della miopia dei legislatori e non vi­ceversa (la nascente tv via cavo, per-esem­pio, fu bloccata dalla politica nel 1973 per difendere il monopolio Sip e Rai).

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→  marzo 24, 2002


Intervista di Giuliana Ferraino

«Un chiodo troppo piccolo a cui appendere una manifestazione troppo grande». E’ l’immagine che Franco Debe­nedetti usa per sottolineare la «spropor­zione» che osserva tra la reale portata del­le modifiche che il governo vuole introdur­re per modificare l’articolo 18 e l’entità del­la protesta. Il senatore diessino, a suo tem­po autore di una progetto di riforma dell’articolo 18, vede però, due conseguenze della dimostrazione organizzata dalla Cgil ieri a Roma. La prima per il sindacato, che «impostando tutta la protesta sul­la difesa assoluta di un diritto, rinuncia ad essere protagonista nelle riforme impor­tanti». L’altra per la sinistra, che «si ricom­patta e trova un leader, ma su una linea che ben difficilmente le consentirà di ritornare a governare questo Pae­se». Anche il governo, però, esce sconfitto dallo scontro, perché «si è infilato in un vico­lo cieco, senza saper affronta­re i grandi temi per moderniz­zare il mercato del lavoro».

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