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→  marzo 26, 2015


Davvero la scelta di China National Chemical Corporation (Cncc) “era la migliore per la Pirelli”? Marco Tronchetti Provera, sul Corriere della Sera di martedì, non mostrava dubbi. Noi proviamo a rispondere seguendo un percorso diverso, isolando i suoi argomenti: importanti ma in qualche modo accessori.

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→  febbraio 28, 2015


“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico”: a qualcuno, “antico” anche lui, l’Opa su RaiWay ha fatto tornare alla memoria il verso pascoliano della propria infanzia. L’antico è l’evocare il conflitto di interesse, il giaguaro, tutto l’armamentario di una “guerra dei trent’anni” che novità tecnologiche, gusti dei consumatori, preferenze degli elettori, hanno fatto deporre e seppellire: perché il conflitto non c’è più, e quanto agli interessi, nulla di meglio di un’Opa per regolarli. O almeno così si è pensato.

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→  febbraio 20, 2015


La Merkel non può concedere aiuti senza riforme in cambio, da sempre. E così Tsipras potrà indicare il “colpevole” di Grexit

Gli aiuti ai Paesi in difficoltà vengono dati solo se condizionati all’accettazione di un programma di riforme: questo è il principio che Schäeuble continuerà ad affermare oggi a Bruxelles e sul quale sembra avere portato l’intero Consiglio d’Europa. Già l’ha detto ieri il suo portavoce: la lettera di Atene non presenta alcuna proposta di soluzione sostanziale. Sembra difficile che il Ministro delle finanze tedesco possa cedere, perché al principio di condizionalità la Merkel ha ancorato tutte le concessioni che via via ha fatto, sull’EFSM, sull’ESM, sull’OMT. Dopo il convegno di Bruxelles del 29 Giugno 2011, si era precipitata in sala stampa per confermare che l’intervento antispread con i fondi EFSN ed ESM era sotto condizionalità, e non automatico, come Monti, rischiando l’incidente diplomatico, aveva lasciato intendere. Non c’è solo Syriza e le sue spericolate promesse per vincere le elezioni. C’è anche la Merkel che, oltre all’incognita Karlsruhe e alla spina nel fianco AfD, deve fare i conti con un’opinione pubblica tedesca in questa circostanza unita come raramente.

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→  febbraio 13, 2015


Comunque vada a finire con la Grecia, l’Eurozona non sarà più la stessa, dice Ambrose Evans-Pritchard del Daily Telegraph. Nel senso che l’euro sarà più forte o più debole? Più debole lo sarà certamente se la Grecia resta nell’euro. Non per il costo del bail out, ma per la credibilità dei trattati: essi sono l’essenza stessa dell’Unione. Come si fa a tenere dentro un paese che prima è entrato falsificando i conti, ora fa di tutto per dimostrare di non riconoscere gli impegni e neppure di conoscere le regole di convivenza nel gruppo? I leader di Syriza hanno incominciato il loro giro in Europa da Londra, che non fa parte dell’Eurozona, quasi a significare che i loro interlocutori sono i mercati e non le burocrazie di Bruxelles o di Francoforte. Hanno proseguito a mettere dita negli occhi chiedendo a Berlino di pagare i debiti di guerra e a Francoforte di distribuire gli utili sul trading dei bond, non secondo il capital key nella Bce, ma secondo la nazionalità di origine. Il ministro delle Finanze ellenico Varoufakis sarebbe esperto di teoria dei giochi, ma sembra usare la sua scienza per perdere, cerca di mettere cunei tra persone o paesi che non hanno nessun interesse a dividersi: il sud Europa contro la Germania, Juncker contro la Merkel, gli Stati Uniti contro l’Europa, i diritti della democrazia contro i doveri derivanti dalle cessioni di sovranità. Qualcuno ha paragonato Varoufakis a chi si punta la pistola alla tempia e chiede gli si paghi un riscatto per non premere il grilletto. Un giorno o l’altro Tsipras dovrà fare i conti con le promesse fatte agli elettori: ma per ora più che convincerli ad accettare posizioni realistiche, sembra voler preparare il capro espiatorio a cui addebitare il default a cui li sta portando. Come potranno, Commissione e Consiglio europei, chiedere agli altri paesi il rispetto dei trattati e degli impegni? Perde credibilità tutta una politica di riforme strutturali, di un euro solido come base per crescita e investimenti. Il contagio è certo, l’euro diventa più debole.

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→  febbraio 12, 2015


di Marco Valerio Lo Prete
Roma. L’economista Paolo Savona, ex ministro, ex Banca d’Italia, non sarà tra quanti sabato a Roma sosterranno in piazza “l’altra Europa” del leader greco Alexis Tsipras. Ciò non impedisce all’ex braccio destro di Guido Carli (che 23 anni fa firmava il Trattato di Maastricht) di ragionare sulla tempesta ellenica per sollevare un problema di fondo: “La trattativa bilaterale tra Bruxelles e Atene è un errore. Che perda la faccia l’una o l’altra parte non conta. Questo è il momento di concepire soluzioni erga omnes. Anche ridiscutendo l’annunciato Quantitative easing”, dice al Foglio Savona riferendosi all’acquisto di titoli di stato annunciato dalla Banca centrale europea per contrastare la deflazione nell’Eurozona.

Davvero conviene mettere in discussione l’agognata “svolta americana” della politica monetaria europea? Savona parla di “entusiasmo sconfortante” con cui è stato accolto il Qe. Due gli ordini di motivi. Innanzitutto, “i nuovi acquisti di titoli verranno garantiti dai bilanci delle Banche centrali nazionali per l’80 per cento, e dalla Bce per il rimanente 20. Poiché, secondo le regole vigenti, la Bce già garantisce direttamente l’8 per cento di tutte le operazioni effettuate dall’Eurosistema, e le Banche centrali il rimanente 92, l’innovazione introdotta con il Qe è che la Bce integra la sua garanzia solo del 12 per cento, non del 20. E viene a cessare la mutualizzazione dei debiti di ciascuna Banca centrale nazionale nell’ambito dell’Eurosistema”. In breve, secondo Savona, “la Bce non fa più sistema ma distingue le responsabilità pro quota. Tale scelta, a voler interpretare le parole di Draghi, è un ovvio corollario, o meglio un chiarimento, della ‘coronation theory’ che regge l’euro. Quest’ultimo è una corona senza re, una moneta senza stato. Cos’altro può voler dire che ogni paese si prende pro quota la responsabilità nel caso di default sul debito o di rottura definitiva del sistema?”. Così si arriva al secondo corno del ragionamento, che riguarda l’Italia e un tema delicato: un club (monetario) senza possibilità d’uscita è insostenibile; ragionare su exit strategy possibili e quanto più ordinate è d’obbligo. Il Qe, però, compromette questa possibilità. Lo fa di soppiatto, ma in maniera incisiva: “La decisione di immettere base monetaria attraverso il canale dell’acquisto di titoli di stato, forse perché è l’unico pronto, per un totale di 30 miliardi da parte della Banca d’Italia, ha due conseguenze. Mina il bilancio di Palazzo Koch impegnando – in maniera obbligatoria, pare – le riserve ufficiali anche auree. E impedisce in futuro allo stato italiano ogni genere di rinegoziazione o di dichiarare default del proprio debito senza determinare gravi conseguenze anche per la ‘sua’ Banca centrale”. In sintesi: “Il Qe funziona come un’ulteriore bardatura che impedirà al paese scelte diverse da quelle di stare in Europa, obbedendo a Berlino- Bruxelles a rischio di trasformarci in colonia politica”. Savona precisa di non essere tra quanti ritengono che l’uscita dalla moneta unica curerebbe il paese dalle sue storture. E’ convinto però che nel lungo periodo “con queste condizioni non si può escludere l’ipotesi che diventi necessario rinegoziare partecipazione all’euro e debito sotto stress speculativo”. Ergo – ragiona Savona che da anni invita la classe politica a dotarsi di un “piano B”, come secondo lui perfino la Germania non ha mai negato di aver fatto – “Matteo Renzi e l’Italia farebbero bene a guardare oltre l’entusiasmo contingente. Laicamente, restare pronti a tutto”.

Che fare, dunque? “Il Qe, come concepito, è una modifica costituzionale. Il nuovo presidente della Repubblica, Mattarella, dovrebbe impedirla, chiedere il rispetto delle procedure parlamentari per essa previste”. Savona aggiunge di essere “assolutamente favorevole” a che la Bce possa intervenire acquistando bond statali dei paesi membri quando questi si trovano sotto attacco speculativo. “Tuttavia sarebbe meglio che questi poteri venissero a essa attribuiti in modo chiaro, accogliendoli nello Statuto”. Da qui discende l’appello a convogliare la tensione politica generata dalla nuova crisi greca in un “grand bargain”, come lo ha chiamato l’ex primo ministro inglese Tony Blair. “Soluzioni erga omnes per correggere la ‘zoppia’ dell’architettura istituzionale dell’euro”, le chiama Savona citando Carlo Azeglio Ciampi. Il Quantitative easing di Draghi, quindi, ma rivedendo lo Statuto della Bce. L’espansione monetaria, certo, “ma collegando gli acquisti di titoli alla realizzazione del Piano Juncker d’investimenti europei”. Il pareggio di bilancio, ma con una “condivisione dei debiti pubblici in eccesso al 60 per cento”. Perché le opinioni pubbliche dei paesi nordici dovrebbero accettare di buon grado? “Perché un accordo a livello europeo non verrebbe vissuto come una concessione a questo o a quel paese ‘peccatore’. E perché dei dividendi della ripresa ci avvantaggeremmo tutti”, conclude Savona.

→  gennaio 28, 2015


Bisogna guardare alla crisi greca avendo in mente l’interesse dell’Italia: sembra ovvio al limite della banalità. Ma qual è l’interesse dell’Italia hanno in mente quelli che pensano che con Tsipras abbiamo trovato un alleato? Alleato per fare che?

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