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→  febbraio 13, 2015


Comunque vada a finire con la Grecia, l’Eurozona non sarà più la stessa, dice Ambrose Evans-Pritchard del Daily Telegraph. Nel senso che l’euro sarà più forte o più debole? Più debole lo sarà certamente se la Grecia resta nell’euro. Non per il costo del bail out, ma per la credibilità dei trattati: essi sono l’essenza stessa dell’Unione. Come si fa a tenere dentro un paese che prima è entrato falsificando i conti, ora fa di tutto per dimostrare di non riconoscere gli impegni e neppure di conoscere le regole di convivenza nel gruppo? I leader di Syriza hanno incominciato il loro giro in Europa da Londra, che non fa parte dell’Eurozona, quasi a significare che i loro interlocutori sono i mercati e non le burocrazie di Bruxelles o di Francoforte. Hanno proseguito a mettere dita negli occhi chiedendo a Berlino di pagare i debiti di guerra e a Francoforte di distribuire gli utili sul trading dei bond, non secondo il capital key nella Bce, ma secondo la nazionalità di origine. Il ministro delle Finanze ellenico Varoufakis sarebbe esperto di teoria dei giochi, ma sembra usare la sua scienza per perdere, cerca di mettere cunei tra persone o paesi che non hanno nessun interesse a dividersi: il sud Europa contro la Germania, Juncker contro la Merkel, gli Stati Uniti contro l’Europa, i diritti della democrazia contro i doveri derivanti dalle cessioni di sovranità. Qualcuno ha paragonato Varoufakis a chi si punta la pistola alla tempia e chiede gli si paghi un riscatto per non premere il grilletto. Un giorno o l’altro Tsipras dovrà fare i conti con le promesse fatte agli elettori: ma per ora più che convincerli ad accettare posizioni realistiche, sembra voler preparare il capro espiatorio a cui addebitare il default a cui li sta portando. Come potranno, Commissione e Consiglio europei, chiedere agli altri paesi il rispetto dei trattati e degli impegni? Perde credibilità tutta una politica di riforme strutturali, di un euro solido come base per crescita e investimenti. Il contagio è certo, l’euro diventa più debole.

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→  febbraio 12, 2015


di Marco Valerio Lo Prete
Roma. L’economista Paolo Savona, ex ministro, ex Banca d’Italia, non sarà tra quanti sabato a Roma sosterranno in piazza “l’altra Europa” del leader greco Alexis Tsipras. Ciò non impedisce all’ex braccio destro di Guido Carli (che 23 anni fa firmava il Trattato di Maastricht) di ragionare sulla tempesta ellenica per sollevare un problema di fondo: “La trattativa bilaterale tra Bruxelles e Atene è un errore. Che perda la faccia l’una o l’altra parte non conta. Questo è il momento di concepire soluzioni erga omnes. Anche ridiscutendo l’annunciato Quantitative easing”, dice al Foglio Savona riferendosi all’acquisto di titoli di stato annunciato dalla Banca centrale europea per contrastare la deflazione nell’Eurozona.

Davvero conviene mettere in discussione l’agognata “svolta americana” della politica monetaria europea? Savona parla di “entusiasmo sconfortante” con cui è stato accolto il Qe. Due gli ordini di motivi. Innanzitutto, “i nuovi acquisti di titoli verranno garantiti dai bilanci delle Banche centrali nazionali per l’80 per cento, e dalla Bce per il rimanente 20. Poiché, secondo le regole vigenti, la Bce già garantisce direttamente l’8 per cento di tutte le operazioni effettuate dall’Eurosistema, e le Banche centrali il rimanente 92, l’innovazione introdotta con il Qe è che la Bce integra la sua garanzia solo del 12 per cento, non del 20. E viene a cessare la mutualizzazione dei debiti di ciascuna Banca centrale nazionale nell’ambito dell’Eurosistema”. In breve, secondo Savona, “la Bce non fa più sistema ma distingue le responsabilità pro quota. Tale scelta, a voler interpretare le parole di Draghi, è un ovvio corollario, o meglio un chiarimento, della ‘coronation theory’ che regge l’euro. Quest’ultimo è una corona senza re, una moneta senza stato. Cos’altro può voler dire che ogni paese si prende pro quota la responsabilità nel caso di default sul debito o di rottura definitiva del sistema?”. Così si arriva al secondo corno del ragionamento, che riguarda l’Italia e un tema delicato: un club (monetario) senza possibilità d’uscita è insostenibile; ragionare su exit strategy possibili e quanto più ordinate è d’obbligo. Il Qe, però, compromette questa possibilità. Lo fa di soppiatto, ma in maniera incisiva: “La decisione di immettere base monetaria attraverso il canale dell’acquisto di titoli di stato, forse perché è l’unico pronto, per un totale di 30 miliardi da parte della Banca d’Italia, ha due conseguenze. Mina il bilancio di Palazzo Koch impegnando – in maniera obbligatoria, pare – le riserve ufficiali anche auree. E impedisce in futuro allo stato italiano ogni genere di rinegoziazione o di dichiarare default del proprio debito senza determinare gravi conseguenze anche per la ‘sua’ Banca centrale”. In sintesi: “Il Qe funziona come un’ulteriore bardatura che impedirà al paese scelte diverse da quelle di stare in Europa, obbedendo a Berlino- Bruxelles a rischio di trasformarci in colonia politica”. Savona precisa di non essere tra quanti ritengono che l’uscita dalla moneta unica curerebbe il paese dalle sue storture. E’ convinto però che nel lungo periodo “con queste condizioni non si può escludere l’ipotesi che diventi necessario rinegoziare partecipazione all’euro e debito sotto stress speculativo”. Ergo – ragiona Savona che da anni invita la classe politica a dotarsi di un “piano B”, come secondo lui perfino la Germania non ha mai negato di aver fatto – “Matteo Renzi e l’Italia farebbero bene a guardare oltre l’entusiasmo contingente. Laicamente, restare pronti a tutto”.

Che fare, dunque? “Il Qe, come concepito, è una modifica costituzionale. Il nuovo presidente della Repubblica, Mattarella, dovrebbe impedirla, chiedere il rispetto delle procedure parlamentari per essa previste”. Savona aggiunge di essere “assolutamente favorevole” a che la Bce possa intervenire acquistando bond statali dei paesi membri quando questi si trovano sotto attacco speculativo. “Tuttavia sarebbe meglio che questi poteri venissero a essa attribuiti in modo chiaro, accogliendoli nello Statuto”. Da qui discende l’appello a convogliare la tensione politica generata dalla nuova crisi greca in un “grand bargain”, come lo ha chiamato l’ex primo ministro inglese Tony Blair. “Soluzioni erga omnes per correggere la ‘zoppia’ dell’architettura istituzionale dell’euro”, le chiama Savona citando Carlo Azeglio Ciampi. Il Quantitative easing di Draghi, quindi, ma rivedendo lo Statuto della Bce. L’espansione monetaria, certo, “ma collegando gli acquisti di titoli alla realizzazione del Piano Juncker d’investimenti europei”. Il pareggio di bilancio, ma con una “condivisione dei debiti pubblici in eccesso al 60 per cento”. Perché le opinioni pubbliche dei paesi nordici dovrebbero accettare di buon grado? “Perché un accordo a livello europeo non verrebbe vissuto come una concessione a questo o a quel paese ‘peccatore’. E perché dei dividendi della ripresa ci avvantaggeremmo tutti”, conclude Savona.

→  gennaio 28, 2015


Bisogna guardare alla crisi greca avendo in mente l’interesse dell’Italia: sembra ovvio al limite della banalità. Ma qual è l’interesse dell’Italia hanno in mente quelli che pensano che con Tsipras abbiamo trovato un alleato? Alleato per fare che?

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→  gennaio 6, 2015


Al direttore.

“Se avessero messo Alan Turing in un sanatorio per froci – scrive l’elefantino del lunedì – oggi saremmo tutti sudditi del Terzo Reich, molto probabilmente”. Tutti? Non lo misero in un sanatorio prima, ma dopo, in un’aula di tribunale e in un ambulatorio medico: erano, a tutti gli effetti, “sudditi del Terzo Reich”. Molto volontariamente.

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→  gennaio 5, 2015


Editoriale di Giuliano Ferrara

Curare i gay” è una scemenza col botto, un gesto di piccola intolleranza ignorante. Sono molto sorpreso da Costanza Miriano, una scrittrice popolare e ben disposta verso la scorrettezza connaturale alle idee; da Luigi Amicone, un ciellino che mi pare vivace e autentico; da Roberto Maroni, sassofonista e politico di talento ma ambiguo, oggi inzuppato nel nazionalismo macho dei tombini di ghisa in mancanza di meglio. Tutti abbiamo bisogno di essere curati e soprattutto di essere lasciati in pace. A tutti sono dovuti rispetto, libertà personale, privacy. La lettura del Simposio platonico o del Fedro, lo studio delle biografie di Anselmo d’Aosta e del cardinale Newman, una scorsa ai romanzi di Isherwood sono attività facoltative, e anche le tirate di s. Paolo contro i sodomiti sono le benvenute, perché parlano di peccato e non di malattia, sono illuminate dal precetto che “il giusto vivrà per la fede” e non dal positivismo burlesco della cattiva ideologia contemporanea. Invito caldamente i nominati, nel giorno del convegno lombardo al quale hanno promesso di partecipare, giorno ch’è imminente, a starsene a casa o a organizzare la protesta contro l’insegnamento nelle scuole milanesi dell’ideologia del gender o dell’indifferenza sessuale, senza dimenticare che la sola radiografia del fenomeno da parte di un prete di curia milanese ha indotto l’arcivescovo a scusarsi per l’iniziativa. Le sentinelle leggano libri buoni in piedi invece di mettere in provetta, con l’assistenza di psichiatri psichiatrizzabili e di tradizionalisti senza il senso della tradizione, chimismi, ormoni in pillola e altre vaghezze dagli scaffali del farmacista Homais. Il buco della serratura e il comune senso del pudore lasciatelo alla dottoressa Boccassini, una specialista.

Un tetro silenzio della ragione, mascherato da lago d’amore, ha preso il posto vuoto lasciato dalla generosa e apocalittica abdicazione al soglio di Ratzinger. Tutto quello che era pensiero strutturato, elegante, mite, forte e intenso, si è come volatilizzato in un batter d’occhio. Da un lato abbiamo il cedimento intellettuale di un pensatore debole come monsignor Bruno Forte, che ha sostituito Karl Barth con Roland Barthes; dall’altro l’irrigidimento caricaturale e clinicizzante dei materiali culturali non negoziabili che furono lo stigma d’intelligenza di una lunga stagione cattolica e laica del contemporaneo. Quelli della Manif pour tous in Francia hanno trovato spesso modi sensati e colorati di sense of humour per esprimere il rigetto del dottrinarismo di gender e delle teorie omosessualiste ortodosse, qui ci balocchiamo con il dottrinarismo terapeutico e altre perversioni da capofamiglia. Ma scherziamo? Ratzinger aveva spiegato in tutta la sua teologia e predicazione che il mondo moderno era diventato – esso sì – relativisticamente dottrinario, che stava crescendo come una schiuma noiosa e infeconda di pregiudizi, insultante per la fede alleata della ragione. Dottrinario sarà lei – era il suo insegnamento – i libri cristiani e il libro cristiano aiutano a pensare anche il tempo e la storia oltre le sue miserie, oltre la banalizzazione del peccato, oltre il pensiero unico, esclusivo, irregimentato. E noi vogliamo riportare la cultura cristiana e cattolica dentro le ossessioni ideologiche del tempo, mettendo la psicologia comportamentale e altre bellurie dentro la nuova evangelizzazione. Almeno andate al cinema, se siete interessati alle visioni del mondo. C’è The imitation game in tutte le sale: se avessero messo Alan Turing in un sanatorio per froci, oggi saremmo tutti sudditi del Terzo Reich, molto probabilmente.

E prendete nota della biografia di Winston Churchill scritta da Boris Johnson, il machissimo e rutilante sindaco di Londra. Raggiunsero affannati Churchill nella quiete dalla campagna mentre scriveva. Gli dissero che era stato trovato un alto funzionario del governo mentre si faceva un militare della guardia su una panchina di Hyde Park alla fine di novembre, alle tre del mattino, e che lo scandalo sarebbe scoppiato in poche ore. Churchill sollevò il capo dai fogli e chiese conferma. Era avvinghiato a una guardia? Su una panchina del parco? Alle tre del mattino? Con questo tempaccio? “Ma c’è di che rendere orgoglioso lo spirito britannico”, concluse.

→  dicembre 16, 2014


Nel disastro di Taranto hanno perso tutti, proprietà, amministrazione locale, stato nelle sue varie articolazioni. Per distinguere le varie responsabilità di un simile disastro, bisognerà aspettare i processi, penali e civili: anni e anni. Intanto lo stallo costa, in soldi e in consensi: con l’intervento deciso, il governo ridurrà forse le emorragie, ma noi rischiamo di smarrire – tra interventi provvisori, soluzioni ponte, approdi finali – la visione complessiva di quanto si è finora perso e perché. Farlo perbene richiederebbe di entrare nel merito dei giudizi di un magistrato, il cui operato non è stato giudicato esorbitante o illegittimo dagli organi di autogoverno della magistratura. Per cercare di fare una sorta di “screenshot” della situazione attuale, utile a giudicare le scelte che si faranno, c’è una strada: tornare indietro a un tempo precedente a quello dell’ordinanza del magistrato, riportare cioè la questione Ilva all’interno del quadro generale in cui essa si colloca fin dalla sua fondazione.

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