→ Iscriviti

Archivio per il Tag »il corriere della sera«

→  maggio 14, 2024


Aldo Cazzullo risponde a un lettore sulla questione carta o contante. In coda la lettera di Franco Debenedetti inviata a Cazzullo, non pensata per la pubblicazione.

Lettera di un lettore ad Aldo Cazzullo.
Caro Aldo,
ho chiesto il conto in pizzeria ieri sera e mi è stato portato a tavola il pre-conto con la richiesta esplicita del cameriere «pagamento in contanti o con carta»? Dopo aver visto che era il pre-conto mi sono recato alla cassa pagando con la carta. Ho dovuto chiedere lo scontrino fiscale perché anche con il pagamento elettronico il cassiere mi ha salutato senza rilasciare lo scontrino fiscale. Ma prima di rispondere al saluto del cassiere ho dovuto chiedere lo scontrino. Non sarebbe più facile se l’Agenzia delle Entrate eliminasse dalle attività commerciali i dispositivi che emettono il pre-conto? Si farebbe anche meno spreco di carta chimica. Si è mai trovato in questa situazione?
Luca Barretta, Firenze

leggi il resto ›

→  marzo 28, 2017


Intervista di Gianluca Rotondi

«Ci sono prassi e modalità consolidate per scegliere i consiglieri di amministrazione, le best practice, che valgono per tutte le aziende, quotate o no. In questo caso c’è invece una pratica sbagliatissima di una nomina basata sull’affiliazione politica».
Franco Debenedetti, imprenditore e già senatore in quota Pds e poi Ds, ha fatto parte dei consigli di amministrazione di società, enti e fondazioni e non è stupito dallo scontro intestino che si sta consumando tra renziani e orlandiani sulle nomina nel cda di Hera. Un vizio antico, che si ripete nel tempo.

leggi il resto ›

→  febbraio 22, 2017


Caro direttore,

«Competenza e credibilità — scrive Antonio Polito (Il dilemma del volo 93 vale anche per i 5 Stelle, sul Corriere della Sera, 16 febbraio), da virtù che erano, oggi fanno perdere le elezioni». Ma competenza e credibilità a governare sono giudizi opinabili, la differenza di giudizi è l’essenza stessa della politica: e così può succedere che il consenso popolare vada a personaggi e movimenti politici chiaramente impreparati a governare.

leggi il resto ›

→  maggio 14, 2016


articolo collegato di Sabino Cassese

Qualche giorno fa, l’amministratore delegato di un’impresa ha dichiarato trionfante di aver avuto le autorizzazioni per una importante opera di interesse collettivo solo in un anno e mezzo. Una recente ricerca Aspen ha dimostrato che su cittadini e imprese gravano vincoli molto maggiori di quelli strettamente necessari per proteggere la salute, l’ambiente, il territorio e gli altri beni collettivi. Sindaci di diversi partiti hanno dichiarato nei giorni scorsi che è impossibile amministrare, stretti come sono tra leggi invadenti e Procure aggressive. Perché è tanto difficile governare l’Italia? Perché è così basso il rendimento delle istituzioni?
La prima responsabilità è del Parlamento. Esso sconfina nell’area dell’amministrazione: troppe leggi, norme troppo lunghe e minuziose, che sono spesso atti amministrativi travestiti da leggi. A questo si aggiunge il sogno della norma autoap-plicativa, in cui si cullano governi colpiti dalla sindrome del sabotaggio burocratico, nell’illusione che, fatta la legge, ne sia assicurata l’attuazione. Di qui il circolo vizioso: si governa legiferando; si crede di aver deciso, ma, nella maggior parte dei casi, ci si è soltanto legati le mani, e si è costretti per ciò a ricorrere a un numero sempre crescente di leggi. Il corpo legislativo cresce, aumentano le frustrazioni e gli sconfinamenti legislativi nell’amministrazione, il Parlamento-legislatore trascura la sua altra funzione, quella di controllo del governo, il sistema va in blocco.
PUBBLICITÀ

inRead invented by Teads
Dall’altra parte, c’è il potere giudiziario: non vi è ormai decisione grande o piccola che non passi nelle mani di procuratori, giudici civili, giudici penali, giudici amministrativi. I primi si proclamano «magistratura costituzionale», investita del compito di «vigilare sulla lealtà costituzionale delle contingenti maggioranze politiche di governo». Giudici civili e penali con la lentezza delle loro decisioni rallentano il funzionamento del Paese. I giudici amministrativi — come è stato detto da più parti — «bloccano l’attività produttiva», senza nello stesso tempo fornire una guida a chi voglia districarsi nella selva delle norme e delle loro interpretazioni. Sopra ogni cosa, quello giudiziario è un corpo che corre verso la politica, più impegnato a fare dichiarazioni ai quotidiani che a scrivere sentenze.
Un acuto osservatore dei fenomeni amministrativi, Marco Cammelli, ha osservato che tutto questo provoca la marginalizzazione dell’amministrazione. Quest’ultima è stretta in una tenaglia. Da una parte, ha un legislativo che prende decisioni amministrative in veste di leggi, per saltare la dimensione amministrativa. Dall’altra, è intimorita o frustrata dalle tante voci del potere giudiziario, dinanzi al quale anche chi dovrebbe controllare dall’interno cede le armi. A questo si è aggiunto il sospetto della corruzione, la diffidenza che ciò ha creato nell’opinione pubblica e la formazione di una Procura anticorruzione «in prima linea contro ogni tipo di ingiustizia» (sono parole del nostro presidente del Consiglio dei ministri). Da ultimo, l’amministrazione si è impoverita: pochi investimenti, personale scelto male dai politici di vertice e non per concorso, carriere dominate dai governi, strutture e procedure arcaiche.
Le modificazioni della costituzione materiale che ho descritto, e dell’equilibrio tra i tre poteri dello Stato, stanno producendo guasti gravi nei rapporti tra poteri pubblici e società. I primi si legittimano non solo attraverso elezioni, ma anche per la loro capacità di svolgere il proprio compito al servizio della seconda. Il fossato che divide popolo e Stato non si colma solo con le elezioni. La democrazia del voto non basta. Occorre anche poter dimostrare, con l’efficacia dell’azione pubblica, che lo Stato è al servizio del cittadino.

→  gennaio 31, 2016


articolo collegato di Sergio Bocconi

Si profila un nuovo confronto Italia-Europa. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, intervenendo sabato al Forex di Torino, sollecita una revisione dei meccanismi europei di risoluzione delle crisi bancarie, e in particolare del bail in, entrato in vigore in gennaio. La Commissione Ue fa però subito sapere che «non ci sono piani per cambiare la direttiva, adottata nel 2014 con il consenso di una stragrande maggioranza al Parlamento europeo e con l’accordo unanime degli stati membri. Da un anno e mezzo si sa che il bail in dei creditori avrebbe protetto i contribuenti».
Al Forex Visco ha poi spiegato l’intervento sui quattro istituti in dissesto; ha approvato l’intesa con la Commissione Ue sulla garanzia pubblica per liberare i bilanci del settore dalle sofferenze e ha rinnovato l’appello a una maggiore diffusione della cultura finanziaria. Il Governatore ha quindi dedicato spazio alla congiuntura: in Italia la ripresa procede a ritmi moderati, come nell’area euro, sostenuta dalla domanda interna. Resta l’indicazione che nel 2016 e nel 2017 il prodotto possa crescere dell’1,5%. Sono in aumento i prestiti al settore privato e in particolare alle famiglie per i mutui. Dettagliata è stata la spiegazione relativa ai provvedimenti adottati nel novembre 2015 da governo e Bankitalia per risolvere le crisi di Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti, che nel complesso detenevano l’1% dei depositi italiani. Visco spiega che, dopo lo stop europeo all’utilizzo del Fondo interbancario, assimilato ad aiuto di Stato, sono state applicate le regole introdotte con la direttiva europea sulle crisi bancarie. I costi sono stati sopportati, oltre che dagli azionisti e i detentori di obbligazioni subordinate, dal sistema bancario attraverso il Fondo di risoluzione. L’alternativa? La liquidazione coatta. Da gennaio è entrato invece in vigore il bail in, che prevede il coinvolgimento con perdite anche delle obbligazioni ordinarie e dei depositi sopra i 100 mila euro. Secondo Visco le nuove regole, maturate in sede europea dopo i massicci interventi pubblici per i salvataggi bancari (che non si sono verificati in Italia) hanno comportato un cambiamento «drastico e repentino». Secondo Bankitalia e ministero dell’Economia invece di un’applicazione immediata e retroattiva dei nuovi meccanismi sarebbe stato preferibile un periodo di transizione per consentire a banche e risparmiatori di adattare strumenti e percepire rischi finora remoti. Ecco dunque la richiesta di revisione, possibile entro giugno 2018, precisa Visco, grazie a una clausola. Ma la Commissione Ue ha frenato.
E sempre sulle crisi Bankitalia precisa di aver chiesto alla Etruria a fine 2013 misure correttive e un’aggregazione. Ma il board dell’istituto nel 2014 ha rifiutato l’unica offerta «autonomamente avanzata dalla Popolare di Vicenza» (quindi non sponsorizzata dalla Vigilanza). Infine il Governatore invita le banche a predisporre meccanismi volontari di intervento, aggiuntivi rispetto ai sistemi obbligatori di garanzia dei depositanti, per contenere i costi di una crisi per i risparmiatori. Così come l’accordo sulle sofferenze (il cui flusso si sta riducendo) deve essere accompagnato da una migliore capacità di intervento da parte degli istituti. «Sarà utile lo schema di garanzia concordato con la Commissione Ue per facilitarne lo smobilizzo. Il mercato potrà attivarsi. Ma nessun provvedimento può cancellare la massa di sofferenze del passato: vanno aggredite con determinazione». L’Italia, viene sottolineato, sta uscendo da un periodo più grave della depressione degli anni Trenta: la crisi ha messo a dura prova imprese, famiglie e banche. Gli istituti però oggi hanno un patrimonio «molto più elevato rispetto al passato» e il rafforzamento, a differenza di altri Paesi, «è stato conseguito senza pesare sulle finanze pubbliche». E anche la redditività comincia a migliorare.

→  novembre 15, 2014


Dopo l’elezione di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione Ue, solo ora scopriamo che l’ex primo ministro lussemburghese era a capo di un paradiso fiscale, come a dire se vuoi rubare un pò puoi. Non c’è proprio limite al peggio.

Carlo Rovina

La risposta di Sergio Romano

Caro Rovina, un direttore del Corriere, parecchi anni fa, diceva spesso ai suoi redattori che non c’è nulla di tanto inedito quanto il già edito. Intendeva dire che una vecchia storia, saputa e risaputa, può sembrare nuova e fresca di stampa se torna sulle pagine dei giornali in circostanze diverse e con qualche dettaglio in più. È quello che sta accadendo in questi giorni. Come ha osservato nel suo sito una deputata europea del gruppo liberal-democratico, Sylvie Goulard, il caso degli accordi speciali sul trattamento fiscale riservato alle imprese che decidono di stabilire la loro residenza in Lussemburgo, o in altri Paesi dell’Ue particolarmente accoglienti, è noto dagli anni Novanta a chiunque abbia un po’ di familiarità con il mercato unico. All’origine del problema vi sono due principi difficilmente conciliabili. Il primo è quello della sovranità fiscale. Mentre si scrivevano le regole finanziarie dell’Ue alcuni membri dichiararono che non avrebbero mai rinunciato ad adottare il regime fiscale che meglio corrispondeva ai loro interessi e alle loro tradizioni. Altri osservarono che il migliore trattamento offerto da un Paese avrebbe creato imprese avvantaggiate e svantaggiate, vale a dire esattamente ciò che il Trattato sul mercato unico voleva evitare con regole eguali per tutti in materia di aiuti di Stato e concorrenza. È accaduto allora quello che generalmente accade nell’Unione Europea quando qualcuno si oppone a una soluzione condivisa: è stato deciso che alla materia fiscale venisse applicato il principio della unanimità, ovvero che a ogni Paese venisse concesso il diritto di veto. In altre parole il Lussemburgo e coloro che lo hanno governato non hanno commesso reati; hanno agito nell’ambito dei trattati. Sylvie Goulard ricorda che nel 2010 Mario Monti, dopo essere stato commissario per la Concorrenza, indirizzò un rapporto sull’argomento al presidente della Commissione Manuel Barroso, ma le sue proposte rimasero lettera morta. Le proteste sono dunque inutili? No. La generale indignazione provocata dal caso Juncker dimostra che la licenza concessa al Lussemburgo negli anni Novanta non è più tollerata. Se questa vicenda si concluderà con una maggiore armonizzazione dei sistemi fiscali nazionali, dovremo probabilmente ringraziare la crisi e la rabbia delle pubbliche opinioni. Senza saperlo, anche i grillini lavorano per l’Europa.