→ settembre 22, 2003
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La finanza internazionale a due anni dal caso Enron
Senatore Franco Debenedetti, che scandalo lo stipendio del presidente del New York Stock Exchange, mentre milioni di americani hanno visto i loro risparmi andare in fumo!
«Il caso Grasso non va confuso con gli scandali. Quella era una frode. Qui invece a Grasso non si addebitano reati o condotte riprovevoli. A un certo punto, il suo stipendio è risultato eccessivo, scandaloso rispetto a quanto la comunità degli affari e il pubblico ritengono giustificabile. E questo anche se i 1363 soci del Nyse sono soddisfattissimi dell’operato di un uomo come Grasso che ha ottenuto risultati molto positivi nella fase di crescita e ha contenuto la crisi dopo l’11 Settembre».
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→ settembre 10, 2003
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A sostegno delle ragioni di Prodi si schierano due importanti senatori ds: Franco Debenedetti e Stefano Passigli.
L’AIUTO A MILOSEVIC – «La situazione in Serbia era complessa; – spiega Debenedetti – erano anche in gioco interessi politici e industriali di vari Paesi europei e degli Usa.
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→ settembre 4, 2003
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Intervista a Il Corriere della Sera
“Privatizzazione totale della Rai” – Franco Debenedetti non ha dubbi: il centrosinistra per riformare il sistema della comunicazione deve partire da lì. Il senatore ds sottolinea di parlare “dal punto di vista di quella che Angelo Panebianco ha chiamato sinistra democratica e riformista”. E aggiunge: “Volenti o nolenti il problema Rai è cruciale. Le scelte vere sono quelle, il resto ne discende”.
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→ ottobre 11, 2002
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Intervista di S. Riz.
«Che ci voglia un’integrazione industriale, lo hanno detto tutti. Che il piano della Fiat debba essere credibile è ovvio». E dopo queste considerazioni, il senatore Franco Debenedetti si pone una domanda: «Ma con chi va discusso il piano?».
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→ ottobre 4, 2002
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Intervista di Simone Collini
Senatore Franco Debenedetti, lei ha votato la mozione presentata dalla Margherita, in dissenso dal gruppo Ds, perché?
«L’ho fatto per ragioni di continuità e di discontinuità: continuità con la collocazione internazionale del nostro paese, compresa la nostra adesione all’alleanza contro il terrorismo e il voto di un anno fa; e considerazione delle discontinuità verificatesi da allora».
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→ settembre 19, 2002
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Intervista di Laura Matteucci
Senatore Debenedetti, che opinione si è fatto di quanto sta accadendo a piazzetta Cuccia?
«Per orientarsi, ci si può riferire ai grandi principi generali: quello che le aziende devono creare valore per i loro azionisti; oppure il principio per cui, anche se oggi le banche possono detenere partecipazioni in aziende industriali, la situazione ottimale è quella in cui sono gli individui, direttamente o tramite i fondi pensione, a possedere le azioni delle aziende. Tutte cose ovviamente giuste e condivisibili, da perseguire in una prospettiva di lungo temine. Nell’immediato, io credo che si debba concentrare l’attenzione su un obiettivo molto rilevante per il nostro Paese, per ragioni sia economiche che politiche. Questo obiettivo per me è l’indipendenza di tre soggetti. Innanzitutto, quello dell’unica nostra grande impresa europea, tra l’altro l’unica vera public company italiana: le Generali».
E di Mediobanca, immagino.
«Esatto, l’indipendenza di Mediobanca, che è – non dico l’unica per non offendere nessuno – ma certo la nostra maggiore merchant bank. E infine l’indipendenza del Corriere della Sera, il nostro maggiore giornale. Indipendenza nel senso che le loro identità aziendali vengano preservate, la loro gestione e i loro obiettivi non siano subordinati a quelli dei soggetti controllanti. Anche perché queste sono le condizioni della crescita. Per esempio è importantissimo che Rcs cresca e si rafforzi, magari con l’ingresso in Borsa: è fondamentale che entri nella partita per privatizzare la Rai, in modo da fare uscire il Paese dal duopolio pubblico privato, che avvantaggia tanto Berlusconi».
La porta girevole delle Generali si è aperta ancora una volta, con l’uscita di Gianfranco Gutty e l’arrivo di Antoine Bernheim: adesso che succede?
«Parlavo prima di crescita: è indubbio che i risultarti di Generali non sono stati soddisfacenti. Un esempio: l’Ina, un’acquisizione pagata cara, non sembra abbia portato ad una sua valorizzazione, che ne abbia utilizzato tutto il potenziale».
Quale sarà l’esito della partita che si è aperta in Mediobanca?
«Non faccio previsioni, come politico posso solo indicare quelli che a me sembrano gli interessi generali da perseguire: credo di averli individuati in questa indipendenza, e quindi penso si debbano giudicare gli esiti alla luce di questo obiettivo».
La strada intrapresa le sembra quella più giusta, rispetto all’obiettivo che ha indicato?
«È presto per dirlo».
C’è chi all’origine di tutti i problemi vede il conflitto d’interessi tra Mediobanca da un lato e Unicredit e Capitalia dall’altro. È d’accordo?
«Capitalia e Unicredit sono i due soci bancari di Mediobanca. Hanno proprie ambizioni di merchant banking, e partecipano al capitale di una merchant bank. Io non credo però che questa situazione si possa connotare come conflitto di interessi. Anche per non inflazionare l’espressione e riservarla al conflitto che ben conosciamo. Io lo chiamerei un conflitto operativo, tra due opzioni: sviluppare un business all’interno, o partecipare ad uno esterno al perimetro aziendale. I manager devono scegliere tra due opzioni. Con un caveat, nello specifico. Nessuna grande banca ha avuto successo nel merchant banking. Del resto, anche IntesaBci ha acquisito una partecipazione in Lazard, ma c’è da ritenere che le lascerà grande indipendenza operativa, senza cercare di integrarla».