→ febbraio 20, 2009

L’intervista
di Franco Debenedetti
«Non è scandaloso parlare di nazionalizzazione: può essere uno strumento temporaneo, un passaggio, per rimettere poi le banche sul mercato».
Statalizzare, insomma, si può per Franco Debenedetti, già senatore indipendente della sinistra, oggi consigliere di Cir, Cofide, Iride e Piaggio.
Cosa intende per «nazionalizzazione temporanea» e come potrebbe avvenire?
«Lo Stato compra le banche, toglie dal bilancio i titoli tossici, le ricapitalizza e su questa base le fa ripartire».
Siamo alla disfatta del mercato…
«Il problema è che il mercato, in questo momento non riesce a dare un prezzo ai cosiddetti titoli tossici. Non si sa quanto valgono. Qual è il valore dei veleni? Questo è il problema su cui si sono sostanzialmente infrante le soluzioni finora messe in atto. Se proprietario è lo Stato, il problema di dare un prezzo non è più critico, perché vengono solo mosse da una posta a un’altra all’interno del bilancio dello Stato. In questo modo lo Stato surroga il mercato nella sua funzione di dare un prezzo ai beni».
Una via praticabile in Italia?
«Nazionalizzazione è una parola politicamente tabù, desta timori e preoccupazioni nei Paesi come l’America che non hanno avuto imprese di Stato, figurarsi da noi che ce le ricordiamo fin troppo bene. Ma si tratta di un passaggio che non deve spaventare: il punto critico non è il momento della nazionalizzazione, ma ciò che avviene dopo, cioè in quanto tempo le banche sono restituite al mercato. Lo Stato banchiere è una sciagura».
Con quali soldi realizzarla, nel caso?
«Il costo per lo Stato dipende dal prezzo al quale viene comprata la banca, dall’eventuale riconoscimento agli azionisti e agli obbligazionisti, e dall’entità dell’aumento di capitale e da quanto vale la banca risanata. E da quale valore avranno in futuro i “veleni”. Può essere un’operazione molto costosa; ma costoso è pure lo stillicidio di provvedimenti finora presi, e che sono lontani dall’essere stati risolutivi».
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→ febbraio 1, 2009

Intervista a Saverio Borrelli
Almeno a Milano i numeri gli danno ragione. In tre anni le intercettazioni telefoniche sono diminuite quasi della metà, nel 2006 ne erano state fatte quasi seimila, l’anno scorso sono scese a poco più di tremila. Tra i tanti soddisfatti, a sorpresa c’è pure Francesco Saverio Borrelli, l’ex capo della procura oggi in pensione, l’ex magistrato a capo del pool di Mani pulite che pure ieri non ha voluto mancare all’inaugurazione dell’anno giudiziario: «Non si può fare a meno delle intercettazioni telefoniche, ma la magistratura deve fare un’esame di coscienza e avrebbe dovuto autolimitarsi».
Dottor Borrelli, non teme di diventare impopolare tra i suoi colleghi di un tempo? Molti di loro temono di essere imbavagliati a non poter più mettere telefoni sotto controllo…
«Io mi considero ancora appartenente alla magistratura e seguo le vicende giudiziarie con lo stesso spirito e rigore autocritico che avevo quando esercitavo la professione. Può darsi che la mia posizione sia impopolare. Ma bisogna essere autocritici. Non bisogna privare magistrati e forze di polizia di questo strumento di indagine ma probabilmente una riforma era inevitabile. Era necessario autolimitarsi».
Detto da lei sembra una critica ai suoi ex colleghi, accusati molto spesso di essere troppo appiattiti sui risultati che possono venire dalle intercettazioni telefoniche. E’ così?
«Assolutamente no. Non penso che i magistrati abbiano delegato la loro capacità di indagine alle sole intercettazioni. Ma è vero che qualche volta, con la speranza di di riuscire a trovare elementi a supporto delle indagini, si sono protratte a tempo indeterminato delle intercettazioni che invece andavano sospese molto prima. Magari dopo dopo tre o quattro settimane, visto che non portavano a nulla di concreto per le inchieste».
Secondo lei sono stati compiuti degli abusi?
«Non voglio parlare di abuso. Preferisco dire che c’è stato un eccesso. Un’eccessiva facilità in buona fede, nel protrarre a tempo indeterminato le intercettazioni».
Concede la buona fede anche al vicequestore Gioacchino Genchi e ai suoi dossier?
«Il suo è un archivio fatto per proprio conto. Non c’entra nulla con le intercettazioni. E’ un’altra cosa, fatta da un libero professionista, sfuggita ad ogni controllo».
Ma come si fa a concedere sei mesi per di più prorogabili per condurre le indagini e limitare ad appena sessanta giorni la possibilità di tenere sotto controllo i telefoni?
«Sessanta giorni sono un tempo intermedio che è stato trovato tenendo conto di tutte le esigenze. Nella limitazione dei tempi per le intercettazioni vanno ovviamente salvaguardati due principi».
Uno è quello che le indagini in corso non possono essere vanificate…
«Ovviamente deve essere salvaguardato il principio dell’efficacia delle indagini. Lo strumento delle intercettazioni è fondamentale per la magistratura e le forze di polizia. Va limitato ma non si può prescindere dal suo utilizzo in molte indagini. Ma c’è un altro principio fondamentale che deve essere salvaguardato allo stesso modo: è la tutela della privacy del cittadino, il rispetto della sua riservatezza. E’ chiaro che ci sono delle eccezioni a questo discorso».
A cosa si riferisce?
«Nel caso di un sequestro di persona in corso, è giusto andare avanti: non ha senso limitare l’utilizzo di uno strumento fondamentale a quel tipo di indagini, come sono le intercettazioni telefoniche».
All’origine delle polemiche degli ultimi tempi, ci sono i verbali di alcune intercettazioni non proprio utilissime alle indagini finiti sui giornali…
«Non ho mai avuto il gusto di buttare la colpa sugli altri ma il mondo dell’informazione in questo caso qualche responsabilità ce l’ha. Se i magistrati devono autolimitarsi come ho detto, forse anche i giornalisti devono porsi qualche limite».
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→ gennaio 27, 2009

Parla Franco Debenedetti: «Ragioni politiche contrastano spesso con ragioni industriali»
ROMA — Franco Debenedetti confessa che quando ha appreso la notizia il passato gli è scorso
davanti agli occhi come un rapidissimo flashback: «Una carrellata dei suoi successi e anche
delle sue sconfitte, degli entusiasmi che ha suscitato, delle energie che ha catalizzato. Che
vuole, abbiamo lavorato trentacinque anni insieme…».
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→ novembre 25, 2008
“Il provvedimento più utile potrebbe essere quello di detassare i salari più bassi”
Un appello giusto. Ma che deve essere accompagnato da misure concrete e soprattutto che abbiano un impatto sull’economia «reale» in tempi relativamente brevi. Così Franco Debenedetti, economista, ex senatore Ds, consigliere di amministrazione di Cir, Piaggio e Cofide, giudica il «cambio» di approccio di Giulio Tremonti alla crisi, il passaggio dai toni foschi all’invito a non essere pessimisti.
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→ ottobre 1, 2008

L’intervista
Dopo la bocciatura del rescue-plan da parte del Congresso Usa, ieri il presidente Bush ha rivolto un appello perché si agisca subito, garantendo che si arriverà ad una soluzione. I mercati prima sono crollati, poi ieri, dopo l’annuncio, hanno reagito in modo positivo. Difficile prevedere lo scenario. Per Franco Debendetti «ci sarà una grande concentrazione di banche, quindi minore concorrenza, e questo è già un male. In America si finirà con 3 o 4 megabanche universali. In Europa dipende molto dalla velocità con cui si farà pulizia nei bilanci. Se non lo si farà, si rischia un esito alla giapponese»
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→ settembre 27, 2008

L’intervista
Senatore Franco Debenedetti, suo fratello prenderà anche la cittadinanza svizzera…
«… se potessi lo farei anch’io. Ma ho preso una casa a Dobbiaco. E poi, come sanno gli esegeti della nostra famiglia, io sono quello “attaccato” e in questo caso alle Dolomiti. (Il riferimento è al fatto che l’ ingegner Carlo ha cambiato il cognome da Debenedetti a De Benedetti, ndr). Però posso sempre andare in Austria. A piedi».
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