→ aprile 1, 1995
Il mio amico benpensante lo incontro in libreria, reparto saggi. Passeggiamo tra i titoli: Bobbio l’ha già letto, Napolitano e Occhetto pure. Frodi lo conosce da Micromega. Divertito davanti a Ricossa, si fa serioso per Lunghini. Si porta via Berselli e Salvati. Gli offro Liberai.
Arriva puntuale la domanda: «Quando andremo a votare? Ho letto che lei voleva andarci a giugno prossimo: ma come si fa con questa situazione delle Tv?»
Io: «Già: e il guaio è che più si prova a metterci mano, più il problema sembra ingarbugliarsi».
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→ marzo 30, 1995
E’ solo dalla città che possono nascere i primi tratti delle autostrade informatiche: questo il messaggio che viene dal convegno che si tiene oggi a Bologna con la partecipazione di Martin Bangemann.
E non solo perché le città offrono le economie di densità che rendono il progetto economicamente sostenibile, ma perché le città sono «gli attori chiave della società dell’informazione» secondo le parole di Martin Bangemann. Nelle città si può realizzare la convergenza di volontà e di interessi necessaria a far coagulare un progetto così ambizioso. Coinvolgendovi: gli operatori Tlc che possono dimostrare la possibilità delle nuove infrastrutture; le attività economiche locali, che vengono a disporre di un nuovo mezzo per collegarsi ai loro clienti; le amministrazioni, per un nuovo rapporto con i cittadini; i cittadini, in cui suscitare un nuovo senso di appartenenza.
Dalla fine dello scorso anno, quando presentai il disegno di legge che mira a rendere possibile lo sviluppo di reti-cavo su base metropolitana, parecchio si è mosso: sia in senso positivo, che in senso negativo.
In senso positivo: si è preso coscienza della importanza e della fattibilità del progetto; il tema è ormai sulla bocca di tutti: ne parlano Prodi e Berlusconi, D’Alema e Gonfalonieri.
In senso negativo: l’idea di mettere in capo alle amministrazioni locali il diritto di rilasciare concessioni a operatori cavo rompe gli spazi chiusi sia dell’oligopolio televisivo sia del monopolio telefonico. Sta succedendo che, anziché considerarla come un mezzo per uscire dalle impasse in cui entrambe si trovano, la sua adozione venga subordinata alla soluzione di tutti i problemi, e quindi venga sommersa dal polverone che, anche ad arte, si solleva per evitare o dilazionare: e ciò su entrambi i fronti.
Sul fronte delle televisioni: era chiaro fin dall’inizio che le reti via cavo non risolvono né il problema dell’ antitrust. né quello dell’interferenza tra il Berlusconi politico e il Berlusconi padrone di televisioni, (per non parlare di quello della par condicio!). Ma è del pari chiaro che l’apertura di nuovi canali trasmissivi rende in prospettiva meno accanita la battaglia per il possesso degli unici oggi disponibili. quei via etere; che nuove opportunità d’investimento consentono di individuare nuovi equilibri economici a imprese che dovessero vedere ridotto l’ambito delle loro concessioni. Va conosciuto che che nella relazione di Giorgio Bogi che ha aperto i lavori della Commissione speciale di Montecitorio questo aspetto – le nuove tecnologie per moltiplicare l’offerta – è stato ben presente. Ora che è stata fissata la data dei referendum, è essenziale che in parlamento non ci si riduca invece a uno scontro sul numero delle reti via etere, cioè alla preistoria.
Sul fronte delle telecomunicazioni propriamente detto: molti nodi sono da sciogliere per procedere alla privatizzazione di Stet: la legge sulle Authority, l’assetto proprietario (istituzioni finanziarie e nocciolo duro industriale), il regime di concessione, le condizioni di accesso alle reti da parte dei futuri concorrenti. Ma è evidente che la cablatura delle città consentirebbe di iniziare da subito a creare zone in cui una pluralità di operatori realizzino collegamenti a larga banda che si affianchino al monopolio del doppino telefonico. Mentre l’ obbligo del servizio universale sembra non essere invocato a proposito nel caso di un servizio che prima dovrà pur nascere da qualche parte perché si possa poi parlare di estenderlo ovunque: neppure le autostrade non metaforiche sono state realizzate tutte insieme.
In Germania, mentre il Ministro Boetsch annunciava il piano di liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione che, precisamente articolato in tappe successive, sarà completato nel 2000, a Francoforte si concedeva licenza di realizzare sistemi di cablatura in un raggio di 25 km, reti alternative che rompono in ambito locale il monopolio di Deutsche Telekom. Naturalmente ciò che porta operatori internazionali a investire nello sviluppo di reti competitive al monopolista è la stabilità, la certezza di un progetto che, accanto al permanere di alcuni importanti nodi tuttora irrisolti – valga per tutti quello delle condizioni di interconnessione – presenta tappe ben articolate e cadenzate. Anche in Gran Bretagna la liberalizzazione dei mercati di pubblica utilità è stato il risultato di un processo non breve, ma portato avanti con coerenza negli anni. Nulla di tutto ciò in Italia, dove invece all’incertezza di sapere quale governo sarà in carica tra un anno si accompagna la fretta di dare una dimostrazione della volontà di procedere, nonché la ricerca di soluzioni onnicomprensive, un mosaico in cui tutte le tessere abbiano fin dall’inizio la loro collocazione.
Invece il modello tedesco dimostra che è possibile parlare immediatamente con liberalizzazioni parziali: nelle città, innanzitutto, ma anche consentendo che, un anno prima della totale liberalizzazione, i nuovi protagonisti dell’information society possano iniziare a predispone le infrastrutture. Un approccio gradualista ma ben definito, che inizi a -sporre l’azienda monopolista alla concorrenza che ineviabilmente dovrà affrontare, consente anche di preservar-re il valore, anzi di accrescerlo: così è successo per BritiTelecom così, per altri versi, alla At&t. Le battaglie di retroguardia non hanno mai fatto vincere le guerre. Sempre che l’obbiettivo che ci si propone sia quello di offrire servizi. in minor tempo, a minor costo, a un maggior =ero di cittadini, e non quello di preservare chi oggi è monopolista.
→ marzo 14, 1995
«Accordo fatto» annuncia il senatore progressista Franco Debenedetti: entro questa sera la commissione industria del Senato dovrebbe varare in sede redigente l’authority per l’energia. Dopo l’accordo sull’autoproduzione raggiunto giovedì scorso (gli incentivi ai privati saranno estesi anche a gran parte delle nuove domande già istruite dal ministero dell’Industria, fino a 7mila megawatt complessivi) un’intesa è stata raggiunta anche sugli emendamenti proposti da alcuni senatori del Pds e della Lega, che chiedevano di inserire nel ddl anche l’istituzione dell’organismo di controllo sui settori legati alla comunicazione (compresi Tv e media). Il Pds sarebbe disposto a ritirare l’emendamento mentre la Lega lo trasformerebbe in un ordine del giorno impegnando comunque il Governo e il Parlamento a promuovere anche le altre authority (tic, trasporti e acqua) in tempi stretti.
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→ marzo 1, 1995
In un Paese a struttura economica ultrastatalista, essere ultraliberista è quasi un dovere. Vedersi attribuire (da Carlo Mario Guerci nell’articolo «La nuova Enel val bene un compromesso» pubblicato sul Sole 24 Ore del 23 febbraio) questa qualifica solo perché si sostiene che la concorrenza è un bene per sé testimonia quanto ancora siamo inaspettatamente lontani dal comprenderne il valore.
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→ febbraio 27, 1995
Tecnologie ed occupazione: se le tecnologie sono una delle cause della disoccupazione struttura le europea, le tecnologie offrono anche la possibilità di produrre un salto qualitativo che consenta all’Europa di riprendere la leadership che ha avuto nella prima rivoluzione industriale: i prodotti più prestati, la cultura più vivace, un benessere socialmente più ripartito. Questo il tema di fondo della riunione del G7 che si è svolta a Bruxelles sviluppando la parte del famoso libro bianco Dedors che si riferisce alle cosiddette autostrade informatiche.
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→ febbraio 21, 1995
Il sistema dei media è alla ribalta ovunque. Ma mentre da noi la discussione è polarizzata sulla «intricata partita sulle regole» di cui parla Rodotà (La politica in TV, la Repubblica del 14 febbraio), non passa giorno o settimana che Financial Times, Wall Street Journal, Frankfurter Allgerneine o Economist non riportino notizie di fusioni, acquisizioni, accordi, investimenti per miliardi di dollari.
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