→ luglio 4, 2014
Al direttore.
Rinfacciare ai tedeschi di aver sforato Maastricht per un anno, quando noi siamo fuori dai parametri da quando c’è il trattato, lo si può scusare come enfasi retorica. Ma confondere il deficit con il debito, il flusso con lo stock è un errore da bocciatura. Weber è stato generoso.
→ luglio 1, 2014
L’abilità di Renzi in Europa, l’inversione delle priorità (prima economia, poi il resto) e i suoi rischi
Prima la flessibilità e poi le riforme, o prima le riforme e poi la flessibilità? Matteo Renzi, gliene va dato atto, ha tagliato corto sulla disputa barocca: “Ora tocca a noi fare le riforme”, ha detto rientrando in Italia dal vertice con i capi di governo dell’Unione europea. Sa infatti che la flessibilità l’abbiamo già usata: sui rapporti deficit/pil (2,6 per cento per il 2014 e 1,8 per cento per il 2015) abbiamo chiesto, e quasi ottenuto, una deroga rispetto all’impegno di pareggio strutturale del bilancio pubblico. Quello lo raggiungeremmo solo nel 2016. Sa che questi obiettivi si basano su tagli di 3,5 miliardi nel 2014, 17 nel 2015, 32 nel 2016; sa che molti, e non solo nei palazzi di Bruxelles, ma anche in quelli romani, dubitano che questi tagli siano sufficienti a centrare obiettivi e soddisfare impegni; sa che a fronte di essi ci sono solo due decreti con effetti finanziari minimi, e un disegno di legge non pubblicato che dovrebbe fornire risultati a partire dal 1° gennaio 2015. Sa che per la revisione della spesa pubblica esistono solo delle slide, e che di Carlo Cottarelli, che le ha compilate, poco si parla e meno ancora si sente.
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→ giugno 6, 2014
Da quando è stata pubblicata la traduzione inglese di “Le Capital au XXIe Siècle”, le recensioni, i convegni, gli inviti hanno proiettato Thomas Piketty a livelli di notorietà inusuali per un economista. Ragion per cui, quando il Financial Times spara la notizia che ci sono errori nei suoi numeri e nel modo di usarli, il botto è proporzionato al successo. Gli entusiasti tutti dietro a Paul Krugman, a scagliarsi contro i pignoli incompetenti che avevano osato attaccarlo, i critici (quorum ego) a sorridere: che vi dicevo? Thomas Piketty ha scritto 1.000 pagine (dell’edizione originale) corredate da 115 tra grafici e tabelle, sintesi di 15 anni di lavoro accademico, una formidabile cintura protettiva intorno alla tesi che il capitalismo produce diseguaglianza. “Dimostrare” una tesi con una massa intimidente di dati: è il pikettismo. Ragionare sul rapporto tra scelta della tesi e raccolta dei dati: è il metapikettismo.
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→ maggio 20, 2014
E’stata l’accusa di conflitto di interessi a creare l’affaire Pereira. Senza, sarebbe rimasto una polemica, una delle tante che nascono nel mondo della lirica, e di cui quel mondo vive. Con quell’accusa, una questione manageriale diventa politica, una contestazione al sovrintendente diventa un’accusa al sindaco.
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→ maggio 3, 2014
di Michele Masneri
Il bestseller di Thomas Piketty non crea scompiglio solo nel campo liberista ma scuote anche, meno prevedibilmente, il mondo keynesiano. “Le Capital au XXIe siècle” è arrivato da meno di un mese negli Stati Uniti e sta provocando ampio dibattito e celebrazioni tra gli economisti liberal, primo fra tutti il premio Nobel Paul Krugman. Non è stato invece accolto con particolare entusiasmo dalle vestali del culto keynesiano, che ne sottolineano le lacune.
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→ maggio 3, 2014
di Francesco Forte
Il libro di Thomas Piketty, “Capital in the Twenty-First Century”, soprattutto dopo la sua pubblicazione in lingua inglese, ha suscitato un dibattito interessante. La sua impostazione metodologica, consistente nel mettere insieme dati plurisecolari sulla diseguaglianza dei redditi, mi insospettisce. Ciò ancorché egli sembra essere stato aiutato in tale compito da un economista competente come Anthony Atkinson. Infatti quando per il mio libro “L’economia italiana dal Risorgimento ad oggi” del 2010 ho cercato di ricostruire serie omogenee dei dati macro economici della nostra economia nei 150 anni, mi sono reso conto di quante lacune ci siano nelle fonti statistiche di un singolo paese. E non capisco come si riesca a omogeneizzarli fra una ventina di paesi, come fa Piketty. In attesa di studiare tali banche dati, esprimo molti dubbi sulla tesi di fondo per cui la elevata concentrazione della ricchezza dipenderebbe dal fatto che “r”, il tasso di remunerazione del capitale, ha la tendenza a eccedere “g”, il tasso di crescita del pil, per colpa del modo “patrimoniale” in cui è organizzato il sistema economico capitalistico.
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